Se si cerca razzismo su Treccani, si trova questa definizione: “In senso stretto, il razzismo, come teoria della divisione biologica dell’umanità in razze superiori e inferiori, è un fenomeno relativamente recente. È antichissima, invece, la tendenza a discriminare i ‘diversi’ (nazioni, culture, classi sociali inferiori), e la principale funzione del razzismo, in tutte le varianti, fu sempre di giustificare qualche forma di discriminazione o oppressione.“.
La definizione moderna è ormai ampiamente superata, se non altro per i danni che ha provocato in tempi recenti (vedasi il nazismo e l’Olocausto); la definizione classica è quella corretta, anche se, come vedremo, porterà a concludere che
siamo tutti razzisti.
La parola chiave è “discriminazione”. Non importa la diversità (tutti siamo diversi), il razzismo scatta quando c’è discriminazione, atto che può fare danni lievi o gravissimi, ma comunque, già nel termine, è inaccettabile.
Il razzismo mediatico
Per comprendere il significato e le cause del razzismo partiamo da ciò che accade quando in Italia c’è un terremoto. Non di quelli gravi, ma nemmeno di quelli devastanti, supponiamo cinque vittime e un migliaio di sfollati. I media ne parlano per giorni, ti raccontano tutto delle vittime (forse per soddisfare la morbosa curiosità di chi ha tempo di sentirsi raccontare la storia di uno che fino a ieri era per lui un perfetto sconosciuto), ci mostrano i funerali, le interviste con chi si è salvato, magari una raccolta fondi per chi ha subito. Bene, se nel Kerala (vedi agosto 2018), in India c’è stata un’alluvione con 400 morti e un milione (1.000.000) di senzatetto, il tg che fa? Un servizio di 30″, un minuto al massimo.
Stesso discorso con i migranti salvati in mare, resi eroi a uso e consumo dei media, quando in Africa ogni giorno migliaia di persone muoiono dopo una vita fatta di stenti e/o di violenze. Morale: la tv discrimina (razzismo mediatico), sceglie i “buoni” e i cattivi”, quelli non degni di attenzione; il telespettatore fa lo stesso aderendo a questa discriminazione. Niente fondi per gli indiani, penso neppure qualche lacrima per quei bambini che fra i 400 morti ci saranno pure stati, ma tanta, tanta commozione per i “nostri” bambini. Sensibilità italiana che si spegne quando arriva in India.
Chiunque dovrebbe arrivare a dirsi la verità: ovvio, gli italiani ci sono più vicini, contano di più degli indiani. Peccato che chi fa questo ragionamento per salvarsi dall’insensibilità indiana spesso è il primo a dirci che dovremmo occuparci dei migranti e chiama “razzisti” quelli che gli dicono che “prima vengono gli italiani”.
Andando più a fondo, nel nostro inconscio, noi siamo più vicini a chi è simile a noi, inutile negarlo. Lo dimostrano i 3.000 morti delle Torri Gemelle nel 2001. A prescindere dal terrorismo, quegli americani ci erano più vicini perché, tutto sommato, vivevano come noi e, sono certo, molti avranno pensato “e se accadeva a Milano o a Roma?”.
Qual è quindi l’anticamera di queste discriminazioni?
Le affermazioni statistiche
Per sapere cosa sono in dettaglio vi rimando all’articolo che ne parla; per ora basti ricordare che le affermazioni statistiche sono proposizioni che basano la propria ragione di essere su considerazioni statistiche: sottintendono cioè la locuzione “in media”. Esempi:
- gli uomini sono più veloci delle donne
- keniani ed etiopi sono migliori atleti di fondo rispetto agli europei
- gli svizzeri sono più ricchi dei rumeni
- una vacanza in Italia è più piacevole che una in Groenlandia.
Il classico bastian contrario che non ha capito nulla ci dirà che “non è vero, la campionessa mondiale batte il 99,99% degli uomini sui 100 m”. Non ha capito nulla perché dimentica ciò che è sottinteso: “in media“.
Fin qui molti approveranno, ma proviamo a citare affermazioni statistiche al negativo, che abbiano come oggetto un difetto, più o meno grave, per esempio: “gli italiani sono più criminali degli irlandesi”. Insurrezione popolare, non interessa se snoccioliamo statistiche a supporto (non so se sia vero, ma presi due popoli a caso e fissati i parametri di criminalità, uno dei due risulta in media più criminale dell’altro!): siamo razzisti.
Apriti cielo se poi tocchiamo tasti dolenti: “i preti sono più pedofili che gli insegnanti di inglese” (vedi le statistiche della pedofilia nei sacerdoti rispetto alla normale popolazione in Chiesa e pedofilia).
Quello che si deve capire è che:
chi ragiona correttamente, volente o nolente, ha in sé affermazioni statistiche.
Che poi siano giuste o sbagliate non importa, ce le ha e solo i suoi sensi di colpa, che tendono a fargli dimenticare la locuzione “in media”, possono tenerli a freno. L’esempio classico è quello della donna che di sera sale su un treno e deve scegliere fra uno scompartimento dove ci sono quattro suore e un altro dove ci sono quattro neri extracomunitari: solo se è masochista sceglie lo scompartimento con i quattro uomini. Razzista? In fondo con il suo ragionamento li ha discriminati.
Se si deve assumere un buttafuori per una discoteca e il titolare non ha tempo per esaminare tutte le domande che fa? Se dieci sono i pretendenti, scarta (o lascia per ultime) le due donne che si sono presentate perché “in media” sono “meno forti degli uomini”. Analogamente, se si deve scegliere un operatore alla segreteria, si tenderà a scegliere dapprima fra le donne perché sono più gentili e più ordinate.
Andiamo su esempi più pesanti. Un genitore per la propria figlia preferirebbe un ragazzo islamico o un occidentale? Visto come gli islamici trattano le donne, “in media”, se è ragionevole, preferirà un occidentale. Razzista? I buonisti ci vengono a dire che “non avrebbero nulla in contrario se la loro figlia sposasse un islamico”, ma ovviamente se lo figurano non praticante e all’occidentale perché se lo accettano “al buio”, beh, si dovrebbe togliere loro la patria potestà.
Ancora un esempio. Il concetto di razzismo si confonde spesso con l’omofobia per cui tutte le discriminazioni contro omosessuali vengono spesso vendute come razzismo. “un omosessuale non può sposarsi, né può adottare, assurdo!”. Beh, questa è la posizione del papa e della Chiesa. Razzisti? No, anche loro hanno in mente un’affermazione statistica: la famiglia composta da un uomo e una donna è migliore (in media)”. Non importa se sia vero o no, ma ce l’hanno in testa.
Noi facciamo discriminazioni che tendono a separarci da altri ritenuti non solo diversi, ma anche “peggiori” per qualche motivo. Parliamo dunque di separatismo.
Il principio di incompatibilità
Per capire a fondo il concetto, partiamo con un test; rispondete con spontaneità: queste due persone sono compatibili?
Le risposte in fondo all’articolo.
Per capire il fenomeno è fondamentale definire il concetto di compatibilità fra gruppi (principio di incompatibilità).
Due gruppi sono compatibili quando nella quotidianità ciò che è un diritto per uno non è un delitto per l’altro.
Supponiamo che due soggetti abbiano un’idea diversa su un determinato argomento. Il soggetto A può avvertire la tesi di B (e ovviamente viceversa) in modo da ritenerla un errore (anche gravissimo) o un vero e proprio delitto. Nel primo caso A e B sono compatibili, nel secondo no.
È il caso di due avversari politici in un Paese democratico: A potrà ritenere completamente sbagliata la politica sociale di B, ma non per questo ritiene B un essere delittuoso. Probabilmente in Italia il 90% della popolazione è compatibile per quanto possa essere acceso il dibattito politico, religioso, sociale ecc.
In base alla definizione di compatibilità si possono definire diversi altri concetti.
Il terrorismo
È ovvio che se B ritiene che A stia compiendo un delitto e che gli neghi un suo diritto possa agire in modo violento contro A. Per approfondire il tema sul terrorismo.
Il vero razzismo
Abbiamo visto che, a causa delle affermazioni statistiche proprie e della definizione classica di razzismo, tutti noi siamo razzisti nel senso lato del termine, cioè, anche inconsciamente, discriminiamo qualcuno. In effetti, si può parlare di varie forme di razzismo, per esempio:
- Razzismo di potere – Forma subdola in cui si stabilisce una differenza per legge (si pensi alla nobiltà, alla monarchia, alla dittatura ecc.) fra individui.
- Razzismo di reazione – Si ha quando un gruppo discriminato attua un eccesso di difesa che lo porta a discriminare a sua volta il gruppo forte. Un esempio classico è il femminismo esasperato, in cui la donna ritiene secondario il ruolo maschile nella società.
- Razzismo inverso – È il razzismo con cui una minoranza esagera i torti subiti dalla maggioranza e avanza pretese che a loro volta discriminano membri della maggioranza.
Tutte queste forme però, anche a sensazione, hanno ben poco a che vedere con il razzismo degli Stati Uniti del XIX sec. (schiavitù) o con quello nazista (Olocausto). Quindi, in senso stretto, quando si può parlare di “vero razzismo”? Due devono essere le condizioni:
- A e B sono compatibili; se manca la compatibilità, solo gli ingenui possono pensare che non ci possano essere giudizi negativi (e quindi discriminazioni) di una parte sull’altra.
- A o B esercita azioni violente sull’altro; se manca l’azione non può esserci razzismo. Per questo motivo, dire che non ci interessa minimamente quello che succede in India o nel Mediterraneo è solo ammettere che “non è nostra intenzione salvare tutto il mondo”. E questo non è razzismo, al più i sostenitori di ama il prossimo tuo come te stesso possono chiamarlo egoismo.
Integrazione e razzismo
Accanto alla figura del razzista, si può definire anche quella, altrettanto deleteria, dell’integrazionista, cioè di chi vuole far convivere gruppi incompatibili. Oltre a essere utopistica, la posizione dell’integrazionista è equivalente a quella del razzista (anche se meno odiosa) perché predispone a un successivo scontro di persone. È una bomba a orologeria. Non sottovalutate la pericolosità sociale degli integrazionisti che vogliono a tutti i costi far convivere gruppi incompatibili.
L’esempio classico è il pensare che possano convivere la concezione musulmana integralista della donna e una donna occidentale in topless su una spiaggia. Come è possibile far convivere le due persone? Solo chi manca di concretezza può pensare di riuscirci e ovviamente semina odio perché dalla forzata convivenza nasceranno poi forme di violenza.
Il separatismo
Dovrebbe essere a tutti ormai chiara la soluzione. Non contano il sesso, il colore della pelle, le idee politiche, sociali, religiose ecc.: conta la compatibilità, cioè il colore delle idee, del proprio cervello.
Se per me è un diritto ciò che per te è un delitto abbiamo colori delle idee diversi. È assurdo e utopistico sperare che possiamo vivere insieme, sotto lo stesso tetto. Uno dei due dovrà cedere, ma è giusto ciò? Assolutamente no. Da qui si deduce che l’unico modo per cui gruppi incompatibili possano vivere in pace è che rimangano separati (separatismo).
Islam
Applichiamo il separatismo al triste scontro fra mondo occidentale e islamismo. Fra le tante sciocchezze dette, appare evidente che oggi in Italia nessuno sa porsi in modo distaccato e razionale.
L’islam classico non può essere compatibile con la cultura occidentale. Non si tratta di essere tolleranti o di leggere e studiare il Corano, si tratta di valutare la realtà: per un islamico tradizionalista (attenzione, non si parla di integralismo) sono un delitto molte cose che per noi sono un diritto. Il colore della sua testa è diverso dal nostro. Però entrambi, lui e noi, abbiamo diritto di vivere la nostra vita. Per farlo non resta che ognuno la viva in un ambiente che sia consono a ciò in cui crede. L’islamico in un mondo islamico, l’occidentale in un mondo occidentale. Ovvio che l’islamico che vuol vivere in un mondo occidentale deve accettare le regole occidentali come un occidentale che vuole vivere in un mondo islamico deve accettare le regole islamiche. Poi gli interscambi culturali (che nessuno potrà fermare) modificheranno le varie civiltà e solo la Storia potrà dire cosa sceglierà l’Uomo. Nel frattempo, chi vuole parlare di integrazione deve tener conto di queste incompatibilità.
I rom
Applichiamo al popolo rom quanto detto sopra.
I rom sono uno degli esempi che dimostrano come una visione emotiva dell’uomo porti a ragionare solo a due valori, odio (da cui il razzismo) e amore, mentre in realtà esiste anche la semplice indifferenza. Una qualunque etnia dovrebbe essere per noi di per sé indifferente, istintivamente le nostre azioni verso di essa dipendono da come si comporta verso di noi!
L’analisi razionale che segue il primo pensiero (analisi che deve sempre esserci!) dovrebbe risultare molto semplice: i rom storicamente parassitano la società in cui vivono (a differenza di altre popolazioni, cercano il contatto con la nostra società per autosostenersi), senza nessuna volontà di integrarsi, con palesi violazioni dei diritti dei minori che vengono avviati al “lavoro” (leggasi, quando va bene, chiedere l’elemosina) come mezzo di sostentamento per gli adulti. Quindi sui rom si può discutere se e quanto danno fastidio, se e come contenerli, se e come integrarli, ma non santifichiamoli.
Il problema “rom” – Il problema dei rom deve essere affrontato con serenità di giudizio; vedere le loro ragioni, dal loro punto di vista, è solo patosensibilità; vedere le ragioni di chi per logica di comodo vorrebbe “eliminarli” è solo violenza; poiché cercare di far convivere gruppi incompatibili è assurdo, si deve partire da qui. I rom vanno anche aiutati a integrarsi, offrendo loro possibilità di lavoro. Se vogliono vivere di piccoli espedienti facciano pure, fin qui sono compatibili con noi. Se delinquono, massima durezza, senza patosensibilità, che non significa “razzismo”.
Veniamo al test.
Sì -> Siete integrazionisti.
Attenzione alle conseguenze.
No -> Sapete valutare la realtà.
Dipende dai casi -> Siete molto lontani dal comprendere la realtà
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