Il modello della prestazione nella corsa più completo e recente è quello elaborato da Albanesi (vedasi immagine sottoriportata); è una sintesi di quanto presente in letteratura fino al 2015. Il punto di partenza del nostro viaggio è rappresentato dai muscoli. Quando l’atleta decide di correre a una certa velocità, si attivano i meccanismi energetici che devono supportarla. I muscoli richiedono (A) al cuore di far arrivare più ossigeno (Hill, 1925); in base a questa richiesta il sistema cardiovascolare si attiva e trasporta l’ossigeno ai muscoli (via O). Come abbiamo visto, aumenta il consumo di ossigeno e, se lo sforzo è basso, per produrre energia viene utilizzata praticamente solo la via aerobica; all’aumentare dello sforzo, viene significativamente utilizzata anche la via anaerobica. Per questo il blocco 4 è suddiviso in due comparti diseguali (nella figura non sono in scala perché il contributo anaerobico è sempre decisamente inferiore). All’aumentare della componente anaerobica si ha incremento di produzione di lattato (blocco 8).
Un’importante considerazione evidenziata da Noakes (1998) e Peltonen (2001) è l’assenza di fenomeni anginosi (dolori al petto) in atleti sani anche in condizioni di massimo sforzo a notevole altitudine. Anche Albanesi (2002) evidenziò la pressoché totale mancanza di grave sofferenza cardiaca in atleti sani. Considerando che l’attività contrattile del cuore è danneggiata da una mancanza di ossigeno (cioè il cuore non sa contrarsi anaerobicamente) è evidente che deve esserci un meccanismo di controllo che, a causa della via F (cioè l’incremento del lattato percepito dal cuore), innesca il segnale G al cervello (nel modello si parla di neurocontrollo perché non è ancora noto quali centri del sistema nervoso intervengano) che a sua volta (via H) blocca il reclutamento delle fibre muscolari deputate all’esercizio.
È molto probabile che la situazione rappresentata dal blocco 8 (incremento del lattato) non agisca come limitatore solo sul cuore, ma anche su altri organi (cervello o diaframma) che a loro volta possono mandare (via I) segnali al centro di neurocontrollo per attivare il segnale H.
Come si può notare, il lavoro prodotto dall’atleta viene modulato (via C) dall’economia di corsa (blocco 5); finalmente applicato (via D) alla meccanica (il cui elemento prioritario è il peso, blocco 6), produce il movimento e quindi la prestazione (blocco 7).
La prestazione è il risultato del contributo aerobico L e di quello anaerobico M.
Vediamo ora alcune considerazioni sulle singole scatole del modello, prima di vedere in dettaglio alcune di esse.
I muscoli – La presenza della via di blocco H spiega per esempio perché nella corsa di resistenza una muscolatura eccessiva può essere controproducente: meccanicamente aumenta il peso dell’atleta senza alcun beneficio perché, superata una certa concentrazione di lattato, i muscoli non vengono sfruttati al massimo del loro potenziale a causa della retroazione H.
Il concetto di reclutamento delle fibre muscolari non è molto noto, ma spiega in particolare perché atleti anaerobici molto potenti possano andare in crisi improvvisamente non appena la durata e l’intensità della corsa di resistenza superano certi livelli.
Il VO2max – Nella corsa di resistenza, per un dato atleta, è praticamente relazionato al massimo contributo C possibile. Nella tabella sottostante sono mostrati i VO2max di alcuni grandi atleti e la loro miglior performance.
Massimo consumo di ossigeno in alcuni atleti di valore mondiale
Atleta | VO2max (ml.kg-1.min-1) | Miglior prestazione | Fonte |
J. Ngugi | 85 | 5000 m: 13’11″70 (1988) | Saltin, Larsen (1995) |
D. Bedford | 85 | WR 10000 m: 27’30″8 (1973) | Bergh (1982) |
H. Rono | 84,3 | WR 10000 m: 27’22″4 (1978) | Saltin, Larsen (1995) |
S. Aouita | 83 | WR 5000 m: 12’58″39 (1987) | Zur e Hymans (1991) |
K. Keino | 82 | WR 3000 m: 7’39″6 (1965) | Saltin e Astrand (1967) |
J. Ryun | 81 | WR 1500 m: 3’33″1 (1967) | Daniels (1974) |
J. Benoit (F) | 78,6 | Maratona: 2h22’43” (1983) | Daniels e Daniels (1992) |
S. Coe | 77 | WR 800 m: 1’41″72 (1981) | Zur e Hymans (1991) |
A. Salazar | 76 | Maratona: 2h08’51” (1982)” | Costill (1982) |
G. Waitz (F) | 73 | Maratona: 2h25’42” (1980) (1) | Costill e Higdon (1981) |
P. Snell | 72,3 | WR 800 m: 1’44″3 (1962) | Carter (1967) |
F. Shorter | 71,3 | Maratona: 2h10’30” (1972) | Pollock (1977) |
D. Clayton | 69,7 | Maratona: 2h08’34” (1969) | Costill (1971) |
(1) Non la sua miglior prestazione in assoluto
Nell’articolo Massimo consumo di ossigeno vengono analizzate le variabili che influenzano questa grandezza.
L’economia della corsa – Moltissimi autori hanno diffuso il concetto che il VO2max potesse essere un buon rilevatore della caratura di un atleta, potesse cioè prevedere la sua performance. In realtà si nota che grandi atleti hanno valori elevati di massimo consumo di ossigeno, ma se si esaminano gruppi di atleti con VO2max simili si nota (informazione già nota dal 1980 anche su atleti non d’élite, Conley e Krahenbuhl) che all’interno del gruppo non c’è una stretta correlazione fra prestazione e VO2max. Inoltre esistono atleti con un altissimo VO2max che non hanno mai ottenuto risultati brillanti (come Gary Tuttle, valore di VO2max di 82,7, ma record in maratona di sole 2h17′).
Deve esistere un fattore (già postulato da Dill nel 1930) che moduli in qualche modo il VO2max. Tale fattore è l’economicità della corsa.

Economicità della corsa e massimo consumo di ossigeno
Notiamo il grafico (Noakes, 2002) nella figura soprariportata. L’atleta A è quello che possiede il più alto VO2max, mentre B e C lo hanno uguale, ma inferiore a quello di A. Alla velocità di 18 km/h, A (che è poco economico) deve usare una percentuale del suo VO2max maggiore rispetto a B e C; il risultato sarà che per sostenere la velocità dovrà ricorrere maggiormente al lavoro anaerobico, la sua concentrazione di lattato salirà più facilmente innescando il meccanismo F con conseguente limitazione H. C usa meglio il suo ridotto VO2max, mentre B e A in un certo senso sprecano l’opportunità. Probabilmente a un osservatore esterno alla velocità di 20 km/h C apparirà ancora in buon equilibrio, mentre A e B appariranno già molto provati.
Il sistema respiratorio – Diversi sono i fattori che intervengono nella quantità di ossigeno fornito ai muscoli, ma ad alcuni potrebbe risultare strano che si parli solo di sistema cardiovascolare, trascurando i polmoni e l’attività respiratoria. Molti studi (fra i quali si devono citare quelli di Sutton e Reeves, 1988) mostrano che un individuo sano ha sufficienti riserve ventilatorie; in altri termini, una moderata capacità polmonare non è correlata a una diminuzione del VO2max.
La prestazione – Poiché all’incremento del lattato si attiva la retroazione H e tale incremento continua nel tempo, se si superano certe percentuali del VO2max, il modello spiega perché all’aumentare della distanza oggetto di studio, il contributo allo sforzo massimale su tale distanza della componente anaerobica sia più limitato, cioè perché nel blocco 4 la zona anaerobica sia più piccola. Ben si comprende quindi che per distanze tipiche del fondo, il vero parametro che può predire la prestazione di un atleta sia il lavoro aerobico; il VO2max può essere una valida alternativa solo nell’ipotesi che gli atleti considerati abbiano tutti la stessa economia di corsa.
La capacità di tamponamento lattacido – La capacità di lavorare con alte concentrazioni di acido lattico deve considerarsi un fatto positivo perché indica che la via F viene attivata più tardi. Se fosse possibile (gli integratori proposti, fra cui il bicarbonato, non funzionano significativamente) tamponare l’acido lattico, si ritarderebbe la retroazione H che limita l’intero sistema.
Fattori esterni e fattori interni non energetici – Nel modello queste due componenti servono a spiegare come mai solo nel 30% degli atleti si verifica il plateau di VO2max, nonché a spiegare una diminuzione della prestazione senza che vi siano intoppi alla via energetica classica. In molti soggetti non particolarmente allenati lo stato di fatica arriva molto prima che si sia raggiunto un massimo consumo di ossigeno; in sedentari forzati all’attività sportiva il fenomeno è ancora più evidente, non attivandosi nemmeno il processo anaerobico.
L’incapacità di gestire spiacevoli sensazioni come una copiosa sudorazione, un respiro affannato, la preoccupazione per la propria salute, una certa dolorabilità muscolare ecc. portano il principiante a far partire il segnale H a prescindere dal segnale G di pericolo. Anche se non è negli scopi del modello, si noti come esso possa spiegare anche una ridotta prestazione a causa di un infortunio (fattore interno non energetico): il dolore rilevato dal centro di controllo attiva il segnale H che risparmia parzialmente l’arto infortunato.
La mente – Dall’ultimo paragrafo si può dedurre che un buon allenamento mentale deve tendere a migliorare i blocchi 10 e 11, cioè fare in modo che non mandino troppo presto i segnali al centro di controllo, questo ovviamente senza eliminare del tutto tali segnali, senza cioè che ci siano danni all’incolumità dell’atleta. Ciò è particolarmente importante per chi inizia e ha un’esagerata percezione della fatica.
Il fatto che molti soggetti non riescano a migliorare significativamente può dipendere proprio dall’avere un centro di neurocontrollo troppo sensibile ai blocchi 10 e 11. Anche la psicologia del runner (si pensi all’importanza della motivazione nella prestazione) ha un’importanza fondamentale per spiegare un prematuro segnale H.
Riserve glicidiche – Anche se veramente importanti a livello pratico solo per distanze superiori ai 30 km, è corretto inserirle nel modello affinché possa valere anche per maratona e ultramaratona.
Per approfondire si consulti il capitolo 8 de Il manuale completo della corsa.
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