Il termine “civiltà” può avere così tanti significati che iniziare un articolo senza darne le principali definizioni potrebbe confondere il discorso.
In senso molto lato, “civiltà” esprime le caratteristiche di un popolo in un determinato periodo storico. Spesso, questo significato viene integrato da un giudizio sul valore di tali caratteristiche per cui si evidenziano quegli aspetti che rendono, o dovrebbero rendere, più progredito un popolo rispetto a un altro.
Con questo significato più ristretto cosa rende un popolo più civile di un altro?
Come premessa alla domanda, è necessario sgomberare il campo da ogni difesa per risentimento: dire che il popolo A è più civile del popolo B non è una forma di razzismo, ma semplicemente un giudizio, giusto o sbagliato che sia. È per esempio indubbio che l’Italia sia più civile oggi di quanto non lo fosse qualche secolo fa.
Per il Personalismo
- ogni società è formata da individui;
- per migliorare il livello di civiltà è necessario migliorare gli individui.
Queste affermazioni trovano per esempio riscontro nei tanti esempi di civiltà forzata dove un popolo più civile (o presunto tale) ha tentato coercitivamente di farne progredire un altro ritenuto meno civile (per esempio a seguito di una conquista), ricavandone, almeno inizialmente, una forte reazione contraria perché, di fatto, gli individui riceventi non erano “pronti” alla nuova civiltà.
Per il Personalismo
in un Paese la civiltà è la media delle civiltà dei cittadini,
non a caso il termine deriva dal latino civilĭtas,a sua volta derivato dall’aggettivo civilis, da civis (“cittadino”). Infatti tale media darà sviluppo a maggiori diritti civili, a leggi più moderne ecc. Per esempio, per il Personalismo queste regole sono il fulcro di una società moderna e con un alto grado di civiltà; in base a esse non è difficile concludere che sicuramente ci sono Paesi europei che sono molto più civili dell’Italia.
Misurare la civiltà
La vicenda dell’agosto 2014, quando alcuni parlamentari italiani hanno sottolineato la necessità di dialogare con il neonato Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) ha riacceso il dibattito su come si possa misurare il grado di civiltà di un popolo. Discorso ancora più spinoso dopo la decapitazione di un reporter americano come ritorsione ai bombardamenti americani sull’Iraq nelle zone controllate dagli integralisti.
Per chi è civile appare evidente la sproporzione fra decapitazione e bombardamenti esattamente come lo è quella fra i forni crematori dei nazisti e la guerra etiopica di Mussolini. Se la guerra etiopica può essere comunque condannata come esempio di imperialismo occidentale, va da sé che essa era inquadrata in un periodo storico in cui poteva essere definita “normale”. Oggi non lo sarebbe più e per controllare i propri interessi in altre parti del mondo si utilizzano metodi comunque discutibili, ma “più civili”. Le azioni dei nazisti non trovano invece nessuna giustificazione relativa al periodo storico, motivo per cui sono giustamente valutate come sommo esempio di barbarie.
Quanto detto fa capire che:
è civile tutto ciò che è normale per il periodo storico in questione,
dove normale sta per regolato da leggi e consuetudini.
Attualmente bombardare a fini bellici con una giustificazione ragionevole (salvare delle vite umane, fermare fanatici terroristi che vogliono espandersi in terre non loro ecc.) può essere condannabile, ma “normale” per il nostro tempo; decapitare persone innocenti è al di fuori della nostra civiltà e appartiene a un passato lontano.
Chi paragona le due azioni è incapace di un’analisi razionale sul peso delle azioni stesse. Probabilmente vive nell’utopia di una civiltà assoluta (secondo le “sue” leggi) e condanna “allo stesso modo” tutto ciò che non è civile. Manca dell’approccio quantitativo al problema e di solito è un soggetto abituato a ragionare in modo discreto: giusto/sbagliato, bianco/nero ecc. senza porsi il problema di differenziare, per esempio, un omicidio doloso da uno colposo.

A partire dal Rinascimento, il termine civiltà iniziò a includere un giudizio di valore, relativo alla superiorità del proprio modo di vita, considerato più progredito, rispetto a quello di altre culture
Civiltà in senso assoluto
La storia ci insegna che l’umanità è sicuramente progredita sul piano dei diritti umani e della civiltà. Anche se noi parliamo di civiltà sumerica, greca, romana ecc. si può tranquillamente affermare che noi oggi siamo più civili di sumeri, greci o romani (basti pensare al fenomeno della schiavitù). È dunque possibile definire in assoluto il grado di civiltà di un popolo, darne una misura oggettiva?
Purtroppo se tentassimo di definire dei parametri con cui valutare la civiltà in senso assoluto, probabilmente ci perderemmo in un meandro di discussioni su diritti civili, democrazia ecc.
Molti, per esempio, sarebbero tentati di valutare la civiltà in modo politico, identificandola con il grado di democrazia di un Paese; il Democracy Index è definito anche per i Paesi non democratici (l’Italia è attorno alla trentesima posizione) e quindi potrebbe essere una buona base di partenza. L’obiezione più evidente è che tende a sottovalutare tutto ciò che esce dalla sfera politica.
Comunque si operi, probabilmente si otterrebbero classifiche plausibili, ma non completamente oggettive. Prima di gettare la spugna però è possibile servirsi di quei dati come punto di partenza. Infatti c’è una grande convergenza sul ritenere i primi 10 Paesi di quella classifica come fra i più civili al mondo (Norvegia, Islanda, Danimarca, Svezia, Nuova Zelanda, Australia, Svizzera, Canada, Finlandia, Paesi Bassi).
Poiché, dato un Paese,
è incivile tutto ciò che risulta al di fuori delle leggi e delle consuetudini del tempo,
si possono scegliere i dieci primi Paesi della nostra classifica e scoprire quanto più siamo incivili, valutando quanto più siamo distanti dal loro grado di civiltà:
il grado di civiltà di un popolo (o di una persona) è quindi dato da quanto esso è meno incivile rispetto al modello di riferimento.
Così si scoprirebbe che in nessuno dei dieci Paesi è prevista la pena di morte, che in essi grande tutela è data all’ambiente, che sono tutelati i diritti degli omosessuali o delle varie confessioni religiose ecc. A sorpresa, ritornando alla polemica iniziale, si scopre che diversi Paesi fra i primi dieci hanno partecipato recentemente ad azioni di guerra, per esempio in Iraq: evidentemente il pacifismo ad oltranza non appartiene ancora alla civiltà del XXI sec. così come altri concetti che, se applicati a oggi, sarebbero solo pura utopia e produrrebbero effetti contrari a quelli desiderati. Per capire quest’ultima affermazione si pensi a chi (oggi) ritenga (giustamente) incivile la facoltà data a tutti di girare armati: se applicata nel Far West del XIX sec. probabilmente avrebbe penalizzato quei cittadini disarmati, ma civili, vittima di chiunque avesse voluto approfittare del loro pacifismo integrale.
In altri termini,
la civiltà concreta è la massima espressione della parte positiva dell’uomo, compatibilmente con il periodo storico in cui si vive.
Civiltà e democrazia
Un errore da non fare è confondere i due concetti, civiltà e democrazia. Va da sé che fra i Paesi “democratici” si possa comunque indicare una classifica di civiltà, tanto che per esempio è locuzione comune la frase che “gli italiani sono meno civili di X”, dove X sta per gli abitanti di questo o quel Paese democratico e avanzato.
La faccenda è però più complessa e un’attenta analisi mostra che:
affinché sia possibile una democrazia stabile ed efficiente è necessario un livello minimale di civiltà.
Nel 2014 Libia e Iraq hanno mostrato chiaramente che quando questo livello minimale di civiltà manca, la democrazia è fragile e puramente utopistica; stesso discorso per i Paesi avanzati: quasi 100 anni fa in Germania e in Italia si affermarono due dittature, a dimostrazione che il livello di civiltà della popolazione non era ancora sufficientemente elevato da garantire il rispetto dei diritti civili.
Occorre notare che ha poco pregio il fatto che la frangia più evoluta della popolazione sia molto civile, se poi la media non lo è! Questa riflessione dovrebbe portare molti idealisti a considerare il fatto che, prima di parlare di diritti civili, democrazia ecc., occorre che il terreno sia pronto ad accoglierli e che la popolazione sappia essere mediamente molto civile. Anziché spingere concetti non ancora maturi, nei Paesi meno civilmente progrediti occorre lavorare per il progresso della civiltà.
Psicologia della civiltà
Quali sono le caratteristiche dei singoli che influenzano direttamente e in modo negativo la società? Sostanzialmente, le seguenti personalità critiche [1]:
- irrazionale
- mistica
- dissoluta
- apparente
- violenta
- vecchia.
Le altre personalità critiche sono più dannose a livello personale che sociale, tant’è che molti che le posseggono possono essere comunque giudicati positivamente a livello sociale.
Irrazionali – È evidente che un popolo in cui una percentuale significativa delle persone crede agli stregoni non è molto civile; oggi le vecchie forme d’irrazionalità sono state sostituite da magia, astrologia, superstizione ecc. Non è difficile accorgersi che certi popoli (per esempio quello francese, nel cui Paese i media lasciano poco spazio a oroscopi e simili) sono più refrattari a tali forme rispetto ad altri (vedi quello italiano) dove impazzano la superstizione e l’ingenua propensione a credere di poter prevedere il futuro.
Mistici – Nonostante ciò che possono affermare i credenti, è indubbio che il campo d’azione della religione è andato man mano restringendosi di importanza quanto più la civiltà progrediva. Confrontiamo nei Paesi più industrializzati il potere delle Chiese cento anni fa rispetto a quello odierno e scopriremo che, sebbene in alcuni sia ancora molto forte (i meno civili!), si è sicuramente ridimensionato.
Dissoluti – Ovviamente, se la gran parte della popolazione beve, fuma, si droga o è obesa non penso sia possibile parlare di civiltà. Un esempio è la decadenza morale dell’impero romano nei primi secoli dopo Cristo, anticamera dei secoli bui dell’Alto Medio Evo.
Apparenti – Qui il discorso è più sofisticato. Poiché all’apparente interessa più apparire che essere, da questa volontà nascono le varie discriminazioni: di sangue (la nobiltà), di razza, di sesso, di inclinazione sessuale, di religione, di ceto sociale ecc. Non a caso, in una vera democrazia tutti dovrebbero avere gli stessi doveri e gli stessi diritti. Personalmente non considero molto civile un popolo in cui una o più persone (famiglia reale, nobili ecc.) contano più di me per nascita. Ragionando più in piccolo, mi hanno fatto sempre sorridere coloro che si ritengono migliori di altri solo perché hanno una laurea e non perdono occasione di firmarsi Rag., Dott., Ing. ecc.
Violenti – In una società civile:
una legge non si infrange pretendendo di avere ragione e di non subire pena alcuna, ci si dà da fare per cambiarla.
Purtroppo in molte società il cittadino ha la tendenza a farsi giustizia da sé, a difendere i propri diritti in prima persona, a esagerare il diritto alla legittima difesa, includendo concetti ormai arcaici come l’onore: pretende di avere ragione anche se infrange la legge. Pensiamo alla società americana e al danno che la concezione da Far West ancora dominante continua a fare.
Vecchi – Si noti che quanto più le società sono arcaiche e tanto più il potere dei vecchi è forte. Gli esempi vanno dal matrimonio combinato per i figli al potere politico, dall’anzianità sul posto di lavoro al potere religioso ecc.
In realtà, la massima “onora il padre e la madre” dovrebbe essere sostituita da “onora i tuoi figli” (vedasi Appendice E, La carta dei valori) perché la prima, fino al distacco, è abbastanza scontata se l’educazione è buona, mentre la seconda è purtroppo indipendente dai voleri dei figli.
Indicatori di civiltà
Ogni Paese può avere un indicatore di civiltà calcolato considerando solo la condizione di cinque attori sociali: bambini, donne, omosessuali, non religiosi, animali domestici. Li ho elencati in ordine di priorità “storica”: un Paese parte assicurando i diritti al primo fattore, poi al secondo e infine si arriva all’ultimo, sperabilmente prima del 10000 d. C.
Bambini – In molti Paesi i bambini sono ancora considerati come schiavi, in altri leggermente più progrediti la schiavitù non esiste, ma i piccoli sono alla mercé dei genitori senza praticamente diritti (e non mi riferisco solo ai bambini che lavorano come adulti 12 ore al giorno). Solo in Paesi più progrediti lo Stato tutela i diritti dei minori, arrivando in alcuni casi a permettere al minore adolescente scelte decisionali sul proprio futuro.
Donne – Anche tralasciando Paesi preistorici dove le donne non possono guidare, sono pur sempre molti i Paesi (per esempio quelli che vengono chiamati, con espressione impropria, Paesi islamici moderati) dove la parità uomo-donna è solo un miraggio. Senza fare discorsi femministi estremi (la parità pratica dipende da tanti fattori che dipendono anche dai condizionamenti da cui tante donne non sanno liberarsi), sarebbe almeno opportuno che la parità fosse garantita per legge, come accade nel nostro Paese e ci fosse l’attenta volontà di conservarla.
Omosessuali – In Paesi preistorici essere omosessuali è un delitto, in altri è ancora una vergogna, in altri infine (come in Italia) non c’è ancora una parità sessuale e una parte consistente della popolazione li ritiene eticamente riprovevoli o, se va bene, malati. Ciò su cui queste persone con il cervello spento dovrebbero riflettere è che i Paesi più avanzati e progrediti, cioè quelli dove si vive meglio, sono quelli dove i diritti degli omosessuali sono garantiti e c’è libertà di scelta sessuale.
Non religiosi – Mi riferisco alla ghettizzazione sociale riservata a chi non è credente/praticante. Ho iniziato a riflettere sui danni della religione (considerate quante guerre hanno radici “religiose”) proprio quando circa 20 anni fa per fare pubblicità a Perché non essere felici? (il testo che ha preceduto La felicità è possibile) su una rivista femminile della Mondadori, la casa editrice mi fece presente che il libro doveva essere approvato da un certo monsignore “perché a Famiglia cristiana ci teniamo”. Ci sono Paesi come gli USA e l’Italia stessa dove chi non è religioso è comunque penalizzato. Da noi in molti piccoli centri il ragazzo che non va al catechismo o non va a messa alla domenica è comunque considerato un “diverso”, chi non si sposa in chiesa o non fa battezzare il figlio suscita la pesante disapprovazione dei vecchi genitori ecc. Per legge, è ancora in vigore il Concordato e la Chiesa ottiene una percentuale fiscale molto maggiore che altre forme associative ed è presente nella vita politica del Paese, condizionandola. Mi spiegate perché in prima fila, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, devono essere presenti degli alti prelati?
Animali domestici – Sempre circa 20 anni fa scoprii la Francia proprio perché in Italia i diritti degli animali domestici erano decisamente scarsi. In Italia per molte persone (probabilmente condizionate dalla religione che fa un netto distinguo fra uomini, con l’anima, e animali, senza) è impensabile amare un cane come un componente della famiglia ed è immorale ritenere la vita del proprio cane più importante di quella di un bimbo sconosciuto. Queste persone sono rimaste spesso solo al primo gradino della scala della civiltà e dovranno fare molta strada per arrivare al quinto.
In genere chi ritiene corretto vietare l’ingresso dei cani nei ristoranti lo fa “perché portano le malattie”, poi gli chiedi che malattie portano e lui ti guarda inebetito. In ogni caso vale quanto lessi tempo fa su un quotidiano:
Alla richiesta di un cliente sulla possibilità di alloggiare in un albergo con il suo cane, l’albergatore rispose: “Egregio Signore, lavoro negli alberghi da più di 30 anni. Sino ad oggi non ho mai dovuto chiamare la polizia per un cane ubriaco nel cuore della notte. Nessun cane ha mai tentato di rifilarmi un assegno a vuoto. Mai un cane ha bruciato le coperte, fumando. Non ho mai trovato un asciugamano dell’albergo nella valigia di un cane. Il suo cane è quindi benvenuto. Se lui garantisce, può venire anche lei.”
Sei una persona civile?
Consideriamo Giuseppe, milanese (o romano, fate voi). A Giuseppe non gliene frega niente dell’ambiente o degli animali. Vabbè, direte voi, non è un ambientalista e allora? Giuseppe non vede di buon occhio gli omosessuali, le unioni civili, chi (come il sottoscritto) se la prende con il papa. Va bene, se siete progressisti, direte che Giuseppe è di destra, incominciate a non apprezzarlo. Poi scoprite che Giuseppe non è certo tenero con le donne, in casa sua comanda lui e moglie e figlia devono riverirlo. A questo punto il vostro pensiero diventa chiaro e ci saranno i più critici che penseranno chiaramente: Giuseppe è uno stronzo!
Il vero problema è che Giuseppe è nato nel 1880 e ora (1910) ha 37 anni. Come lui, nel 1917 la pensavano la maggioranza degli italiani.
Giuseppe non è uno stronzo, ha solo un grado di civiltà inferiore, rimasto a 100 anni fa.
Il problema è che il Giuseppe di allora è l’Abdul di adesso. La descrizione di Giuseppe è la stessa di ogni islamico moderato. Questo è il problema. Chiunque rinneghi questa descrizione è sicuramente in malafede (fra l’altro non ho aggiunto che Giuseppe combina i matrimoni alla figlia, vuole che le “sue” donne vadano vestite in modo “appropriato” ecc.).
Secondo punto: dovrebbe essere a tutti chiaro che
il livello di civiltà di una società (gruppo di persone) è dato dalla media delle civiltà individuali.
In un quartiere degradato, la “civiltà” è bassa perché è bassa la civiltà dei suoi residenti.
Non ci piove che il livello civile dell’Italia sia cresciuto negli ultimi 100 anni e chi volesse paragonare il grado di civiltà attuale a quello del 1917 sarebbe in malafede. I nostri nonni, i nostri padri e noi stessi abbiamo contribuito ad innalzarlo, non senza sforzi indifferenti.
Ora, se arriva qualche islamico in Italia non c’è il rischio che il nostro livello di civiltà degradi, ma se ne arrivano a decine di migliaia? C’è il rischio (nemmeno tanto lontano per chi sa la matematica) di una repubblica italiana islamica (vedi Islam: il sorpasso). Va bene, magari ci sarà fra 100 anni e a voi non interessa perché sarete morti e al futuro di figli e nipoti ci penseranno loro stessi, magari andandosene.
Una cosa è però certa: come conseguenza di (1) e di (2)
il livello di civiltà della società attuale degraderà.
I fautore dell’accoglienza vogliono dare libero accesso al Paese a chi di fatto non dà libero accesso a loro in molti luoghi: le donne in alcuni Paesi islamici non possono guidare, andare allo stadio ecc. Parliamoci chiaro: ai fautori dell’accoglienza senza se e senza ma interessa “sentirsi buone” e, per farlo, hanno spento il cervello. Curioso per esempio il fatto che molte donne si battano anche duramente per i loro diritti e non vedano come questi siano calpestati dagli islamici moderati.
A questo punto risponderanno con la parola magica: integrazione! Ma che integrazione d’Egitto (non a caso Paese islamico). Quanti anni ha impiegato Giuseppe per “integrarsi” e diventare civile? 100 anni di battaglie sociali, civili e persino guerre. Come può uno essere così ingenuo da credere che i milioni di islamici che vengono in Occidente si integreranno in una decina di anni? In famiglia continuerà a dominare l’uomo, la religione sarà un must dominante e a nessuno sarà permesso di “offendere” Maometto o l’imam, nemmeno con una battuta, i gay ritorneranno peste ecc. Certo, fra 100 anni Abdul vivrà come ai tempi nostri.
Questa logica la può solo sposare chi ha come direttiva di vita l’assurda massima “ama il prossimo tuo come te stesso“, una risonanza sentimentale che in pratica nessuno attua, ma che è molto piacevole fare propria e dire di applicare. Quindi in sostanza ha il diritto di sostenere l’accoglienza chi:
- è maschio,
- non è omosessuale
- sposa la massima “ama il prossimo tuo come te stesso” anche a costo di una penalizzazione della società in cui vive e, soprattutto, nelle sue giornate è coerente con essa.
Spero che questa persona non abbia una moglie e/o delle figlie…
Indice materie – Sociologia – Civiltà