Il crollo dell’URSS e la fine del blocco sovietico avvennero a partire dalla fine degli anni Ottanta con l’indipendentismo dei Paesi baltici e poi più drasticamente negli anni Novanta.
Dopo la morte di Stalin, Krusciov fu eletto primo segretario del partito e nel 1955 l’URSS firmò con sette democrazie popolari il patto di Varsavia in contrasto alla NATO. Le relazioni con la Cina iniziarono a deteriorarsi. Nel 1956 l’esercito sovietico represse il tentativo di liberalizzazione dell’Ungheria. Era ormai chiaro che i Paesi dell’Est sotto l’influenza sovietica non avevano possibilità di sviluppare percorsi democratici.
L’anno seguente venne lanciato il primo satellite artificiale della Terra (Sputnik I). Nel 1962 l’installazione a Cuba di missili sovietici provocò una grave crisi con gli Stati Uniti. Nel 1964, destituito Krusciov, Brežnev lo sostituì alla testa del partito. Nel 1968 l’URSS intervenne militarmente in Cecoslovacchia. Negli anni ’70 l’URSS firmò gli accordi SALT I e SALT II, che cercavano di limitare la corsa agli armamenti nucleari. Nel 1979 le truppe sovietiche occuparono l’Afghanistan. Alla morte di Brežnev, Andropov diventò segretario generale del partito, ma solo dopo due anni, alla sua morte, gli succedette Černenko. Fu però con Gorbaciov che si intraprese un rinnovamento dei quadri del partito, con un’innovazione generale (perestroika), con la promozione di varie riforme in vista di una maggiore efficienza economica e di una democratizzazione delle istituzioni e con il rilancio della destalinizzazione. Gorbaciov rinnovò il dialogo con gli Stati Uniti (incontri con Reagan) con i quali firmò un accordo per l’eliminazione dei missili di media portata in Europa. L’URSS ritirò le proprie truppe dall’Afghanistan e si riavvicinò alla Cina. Si tennero le prime elezioni a candidature multiple e nel 1990 il ruolo dirigente nel partito fu abolito e venne instaurato un regime presidenziale. Gorbaciov fu eletto alla presidenza dell’URSS dal congresso dei deputati del popolo e l’URSS, firmando il trattato di Mosca, accettò l’unificazione della Germania.
La disorganizzazione economica, che metteva in discussione l’efficacia delle riforme volte all’instaurazione di un’economia di mercato, e le tensioni tra il governo centrale e le repubbliche federali minacciarono la sopravvivenza della federazione sovietica. Nel 1991 il tentativo di colpo di Stato dei conservatori contro Gorbaciov fallì grazie alla resistenza condotta da Eltsin. Il ripristino dell’indipendenza dei Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), riconosciuti dalla comunità internazionale (settembre), fu seguito dal crollo dell’URSS e dalle dimissioni di Gorbaciov. La Russia, l’Ucraina, la Bielorussia, la Moldavia, le repubbliche dell’Asia centrale e quelle del Caucaso (eccetto la Georgia), che avevano proclamato la loro indipendenza, crearono la Comunità di Stati Indipendenti (CSI). Essa succedette all’URSS come potenza nucleare e come membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Approfittando della democratizzazione dell’URSS, alla fine degli anni ’80 anche gli altri Paesi del blocco sovietico abbatterono i precedenti regimi. In Bulgaria furono indette elezioni libere. In Romania cadde la dittatura di Ceausescu che fu mandato a morte con la moglie. In Ungheria il partito abbandonò ogni riferimento al marxismo-leninismo e rinunciò al suo ruolo dirigente e una revisione della costituzione aprì la via al multipartitismo; la Repubblica popolare ungherese diventò ufficialmente la Repubblica di Ungheria. In Cecoslovacchia importanti manifestazioni contro il regime portarono alle dimissioni dei principali dirigenti, all’abolizione del ruolo dirigente del partito e alla formazione di un governo di intenti nazionali, nel quale i comunisti erano minoritari. Il dissidente Havel fu eletto alla presidenza della repubblica. Nel 1990 il Paese prese ufficialmente il nome di Repubblica Federativa Ceca e Slovacca. Pochi anni dopo la Repubblica Ceca e la Slovacchia si divisero.
In Polonia il vento di libertà era cominciato a soffiare già alla fine degli anni ’70. Nel 1980, a seguito di consistenti scioperi e dell’accordo di Danzica, venne creato il sindacato Solidarność, guidato da Lech Walesa. I sovietici avanzarono minacce di intervento militare che però mai si avverarono. Nel 1988 scoppiarono scioperi di protesta contro il rialzo dei prezzi e per la legalizzazione del sindacato Solidarność. Trattative tra il potere e l’opposizione si conclusero con il ripristino del pluralismo sindacale (legalizzazione di Solidarność) e la democratizzazione delle istituzioni. Il nuovo parlamento uscito dalle elezioni, all’interno del quale l’opposizione riportò un notevole successo, elesse il generale Jaruzelski alla presidenza della repubblica. Mazowiecki, uno dei dirigenti di Solidarność, divenne capo di un governo di coalizione e il ruolo dirigente del partito fu abolito; il Paese riprese ufficialmente il nome di Repubblica di Polonia. Nel 1990 Lech Walesa fu eletto alla presidenza della repubblica a suffragio universale.
Più cruento fu il destino della Jugoslavia. Nel 1990 furono indette elezioni multipartitiche nelle sei repubbliche; a seguito del risultato delle elezioni Croazia e Slovenia dichiararono l’indipendenza, contrastate militarmente dalla Serbia che voleva mantenere l’unità; l’esercito federale fu sconfitto, come pure non riuscì a impedire l’indipendenza della Bosnia. Dopo la proclamazione dell’indipendenza di Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Macedonia, lo Stato jugoslavo fu limitato ai soli territori della Serbia e del Montenegro che decisero di unirsi, dando vita alla Repubblica Federale di Jugoslavia.

Il movimento cattolico Solidarność fece leva sull’identità cattolica dei polacchi e divenne il simbolo del desiderio di libertà che portò al crollo dell’URSS, anticipando gli altri movimenti indipedentisti
Cronologia
1986 – In Lettonia viene fondato un movimento per la difesa dei diritti umani apertamente anti-comunista, mentre a Riga esplode una manifestazione contro il regime sovietico.
1988 – In Estonia vengono approvate leggi osteggiate dal governo centrale di Mosca, nel Caucaso scoppia la guerra civile.
1990 – Prime libere elezioni in tutte le repubbliche dell’URSS, dopo le quali per prima la Lituania e poi le altre repubbliche baltiche dichiarano l’indipendenza.
1991 – Scioglimento del patto di Varsavia: Gorbaciov cerca di trasformare la Russia in uno Stato meno centralizzato con il Nuovo Trattato d’Unione che deve rendere l’Unione Sovietica una federazione di repubbliche indipendenti con un unico presidente. I suoi ministri tentano di boicottarlo con un colpo di Stato, ma la popolazione lo impedisce.
8 dicembre 1991 – Accordo di Belaveža: dopo un referendum vinto dal fronte indipendentista, i capi di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono la dissoluzione dell’Unione Sovietica, sostituita da una comunità di Stati indipendenti.
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