Il sumo è una famosa arte marziale giapponese, nota per l’inconfondibile stazza dei suoi praticanti e per il suo carattere rituale. In terra giapponese il sumo è lo sport nazionale per eccellenza e tuttora è una pratica sportiva estremamente rilevante per la popolazione, nonostante alcuni aspetti del mondo del sumo siano stati recentemente oggetto di dibattito. Per esempio, alle donne è tradizionalmente vietato di accedere sull’area di gara per qualsiasi ragione. Il sumo professionistico è infatti rimasto saldamente legato alla dimensione religiosa e ritualistica dello shintoismo, una religione animista presente in Giappone prima dell’avvento del buddismo.
Regole
Le regole del sumo, sancite ufficialmente dalla “Japan Sumo Association” sono relativamente semplici: i due lottatori di sumo, che prendono il nome di “rikishi”, hanno l’unico obiettivo di far uscire l’avversario dall’area di gara o farlo cadere. Chi ci riesce vince l’incontro. L’area di gara, chiamata dohyō, è relativamente piccola e consiste in un’area circolare di 4,55 m di diametro delineata da una stuoia sita al di sopra di un palco di forma quadrata. Gli incontri hanno una durata massima prestabilita di quattro minuti, da ripetersi fino a tre volte in caso di parità. Tuttavia, a discapito di queste tempistiche, gli incontri vengono invece tendenzialmente vinti in fretta, spesso nel giro di pochi secondi. Non esistono categorie di peso nel sumo professionistico e questo ha favorito negli anni un aumento del peso medio e della stazza dei lottatori, anche se in linea teorica i criteri minimi sono piuttosto bassi (almeno 1,67 m di altezza e 67 kg di peso).
Tecniche
I lottatori di sumo possono spingersi, afferrarsi e strattonarsi. A differenza di altre forme di lotta è permesso anche colpirsi con sberle e colpi a mano aperta. Tutti gli altri colpi, compresi pugni e calci sono invece proibiti. Non è ovviamente possibile mordere, torcere dita, tirare i capelli o mettere le dita negli occhi. Non è nemmeno permesso colpirsi sullo stomaco.
Ovviamente non è facile classificare in modo netto le molte tecniche contemplate in un’arte marziale, ma approssimatamene le tecniche consentite nel sumo possono essere distinte fra:
- Tecniche di spinta. Tali tecniche, note anche come oshidasho, consistono nell’afferrare l’avversario e spingerlo (spesso facendolo letteralmente slittare sul terreno dell’area di gara) fino a portarlo fuori dal dohyō.
- Tecniche di proiezione. Tra quelle più spettacolari si annoverano movimenti molto vigorosi per far sbilanciare l’avversario. Possono anche essere usate come difesa dalle tecniche di spinta, cercando di assecondare lo slancio avversario per poi ruotare e far sì che sia lui a uscire dall’area di gara.
- Tecniche di sollevamento. Per ovvi motivi risultano di difficile esecuzione, anche se comunque sono contemplate dal regolamento.
La Japan Sumo Association riconosce ufficialmente 82 tecniche diverse.

Lottatori di sumo
Abbigliamento
I lottatori di sumo sono praticamente quasi nudi, ma indossano il mawashi, un ampio perizoma corredato da corde rigide decorative sulla parte anteriore che consente anche ai lottatori di afferrarsi per poter eseguire le tecniche permesse loro.
Rituali
Gli incontri iniziano con la chiamata dei lottatori sull’area di gara, in una cerimonia d’ingresso chiamata dohyō-iri. I rikishi raggiungono l’area di gara con indosso il maedare, un indumento cerimoniale che consiste in un drappeggio decorato da indossare frontalmente sul mawashi. Dopodiché si dispongono a cerchio attorno all’area di gara, si girano verso l’interno, dando le spalle al pubblico ed eseguono una serie di gesti aventi carattere rituale di saluto.
Una volta chiamati sul palco, i due lottatori che dovranno disputare l’incontro previsto compiono altri riti cerimoniali prima di iniziare a combattere. In particolare, bevono dell’acqua “purificatrice” e gettano del sale sull’area di gara. I lottatori eseguono poi i movimenti di preparazione noti come shikiri. Si tratta dei classici movimenti nei quali il lottatore si solleva con movimenti lenti e ampi su una gamba sola, per poi atterrare pesantemente sul terreno. Tutte queste cerimonie hanno anche un valore scaramantico, volto ad “allontanare gli spiriti maligni”, i cosiddetti kami. Una volta pronti, i lottatori assumono la classica posizione accovacciata con le braccia in avanti e all’improvviso e si lanciano uno addosso all’altro per iniziare l’incontro, che spesso dura una manciata di secondi. Alla fine dell’incontro il lottatore che ha vinto riceve un premio in denaro, offerto dagli sponsor che sono pubblicizzati da apposite figure in abiti tradizionali fra un incontro e l’altro. Anche nel ricevere il premio il lottatore deve eseguire dei gesti rituali che hanno la valenza di ringraziamento alle divinità scintoiste.
Alla fine degli incontri del torneo, la sessione si conclude con un’ultima cerimonia chiamata yumitori-shiki, che consiste in una sorta di danza rituale nella quale un lottatore che non ha partecipato agli incontri indossa il maedare cerimoniale ed esegue dei movimenti circolari con un grande arco giapponese (lo yumi usato nel kyudo) privo di corda.

I combattimenti di sumo durano spesso solo pochi secondi
Gradi
Anche nel sumo esistono dei gradi che tuttavia non sono attribuiti in maniera definitiva, ma sono dinamici e si può avanzare di grado o venire degradati in relazione alle vittorie o alle sconfitte ottenute nei tornei (similmente alle serie del calcio). Questo è vero per tutti i gradi a eccezione del titolo più elevato, che invece una volta acquisito si trasforma in una sorta di titolo onorifico definitivamente conseguito dal lottatore. Tale grado prende il nome di yokozuna.
Vita del rikishi
I praticanti di sumo iniziano ad allenarsi spesso fin da piccoli. Tuttavia, per poter diventare dei professionisti occorre che l’aspirante rikishi sia ammesso in appositi centri di addestramento, chiamati heya. Tali centri, anche se siti all’interno di città, rappresentano delle unità fisiche sociali distaccate dove i rikishi non solo si allenano tutti i giorni, ma dove dormono, mangiano e vivono anche il resto della giornata, in modo simile a quanto avviene per i monaci di un monastero. Ogni centro di addestramento è gestito da una figura di riferimento, chiamata oyakata, ovvero un lottatore professionista con qualifica di insegnante che gestisce gli allenamenti e le mansioni secondo un rigido sistema gerarchico dove i praticanti più giovani e inesperti hanno il carico maggiore di oneri.
I rikishi mangiano tendenzialmente insieme. I pasti sono principalmente costituiti dalla chankonabe, una pietanza a base di verdura, carne stufata, uova e olio che promuove l’accumulo di massa muscolare e grasso corporeo.
I rikishi possono uscire dal centro se viene loro accordato il permesso, ma devono usare abiti tradizionali che li rendano immediatamente distinguibili come lottatori di sumo professionisti. Essi devono anche farsi crescere i capelli e portarli raccolti in un caratteristico nodo, analogo a quello anticamente impiegato dai samurai.
Attualmente in Giappone esistono in totale meno di mille lottatori professionisti.
A causa della dieta e della composizione corporea, è noto che l’aspettativa media di vita di questi atleti è ampiamente più bassa dell’aspettativa media giapponese, aldilà dell’allenamento e della vita morigerata che tendenzialmente i rikishi conducono.
Sumo sportivo
Esiste anche una forma di sumo sportiva, aperta anche ai praticanti di sesso femminile e svincolata dalla parte cerimoniale. Tale disciplina prevede tre categorie di peso (leggeri, medi e pesanti) sia per gli uomini che per le donne.
Sumo squat
Lo squat è un esercizio molto impiegato in palestra e nel sollevamento pesi per migliorare la forza delle gambe che consiste nell’accovacciarsi tenendo un bilanciere sulle spalle, oppure a corpo libero. Il sumo squat è una variante di questo esercizio che consiste nel divaricare le gambe in una posizione più ampia, ma non è direttamente legato all’arte marziale descritta in questo articolo, se non per il fatto che ricorda la posizione di partenza che assumono i lottatori di sumo prima di iniziare l’incontro.
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