In una definizione estesa, la repubblica presidenziale è una forma di governo in cui spetta maggiore importanza, a livello costituzionale, a un unico soggetto (il Presidente dello Stato, il Re, il segretario dell’unico partito ammesso ecc.).
In un certo senso, si contrappone alla democrazia diretta e alla democrazia parlamentare (in cui il fulcro della vita politica è il parlamento, come in Italia).
I puristi della politica avranno sicuramente notato la locuzione “definizione estesa”. Infatti, in senso stretto, nella repubblica presidenziale
- Il Presidente viene eletto direttamente dai cittadini
- Il Presidente rappresenta da solo il potere esecutivo (il governo è quindi un organo monocratico), cioè è capo dello Stato e del governo
- Presidente e parlamento si controllano e si limitano reciprocamente (per esempio il Presidente può mettere il veto a una legge parlamentare e il parlamento può bocciare leggi presidenziali).
- Il parlamento non può rimuovere il Presidente con la sfiducia (come può accadere nelle repubbliche parlamentari con il premier), ma deve seguire l’iter dell’impeachment, una soluzione molto più complessa.
Dalla definizione ristretta a quella estesa ci sono tante possibilità “reali”; infatti, in alcuni casi si parla di repubblica semipresidenziale (come la Francia o la Russia, il termine semipresidenziale indica che il potere esecutivo dipende da due organi eletti separatamente, il Presidente della repubblica e il Parlamento. Il Primo Ministro viene perciò nominato dal Presidente, ma necessita, insieme al resto del suo esecutivo, della fiducia parlamentare).
La Cina sarebbe addirittura una repubblica popolare, ma dal 1949 le più importanti cariche dello Stato sono sempre state occupate dai dirigenti del Partito Comunista Cinese e l’attuale Presidente della Repubblica è il segretario generale del partito Xi Jinping, come accadeva per il suo predecessore Hu Jintao).
Il Regno Unito sarebbe una monarchia parlamentare, ma tutte le leggi devono avere l’assenso regio prima di divenire legge.
Da notare che, secondo la definizione ristretta che appare puramente teorica, nemmeno gli USA sarebbero una repubblica presidenziale perché il Presidente è eletto da un collegio di grandi elettori eletti sulla base delle preferenze nei vari Stati, ognuno dei quali ha una ben precisa quota di grandi elettori; può accadere che un Presidente venga eletto anche se globalmente ha preso meno voti considerando la nazione intera, come George W. Bush nel 2000 e Donald Trump nel 2016.
In questo articolo considereremo solo la definizione estesa.

La Francia è una repubblica semipresidenziale dove il potere esecutivo è condiviso tra il presidente della repubblica e il primo ministro; il presidente nomina il primo ministro e, su proposta di quest’ultimo, gli altri membri del governo e il primo ministro deve avere la fiducia da parte dell’Assemblea Nazionale
I pregi della repubblica presidenziale
Con la globalizzazione appare a tutti evidente che le tre superpotenze (USA, Cina e Russia) hanno acquistato ancora più potere a scapito di altri Stati dell’Occidente (Unione Europea in primis).
Ovviamente, in una repubblica presidenziale le decisioni sono più rapide e quindi in un mondo diventato sempre più veloce, il Paese diventa più competitivo. Non è accettabile che in un regime parlamentare un minuscolo partito con qualche percento di elettori possa condizionare (leggasi: bloccare) la vita del Paese.
I difetti della repubblica presidenziale
I principali sarebbero due:
- Un possibile attentato alla democrazia con una virata verso una dittatura soft. Gli esempi più evidenti possono essere quelli cdi alcune repubbliche presidenziali dell’America Latina.
- Un possibile stallo fra Presidente e parlamento, che, essendo eletti separatamente, possono essere espressione di differenti parti politiche.
Il primo problema diventa reale se il livello di democrazia dei cittadini non è adeguato. Nei Paesi occidentali è impensabile che si ritorni a una società che permetta dittature come il fascismo e il nazismo, semplicemente perché il livello minimo di benessere coinvolge la maggioranza della popolazione e le frange “realmente” estremiste non rappresentano che un qualche percento della popolazione. In questa situazione diventa pretestuoso bocciare il presidenzialismo evocando lo spettro della dittatura in presenza di un leader decisionista. Tutto ciò è stato ben capito dai mercati finanziari che hanno bocciato le paure di una guerra civile americana in seguito all’occupazione del Campidoglio americano con un bel rialzo. La prova più evidente della tenuta democratica degli USA è il totale fallimento del tentativo di Donald Trump (2021) di chiamare i suoi sostenitori a invalidare il voto in favore di Biden. Riassumendo:
a prescindere dalla caratura “violenta” di un leader, la tenuta democratica di un Paese è assicurata dal tenore di vita della sua popolazione.
Il secondo problema si ha per esempio negli USA quando il Congresso non approva gli stanziamenti pubblici previsti dal Governo all’inizio dell’anno fiscale, provocando uno shutdown, cioè la chiusura delle attività amministrative non fondamentali, fino a che il Congresso non approva la legge. Gli esempi americani con Obama e con Trump mostrano però che tale eventualità è veramente solo un piccolo inconveniente rispetto ai vantaggi del presidenzialismo.