La potenza metabolica è un concetto che riguarda qualunque attività fisica, ma da qualche anno sembra aver trovato la sua migliore collocazione nel calcio. Gli studi in materia si rifanno soprattutto ai lavori di Di Prampero e di Colli; in lingua inglese non c’è molto, tanto che se su Google si cerca “metabolic power”, soccer si trova un numero di risultati che è circa 7 volte inferiore al numero di risultati che si trova per “potenza metabolica” calcio, nonostante l’ambiente inglese sia 80 volte quello italiano. Un concetto che nasce in Italia e che cerca quindi un’espansione globale. Secondo il modello tradizionale della valutazione funzionale del calciatore, grande importanza riveste la match analysis quantitativa, ovvero la distribuzione in funzione della velocità dei metri percorsi sul campo. Così, per esempio, un professionista percorre circa 12 km dei quali 2,5 oltre i 14,4 km/h e 800 m oltre i 20 km/h (alta intensità). Ovviamente questo è un esempio medio, valori attorno ai quali si muovono i dati reali che dipendono anche dal ruolo e dallo stato di forma del giocatore. Studiando i dati per i due tempi della partita (o addirittura per le porzioni di tempo) si può studiare poi il grado di fatica cui il giocatore è sottoposto (diminuiscono i km ad alta intensità).
Il modello metabolico
Di Prampero, Colli e al. sono partiti dal presupposto che il giocatore non corra a ritmo uniforme, ma acceleri e deceleri con grande dispendio energetico. Utilizzando dati GPS sono riusciti a esprimere i dati della potenza metabolica e hanno fissato in 20 W/kg il livello dell’alta intensità. La giustificazione della loro proposta nasce dal fatto che studiando le velocità si trova, per esempio, che un giocatore supera i 16 km/h solo per il 6% del tempo, mentre supera il valore di 20 W/kg per il 43% dell’energia totale spesa in partita. In altri termini, la distribuzione della potenza metabolica (rispetto al tempo, alla distanza o all’energia totale) sarebbe più significativa della distribuzione tradizionale della velocità (rispetto al tempo o alla distanza totale).

La potenza metabolica è un concetto che riguarda qualunque attività fisica, ma da qualche anno sembra aver trovato la sua migliore collocazione nel calcio.
Critiche a entrambi i modelli
Diverse sono le critiche a entrambi i modelli.
Valore assoluto – La critica più evidente a entrambi i modelli è che non danno dati validi in assoluto. Sia per esempio data una distribuzione relativa a un giocatore, nulla si può dire circa il suo valore effettivo perché i valori dipendono dal tipo di partita (avversario) che ha giocato.Con un’analogia con il mezzofondista che corre i 10000 m, se noi abbiamo il suo tempo finale, nulla possiamo dire sul suo valore o sul suo stato di forma, se non conosciamo molti altri parametri, del tipo: fondo del terreno (per esempio pista d’atletica, asfalto, campestre ecc.), clima (per esempio temperatura, umidità ecc.), tattica di gara ecc.
Nell’atletica, il valore dell’atleta è determinato dalla sua migliore prestazione (stagionale) in condizioni ottimali, per esempio un 10000 m corso in pista in ottime condizioni climatiche, trainato da lepri (o avversari) valide che abbiano impresso alla gara un ritmo sufficientemente uniforme. Di solito, questo valore coincide con il record stagionale dell’atleta, record che può dare indicazioni sulla sua caratura.
Nel calcio la distribuzione delle potenze (o delle velocità nel modello tradizionale) varia ovviamente in funzione della partita e tale variazione può essere veramente molto grande; apparirebbe ragionevole assumere come valutazione funzionale del giocatore la distribuzione migliore (che chiameremo distribuzione di picco), ma resta sempre il dubbio che, in altre condizioni, il giocatore avrebbe potuto fare meglio (per esempio perché sfruttato meglio dall’allenatore!).
Si noti poi come il fatto che in una successiva partita il giocatore faccia peggio non sia condizione sufficiente per dire che la sua forma è scaduta perché potrebbe semplicemente significare che la partita era “diversa”, cioè aveva caratteristiche tali da deprimere la potenza metabolica del giocatore, di non farla esprimere compiutamente.
Esaurimento – Una seconda critica meno immediata è che non sono modelli a esaurimento. Quando si dice che un atleta ha una certa soglia anaerobica, un certo massimo consumo d’ossigeno ecc. si parla di grandezze determinate su prove comunque massimali del soggetto (sia in laboratorio che sul campo).
In realtà, a meno che la partita non sia tiratissima da entrambi i lati, la distribuzione è sempre inferiore al reale valore dell’atleta. Si noti come il gap fra valore misurato e valore reale dipenda anche dalla psicologia del giocatore che in determinati periodi della stagione o della carriera può avvicinarsi al suo rendimento massimo semplicemente perché più motivato (magari, anche in questo caso, perché inserito in uno schema di gioco più “accettato”).
Soggettività – Poiché il calcio è un gioco pesantemente tecnico, appare assurdo fissare i vari livelli di intensità (per esempio quello di massima intensità); appare invece opportuno riferirli alla storia del singolo giocatore per sfruttarne al meglio le caratteristiche globali.
Conclusioni
Il modello metabolico segna sicuramente un progresso rispetto a quello tradizionale, Per esempio spiega perché non è possibile prescindere nell’allenamento specifico dall’uso della palla, senza la quale non si possono avere le accelerazioni/decelerazioni che incrementano oltre misura la necessità di una buona potenza metabolica. Tuttavia non può esaurire la descrizione del giocatore, anzi.
Da quanto detto, uno stesso giocatore inserito in due squadre diverse con due allenatori diversi può avere una distribuzione di picco molto diversa, pur avendo lo stesso livello di forma fisica. Da ciò discende che molto si basa ancora sull’intuito dell’allenatore che deve capire la significatività dei dati, senza applicarli in modo meccanico e impersonale.
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