Lo sci alpino è uno sport praticato nelle località di montagna su pendii ricoperti di neve. Lo sci alpino è entrato a far parte delle discipline olimpiche nel 1936 e prevede diverse specialità (discesa libera, slalom speciale, slalom gigante, supergigante, combinata e supercombinata). Nell’ambito dello sci alpino si distinguono discipline tecniche e discipline veloci; le prime sono rappresentate da slalom speciale e slalom gigante, mentre le seconde da discesa libera e supergigante. Di seguito una breve descrizione delle varie specialità.
Discesa libera – Secondo molti la “libera” è la vera e propria regina dello sci alpino; è caratterizzata dal fatto di essere la specialità più lunga, sia per quanto riguarda la distanza di gara sia per quanto riguarda la durata. Nel corso di una competizione di discesa libera, lo sciatore raggiunge velocità veramente considerevoli (si possono oltrepassare i 150 km/h) e ciò richiede una notevolissima concentrazione. Nelle competizioni di Coppa del Mondo, il tracciato di gara per gli uomini ha un dislivello o che è compreso tra gli 800 e i 1.100 (in determinate circostanze può scendere fino ai 750 m); nelle gare di discesa libera femminile il dislivello è molto inferiore essendo compreso tra i 450 e gli 800 m. Insieme allo slalom speciale, la discesa libera è una delle discipline più antiche dello sci alpino moderno (gare di queste due specialità sono state disputate nei Mondiali di sci alpino del 1931). Tradizionalmente, le gare di discesa libera si svolgono in un’unica manche; in rarissime occasioni si disputano gare in due manche.

Atleta impegnato in una competizione di discesa libera
Slalom speciale – Viene detto anche semplicemente “slalom”; l’aggettivo “speciale” fu aggiunto dopo l’introduzione di una nuova specialità sciistica, lo slalom gigante. Nel corso di una gara di slalom speciale, lo sciatore deve passare attraverso una serie di pali snodati noti come “porte” che sono posti a distanza ravvicinata (indicativamente circa 9 metri in verticale e circa 2 metri in orizzontale) su un tracciato nevoso con curve ad arco piuttosto stretto. La velocità che uno sciatore di alto livello può raggiungere in una gara si aggira sui 35 km/h.
Tipicamente le competizioni di slalom speciale prevedono due manche; il vincitore è colui che realizza un tempo complessivo minore sulle prove senza saltare nessuna delle porte poste sul percorso di gara.
Slalom gigante – Noto anche semplicemente come “gigante”, è una gara tecnica, ma anche di buona velocità; si raggiungono infatti punte di circa 80 km/h ed è quindi molto più veloce dello slalom speciale. La velocità è superiore perché le curve previste nel tracciato hanno raggio decisamente più ampio rispetto a quello delle curve dello speciale. Le porte sono piuttosto larghe e hanno una distanza minima l’una dall’altra di circa 10 metri.
Come nel caso dello slalom speciale, anche le gare di gigante prevedono due manche (rarissimamente una); il vincitore è colui che realizza un tempo complessivo minore sulle prove senza saltare nessuna delle porte poste sul percorso di gara.
Lo slalom gigante è stato inserito nel programma dei Mondiali di sci alpino a partire dal 1950.

Gara di slalom gigante femminile
Supergigante – Noto anche come Super-G, è, insieme alla supercombinata, di una delle discipline più giovani dello sci alpino. Nel corso della gara gli sciatori devono passare attraverso una serie di porte disposte lungo il tracciato, come accade nelle gare di slalom, ma la lunghezza della pista, la distanza tra le porte, il raggio di curva e la velocità di percorrenza sono maggiori rispetto a quelle previste per le altre due discipline.
Le velocità che si raggiungono in questa disciplina dello sci alpino sono considerevoli (si possono superare anche i 120 km/h), anche se inferiori rispetto a quelle relative alla discesa libera.

Il supergigante è una delle discipline più recenti fra quelle dello sci alpino
Combinata – La combinata (o combinata alpina) è una disciplina dello sci alpino che combina una prova veloce e una prova tecnica; per poter ottenere punti in questa disciplina, lo sciatore deve ovviamente prendere parte a entrambe le competizioni e la classifica finale è ottenuta attraverso la somma dei tempi ottenuti nelle singole gare. La combinata è stata introdotta fra le competizioni della coppa del mondo a partire dalla stagione 1974/1975; era però già presente nei mondiali di sci alpino da diverso tempo (1931). Alcuni grandissimi sciatori davano poca considerazione alla combinata (basti pensare al campionissimo svedese Ingemar Stenmark), ma molte Coppe del Mondo di sci alpino sono state decise dai punti che alcuni sciatori avevano ottenuto sfruttando la combinata.
Supercombinata – Nota anche come supercombi, è la più recente disciplina dello sci alpino. È stata introdotta in Coppa del Mondo nella stagione 2005/2006 e nel programma olimpico nel 2010.
La supercombinata prevede una mini-discesa libera e una sola manche di slalom. Si tratta di una competizione che avvantaggia i discesisti e gli slalomisti puri piuttosto che i gigantisti.
Sci alpino: una disciplina antica che si è profondamente rinnovata
Lo sci alpino è uno sport che il progresso tecnologico ha influenzato grandemente migliorando sensibilmente le performance atletiche. L’attività sciistica agonistica internazionale è regolata dalla FIS (Federazione Internazionale Sci).
Gli sci sono nati come mezzo di trasporto; erano due semplici pezzi di legno lunghi e appiattiti sui quali erano posizionati degli attacchi per i piedi. I primi esemplari di sci erano lunghi approssimativamente due metri e avevano una punta estremamente rialzata per affrontare meglio i pendii, molto mossi e con molti dossi e cunette. Con il progredire della tecnologia e con il miglioramento delle piste, gli sci sono arrivati gradualmente alla forma attuale. Gli sci attuali hanno lamine di metallo che incidono la neve e consentono una migliore tenuta; anche gli attacchi sono stati modificati e tutti gli sci sono dotati di un sistema di attacco e sgancio rapido; quest’ultima caratteristica è molto importante in quanto, in caso di caduta, lo sci si sgancia dal piede e si evitano sollecitazioni alle gambe e alle ginocchia dello sciatore.
Lo sci come pratica sportiva è nato verso la metà del 1800, grazie a Sondre Norheim, un norvegese considerato unanimemente il padre dello sci moderno.
A partire dagli anni ’70 del XX secolo lo sci alpino è diventato uno sport sempre più seguito e praticato. Ciò ha fatto sì che si moltiplicassero le strutture idonee all’accoglimento dei numerosi dilettanti appassionati di questo sport. Questo interesse ha fatto sì che lo sci sia diventato un fenomeno turistico di fondamentale importanza per molte località montane; esso infatti rappresenta una delle loro maggiori risorse economiche. Il problema fondamentale è che quasi tutte le persone che si presentano sulle piste da sci non sono adeguatamente preparate allo sforzo che devono compiere né dal punto di vista tecnico né dal punto di vista fisico. Pare pertanto ragionevole porsi la domanda che dà il titolo al paragrafo sottostante.

Lo sci è uno sport pericoloso?
Lo sci è uno sport pericoloso?
Sicuramente sì; lo sci è uno sport pericoloso. Solo chi non è oggettivo e vuole vendere al pubblico soluzioni proprie (“amo lo sci, che pericolo vuoi che ci sia?”) non sa leggere i numeri e, di fatto, dimostra un’incapacità razionale preoccupante. Ovviamente chi è nel settore ha tutto l’interesse a presentare i dati in modo positivo. Basta un minimo di buon senso per capire quando una statistica è manipolata.
Circola in Rete una statistica del prof. Franz Berghold, docente all’Università di Salisburgo, che ci dice che gli incidenti sono diminuiti del 20% negli ultimi 15 anni. Questo dato non dice nulla sulla pericolosità, ma solo di una diminuzione della stessa. Il professore se ne accorge e allora ecco che completa la sua opera citando il fatto che il calcio sarebbe 8 volte più pericoloso dello sci. I punti critici della statistica del professore sono due: il concetto di incidente (vedi oltre) e la scelta del paragone. Il calcio è sicuramente uno sport a rischio, ma viene praticato spesso agonisticamente (a ogni livello), non solo per divertimento. La statistica di Berghold commette cioè un errore sul campione perché da un lato (sci) la percentuale degli agonisti è bassissima, mentre dall’altro (calcio) è comunque alta (chiedete a un giocatore di terza categoria e vi spiegherà come si picchia!). Se si omogeneizzasse il campione (agonisti oppure non agonisti) lo sci ne uscirebbe a pezzi: basta considerare i gravissimi incidenti nelle gare di Coppa del mondo.
La stessa fonte si sente in dovere di aggiungere un’altra informazione (di parte, fra l’altro): secondo una statistica realizzata in Trentino ci sarebbero stati solo 4.070 incidenti (di diversa tipologia alcuni senza infortunati) su 56 milioni di passaggi a tornelli di funivie e seggiovie. Con un po’ di conti, arriva a sostenere che chi fa circa 14 giornate a stagione ha in media una probabilità di infortunio ogni 76 anni.
Dov’è il punto debole della statistica? Il concetto di incidente che non è definito. Anzi, fa comodo non definirlo. Vediamo perché.
Da un punto di vista pratico, la raccolta dei dati su un numero così grande di utenti può essere fatta solo in forma passiva, cioè attraverso verbali di polizia o ricoveri ospedalieri. Il bello è che usare “incidente” consente poi di dire che molti casi non sono gravi (esempi: scontro di due sciatori che degenera in rissa; caso della madre iperprotettiva che porta il figlio in ospedale per una banale contusione). Gli incidenti lievi mascherano quelli gravi.
C’è di più. Gran parte degli incidenti, anche seri, non viene ospedalizzata. Pensiamo a una distorsione o a una rottura parziale (che dà un dolore tutto sommato modesto e, in chi non è apprensivo, può non generare preoccupazione): sicuramente possono essere invalidanti in futuro, ma la maggior parte di noi preferirebbe ritornare nella propria città, salvo poi andare al pronto soccorso la mattina dopo e… scoprire che i legamenti sono stati compromessi.
Pertanto i 4.070 incidenti possono nascondere almeno il doppio di “infortuni di media/alta gravità” (togliendo i non-infortuni e aggiungendo i non ospedalizzati). Quindi i 76 anni diventano 38 anni circa. Come dire che, in media, un ragazzo che inizia a sciare a 10 anni a 48 è “certo” di aver avuto un incidente serio.
Chi vuole assolvere lo sci non riesce a capire che non è tanto la contusione, la frattura reversibile ecc. che lo rendono uno sport pericoloso, ma gli incidenti irreversibili, quelli che “non ti fanno più tornare come prima”. Solo su questi sarebbe necessario fare una statistica e confrontare con altri sport. Vediamo un caso classico in cui non ci si attiene a questa banale e sensata conclusione.
Un amante dello sci ha proposto il risibile paragone di rischiosità con la corsa, sostenendo che un runner avrebbe in media un infortunio all’anno. Peccato che non sia arrivato a comprendere che un’infiammazione alla bandelletta è un trauma reversibile mentre molte rotture dei legamenti a seguito dello sci non lo sono.
Il peggio è raggiunto da questo pezzo che ho trovato in Rete: …tuttavia, se consideriamo la tipologia degli infortuni si scopre che quelli veramente gravi (fratture del capo, del tronco e della schiena, lesioni interne e del midollo) sono meno del 6% e la grande maggioranza sono semplici contusioni o lussazioni. Anche l’incidenza delle temute rotture dei legamenti del ginocchio sono inferiori al 3%.
Il pezzo è agghiacciante perché non si accorge che il 9% degli infortuni (cioè quasi uno su dieci) mi porta diritto in ospedale per un grave danno, cosa che per esempio solo lo 0,1% degli infortuni della corsa fa (per esempio rottura di un tendine d’Achille, molto rara). Il pezzo non ha il minimo senso della quantificazione degli eventi, non riesce (come succede a molte persone irrazionali o romantiche, accecate dalla loro idea dominante) ad avere il senso delle proporzioni. Scientificità nulla.
Quindi, se volete sciare, fatelo, ma non manipolate i numeri per sentirvi immortali.
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