Fraternità è un termine poco usato che dovrebbe richiamare un legame morale che unisce i fratelli o, in senso esteso, gruppi di persone. Dal punto di vista sociale, tutti sanno che il termine compare nel motto della rivoluzione francese (Liberté, fraternité, égalité), ma, mentre libertà e uguaglianza hanno avuto molta fortuna e un’implementazione pratica in tutte le democrazie, la fraternità è stata messa in disparte.
La fraternità secondo il Personalismo
La democrazia del benessere è il movimento democratico che vuole aggiungere ai diritti civili ormai consolidati anche quello della fraternità.
Per fraternità s’intende il diritto civile per cui nessun componente della società approfitta degli altri, pur nel rispetto della propria individualità e del diritto al benessere individuale.
In termini più pratici, la fraternità è il diritto civile a non essere “usati” dagli altri membri. Tale diritto s’implementa con la limitazione dei profitti individuali, riconoscendo il diritto alla ricchezza, ma con un limite alla stessa.
Proprio come avviene fra fratelli di una stessa famiglia, nella società ci può essere il più fortunato, il più bravo ecc., ma resta sempre un legame che ci dovrebbe impedire di arricchirci oltre una misura del tutto inutile alla nostra felicità. Tale limite è il limite sociale di profitto (per i dettagli, si veda l’articolo sulla democrazia del benessere).
Da un punto di vista pratico, una società in cui “non convenga” arricchirsi oltre un certo limite (perché il prelievo fiscale diventa altissimo) è il modo migliore per far sì che la ricchezza sociale in eccesso venga spesa per migliorare i servizi a vantaggio di tutti.
Storia della fraternità
Fino al VII sec. si indicavano con fraternità le associazioni di monasteri con il fine di darsi aiuto spirituale e materiale (per esempio la fraternità di Cluny era composta da 314 chiese, monasteri e capitoli); successivamente, nell’epoca degli ordini mendicanti, si chiamarono fraternità le comunità di laici e religiosi (da cui il termine frate) che, accentuando i valori collegati al termine evangelico “fratello”, non accettarono la denominazione di ordine. Netta quindi la separazione dalla Chiesa di potere che emarginò i “fratelli”, servendosi però dell’immagine totalmente cristiana che essi portavano fra la gente. Anche oggi dovrebbe essere a tutti nota la differenza abissale, dal punto di vista evangelico, fra un San Francesco d’Assisi e i gesuiti della più cupa Inquisizione.
In epoca moderna la Chiesa preferì glissare sul termine “fraternità”, poiché troppo scomodo in relazione ai potenti e ai governi dei Paesi più evoluti. Una delle colpe più gravi della Chiesa cattolica è stata proprio quella di aver abbandonato il concetto di fraternità, lasciandolo in gestione alla parte di essa che non aveva nessun potere.
Come detto, i primi a introdurre il concetto di fraternità in politica furono i rivoluzionari francesi (Liberté, égalité, fraternité). Purtroppo il concetto era espresso in modo molto rozzo e utopistico e probabilmente ciò è stata la causa del suo declino. Nella Dichiarazione dei diritti e doveri del cittadino, parte integrante e iniziale della Costituzione dell’anno III (1795), la fraternità era così definita: “Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi; fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere”.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancisce la fraternità universale, la condizione che accomuna tutti gli uomini tale da condividere la stessa sorte di vita e di morte.
Sostanzialmente si tratta di una riedizione del discorso della montagna di Gesù e la sua incoerenza e inapplicabilità pratica ne limitò molto la portata*.
Tale concetto fu in seguito ripreso da altri filosofi che cercarono di sostenerlo più con un atteggiamento fideistico che con la ragione.
G. Marcel, per esempio, sosteneva che la fraternità fosse un decentramento dell’io: “tu vali molto, tu sei importante per me, e io so che non posso essere felice se anche tu non lo sei, perché tu sei mio fratello”, una valutazione irrazionale e utopistica, propria di chi è patosensibile.
La fraternità, come modernamente definita sopra, è invece semplicemente l’affermazione di un diritto civile che consente di avere la migliore società possibile, per sé (oltre una certa quota di ricchezza questa non incrementa la mia felicità, ma il fatto che gli altri stiano meglio ha comunque ricadute positive su di me) e per gli altri.
* Ne Il mistero di Dio è mostrato in dettaglio come la frase porti a una morale relativa (non si spiega cosa sono il bene o il male, ma addirittura si lascia al singolo l’onere di definirli), ma, ancor peggio, impraticabile: si pensi al fatto che ognuno di noi non vuole essere respinto dalla persona di cui s’innamora e quindi non si dovrebbe mai respingere chi s’innamora di noi!
Di solito chi usa la regola del “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te“, la usa con mille eccezioni e distinguo; in realtà, se si enuncia una regola, la si deve applicare alla lettera perché altrimenti vuol dire che è solo approssimativa e genera confusione (e forse è meglio non avere regole che averle cattive!). Le persone che hanno regole approssimative sono sempre confuse. Di fronte a un’obiezione, di solito replicano “sì, lo so, ma io intendevo dire ecc.” senza accorgersi che la loro regola per essere valida dovrebbe contenere mille spiegazioni, mille eccezioni che loro per pigrizia non sanno che dare a posteriori, di fatto non avendo regole.
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