L’imposta patrimoniale (o, più comunemente e semplicemente, patrimoniale) è un tributo che appartiene alla categoria delle cosiddette imposte dirette.
La distinzione principale tra le varie imposte è quella che le suddivide in imposte dirette e imposte indirette. Le imposte dirette sono correlate direttamente alla ricchezza del soggetto quando questa esiste già (per esempio il patrimonio personale) oppure quando essa viene prodotta con prestazioni o servizi (è il caso del reddito); tipico esempio di imposta diretta è l’IRPEF, l’imposta sui redditi delle persone fisiche. Le imposte indirette invece sono correlate alla ricchezza quando questa viene consumata (fruizione di servizi o prestazione) oppure trasferita (vendita di beni); sono dette indirette perché colpiscono la ricchezza quando questa si manifesta in modo indiretto; tipico esempio di imposta indiretta è l’IVA, l’imposta sul valore aggiunto.
A differenza di un’imposta sul reddito (per esempio l’IRPEF), la patrimoniale non colpisce il flusso di ricchezza dei contribuenti relativo a un determinato periodo bensì una disponibilità di ricchezza (patrimonio) che il contribuente può avere accumulato anche nell’arco di periodi di tempo molto lunghi.
Esistono diverse tipologie di imposta patrimoniale; essa, infatti, può essere reale o soggettiva e, basandosi sulla sua cadenza, ordinaria oppure straordinaria. Si parla di imposta patrimoniale reale nel momento in cui essa colpisce una singola componente della ricchezza di un contribuente (è il caso dell’IMU, l’Imposta Municipale Unica che ha sostituito l’ICI, l’Imposta Comunale sugli Immobili, e che tanto ha fatto discutere nel corso dell’anno 2012; altre imposte reali sono l’imposta di registro e l’imposta di successione); si parla invece di imposta patrimoniale soggettiva nel momento in cui essa va a colpire la ricchezza complessiva del contribuente ovvero i suoi patrimoni mobiliare e immobiliare; questo tipo di imposta non vige in Italia, ma in altri Paesi trova invece applicazione. L’imposta patrimoniale viene poi detta ordinaria nel caso in cui venga applicata annualmente, mentre è straordinaria quando essa la si applica una tantum (locuzione latina traducibile con una volta soltanto, eccezionalmente); trattasi sostanzialmente, in quest’ultimo caso, di un prelievo occasionale che, generalmente, viene deciso in condizioni di emergenza (per esempio una crisi finanziaria).
Per quanto concerne le imposte patrimoniali sui patrimoni finanziari, attualmente nel nostro Paese sono in vigore soltanto imposte che colpiscono le cosiddette rendite finanziarie, ovvero gli interessi che tali patrimoni generano.
Nel nostro Paese la patrimoniale ha una storia quasi secolare; fu la Prima guerra mondiale e la conseguente crescita del debito pubblico a spingere alla sua realizzazione. Le discussioni non mancarono e dettero origine a due scuole di pensiero; una favorevole a un’imposta ordinaria che integrasse l’allora vigente sistema tributario e l’altra che sosteneva la tesi di un’imposta straordinaria, un prelievo una tantum, teso ad alleggerire l’ingentissimo debito statale.
Il governo Nitti, sposando la seconda tesi, istituì una Commissione di studio sull’imposta patrimoniale. In prima battuta la Commissione scelse due strumenti; il primo era un prestito forzoso all’1% rimborsabile in 70 anni a partire dal 1930, il secondo era un prelievo sugli aumenti di patrimonio legati alla guerra. Alla fine (Rdl 2164/1919) si scelse solo il secondo strumento. Nel corso degli anni furono diversi gli “aggiustamenti” alla patrimoniale.
Si arriva così al 1940, questo fu l’anno che vide l’avvio della prima patrimoniale ordinaria italiana (Rdl 1529/1939). La patrimoniale gravava su diversi beni di persone fisiche, società, associazioni e altri enti, purché il loro valore superasse le 10.000 lire (quantificabili in circa 8.000 euro di oggi); erano però previste diverse esenzioni (per esempio, i titoli di Stato, i depositi bancari, i valori capitali di rendite o pensioni ecc.).
Nel 1947 la patrimoniale ordinaria fu sostituita da una patrimoniale straordinaria. Il testo finale (DPR 203/1950) prevedeva tre tipologie di prelievi. Le imposte patrimoniali straordinarie fruttarono nel corso dei vari anni e fino al 1968 un’entrata quantificabile in 9 miliardi di euro attuali. Nell’ambito della riforma tributaria degli anni ’60 del XX secolo riemergeva intanto l’ipotesi di un’imposizione ordinaria sul patrimonio. Si arrivò alla fine all’INVIM e all’ILOR.
Si dovettero poi attendere gli effetti di una notevole crisi finanziaria perché si tornasse a parlare di imposte patrimoniali. Nel 1992 (DL 333/1992) furono istituite due imposte straordinarie una tantum; la prima consisteva in un prelievo del 6 per mille sui depositi bancari o postali in essere al 9 luglio 1992, la seconda (detta ISI, Imposta Straordinaria Immobiliare) consisteva in un prelievo del 2 per mille sui valori catastali di fabbricati residenziali o strumentali; l’aliquota fu poi elevata al 3 per mille per i fabbricati diversi dall’abitazione principale.
Nel settembre 1992 furono poi introdotti altri due tipi di prelievo, uno relativo ai beni di lusso, l’altro concernente il patrimonio netto di ditte individuali, società ed enti commerciali e no, con aliquota del 7,5 per mille (DL 394/1992); applicabile, in origine, solo per il triennio 1992-94, il tributo fu prorogato di anno in anno fino alla sua sostituzione con l’IRAP che avvenne nel 1998.
Nel 1993 l’ISI e l’INVIM furono sostituite dall’ICI, a sua volta soppiantata, nel 2012, dalla già citata IMU.

L’imposta patrimoniale è fondamentalmente un’imposta sulla ricchezza
Imposta patrimoniale o plusreddituale?
Per la democrazia del benessere ogni forma di patrimoniale è ingiusta. Purtroppo la gente comune non sa distinguere la differenza fra un’alta aliquota sopra il limite sociale di profitto (imposta plusreddituale; Albanesi, 2011) e un’imposta sul patrimonio.
Tassa o imposta? – Da un punto di vista terminologico, la locuzione “imposta plusreddituale” apparirà ai più intellettuali più corretta. Infatti, la tassa, nel nostro ordinamento tributario, è un importo che i privati cittadini devono allo Stato e si differenzia dall’imposta in quanto viene applicata secondo il cosiddetto principio della controprestazione (anche principio del beneficio); la tassa è cioè legata al pagamento di una somma di denaro dovuta da un soggetto quale corrispettivo relativo a una prestazione in suo favore di un servizio offerto da un ente pubblico (ne sono un esempio le tasse aeroportuali, le concessioni ecc.).
La tassa è legata quindi a uno specifico servizio e il singolo è tenuto a versarla (il tipico esempio è la tassa relativa allo smaltimento dei rifiuti). L’imposta invece è un’entrata fiscale che serve a finanziare genericamente i servizi di cui possono usufruire i cittadini. Tipici esempi di imposta (i cui gettiti serviranno a coprire finanziariamente le attività dello Stato) sono l’IRPEF, l’imposta sui redditi delle persone fisiche, e l’IRES, l’imposta sul reddito delle società. Detto questo, per il comune cittadino la disquisizione terminologica ha poca importanza; è per esempio a tutti noto come l’espressione politica “ridurre le tasse” si riferisca comunemente alla riduzione delle imposte fiscali.
Questo articolo vuole appunto fare chiarezza ed essere una fonte di diffusione del concetto di imposta plusreddituale.
Fra patrimoniale e plusreddituale ci sono tre importanti differenze.
Entità – La prima differenza consiste nel fatto che quasi sempre le patrimoniali sono ridicole e una tantum: lo 0,1-0,5% sul patrimonio (una tantum) è solo un modo di manifestare il proprio risentimento, il proprio fastidio contro i ricchi che con il 99 e passa percento restano tali e alla grande! La patrimoniale sui grandi patrimoni è solo un gesto d’invidia (dalla parte dei meno abbienti) o di falsa giustizia sociale (dalla parte dei più abbienti).
Razionalità – La seconda differenza, a mio avviso più importante, è che il patrimonio è già passato (o dovrebbe esserlo) sotto la “scure fiscale” e quindi è un diritto acquisito. Se si eredita una fortuna c’è già l’imposta di successione, se si guadagna con la propria attività ci sarebbe l’imposta sul reddito di attività. Un’imposta sul patrimonio sarebbe un’imposta sull’imposta e ciò è irrazionale.
Se c’è equità fiscale (giusta imposta sulle successioni e giusta imposta sui redditi di attività), parlare di ridistribuzione di ricchezza diventa molto simile a parlare di ridistribuzione delle medaglie e delle vittorie per uno sportivo. Certo che, se l’equità fiscale manca, anche la ricchezza si ridistribuisce male, proprio come quando un atleta vince alle olimpiadi grazie al doping.
La patrimoniale diventa cioè un cattivo rimedio all’incapacità dello Stato di combattere l’evasione fiscale.
Avidità – Se, anziché un’imposta plusreddituale, si usa una patrimoniale, la società resterà tale e quale e il diritto di ognuno alla fraternità non avrebbe nessun miglioramento. Il motivo è semplice: chi non ha un patrimonio enorme sarà comunque fuori dalla manovra, ma continuerà ad ambire a diventare un plutomane; manager d’assalto, imprenditori furbastri, professionisti assatanati di denaro continueranno a snobbare il diritto alla fraternità e faranno di tutto per entrare nel grande circolo dei super-ricchi: alla patrimoniale ci penseranno dopo, magari quando ci sarà un governo più favorevole.
Insomma, la patrimoniale non condanna minimamente l’avidità che è l’antitesi della fraternità e che tanto degrado porta nella società. Ricordiamoci che avidità vuol dire anche corruzione, evasione fiscale e reati di vario genere.