La rabbia sociale è associabile non a una figura politica, ma psicologica (arrabbiato sociale), un insofferente che applica alla politica le sue maggiori risorse: l’aspettativa va delusa e la reazione non equilibrata esplode nella rabbia sociale.
Nei Paesi occidentali, per il Personalismo, la democrazia è la forma più concreta di convivenza civile.
Questo è, se vogliamo, un assioma. Che le democrazie non siano perfette non ci piove, ma pretendere che lo siano significa spesso finire come il giustiziere della notte (violento non criminale) che pretende di applicare la (sua) giustizia anziché applicare la legge, per lui imperfetta. Una persona equilibrata sa che la legge può fallire perché il criminale ha usato un cavillo, è amareggiata, ma non pretende di farsi giustizia da sé. Il violento non criminale sì.
Analogamente, gli arrabbiati sociali identificano una situazione deficitaria e pretendono di applicare soluzioni, a prescindere dal discorso democratico, cioè dal reale riscontro che hanno nella popolazione.
Da cosa si riconosce l’arrabbiato sociale? Dal fatto che
non riconosce le posizioni della maggioranza.
In alcuni casi vuole sostituire al voto la presenza in piazza, in altri casi sembra comunque scambiare una forte opinione minoritaria per la maggioranza che dovrebbe guidare la società. Per l’arrabbiato sociale vale cioè la regola della manifestazione.
Con un’analogia, l’arrabbiato sociale sta al politico impegnato, ma equilibrato, come l’ultrà sta al tifoso “normale”.
La democrazia si fa nelle urne, non nelle piazze. Nelle piazze si fa solo la rivoluzione. La rivoluzione è corretta solo quando si ha la maggioranza dei consensi, non quando si ha un 5%-10% e in un folle delirio di onnipotenza si pensa di avere il 51. Così si è solo sovversivi perché, da minoranza, si vuole passare per maggioranza. Cosa contano 100.000 persone in una piazza, quando la controparte può portarne altrettante o molte di più? È il ragionamento di molti movimenti giovanili: ci si riunisce in un unico luogo, monopolizzandolo, perché così ci si illude di parlare per tutti, ci si sente meno disadattati, si rafforza la convinzione della propria scelta.
Checché ne dica, l’arrabbiato sociale non è un soggetto soddisfatto della propria vita perché, come un puritano in un bordello, si trova a disagio in una realtà che sente opprimente.
Molto spesso, dopo i primi successi, ritorna a essere sempre più solo e ciò accresce la sua rabbia. Questa parabola è ovvia perché quando una persona urla, non la si ascolta, la prima cosa che le si dice è di non urlare. Se lei va avanti a urlare, difficilmente la si sta ad ascoltare. Non importa se dice cose sensate o meno, chi è arrabbiato non è abbastanza lucido da essere oggettivo.
Rabbia sociale e democrazia – Poiché per il Personalismo il vero spirito democratico si ha quando si è comunque propensi a credere che ci sia qualcosa di giusto nelle idee dell’avversario, spesso l’arrabbiato sociale non è democratico perché nel suo vedere la realtà senza toni di grigio (ma solo in bianco o nero) non sa vedere cosa c’è comunque di buono nell’avversario politico, che non è da condannare in toto, ma semplicemente da contrastare con la calma consapevolezza di saper far meglio di lui.
Il fallimento
L’arrabbiato sociale è destinato a fallire per il semplice fatto che sbaglia prospettiva: conta numericamente chi è con lui, mentre dovrebbe contare chi è contro di lui! L’aggregazione degli arrabbiati è facile, il loro grande interesse a ciò che sostengono fa da collante e non è difficile raggiungere numeri significativi, salvo poi scoprire che… non bastano.
In molti casi l’arrabbiato sociale resta una persona profondamente democratica, ma in casi estremi, quando all’insofferenza si sposa una buona dose di violenza criminale, la rabbia sociale può sfociare nel terrorismo: poiché l’aspettativa non deve andare delusa, si è anche disposti a usare la violenza, “certi” che si è nel diritto di far prevalere le propri ragioni.
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