Gli acidi grassi monoinsaturi (o, più brevemente, grassi monoinsaturi o anche MUFA, sigla derivata dai termini inglesi Monounsaturated Fatty Acids) sono lipidi, generalmente allo stato liquido, le cui molecole risultano formate da una lunga catena di atomi di carbonio che inizia con il gruppo COOH (detto gruppo carbossilico) e finisce con il gruppo CH3 (gruppo metilico); i grassi monoinsaturi, che rientrano nel gruppo degli acidi grassi insaturi al quale appartengono anche gli acidi grassi polinsaturi, sono caratterizzati dalla presenza di un solo doppio legame tra quelli presenti tra i vari atomi di carbonio; questa caratteristica li distingue dai grassi saturi, che hanno soltanto legami singoli, e da quelli polinsaturi che presentano invece due o più doppi legami.
Il motivo per cui gli alimenti che contengono acidi grassi monoinsaturi, a temperatura ambiente, si trovano sempre allo stato liquido è legato al fatto che in tali lipidi è presente, in corrispondenza del doppio legame, una sorta di “ripiegamento” che non permette ai trigliceridi che li contengono di unirsi in modo tale da formare una struttura solida. Di conseguenza, in tali alimenti si registrano sia una maggiore fluidità rispetto a quelli che contengono prevalentemente acidi grassi saturi, sia un punto di fusione più alto rispetto ai cibi in cui prevalgono gli acidi grassi polinsaturi i quali necessitano di temperature più basse per solidificarsi.
Quali sono gli acidi grassi monoinsaturi più comuni?
Gli acidi grassi monoinsaturi presenti in natura sono diversi; fra essi ricordiamo l’acido palmitoleico, l’acido oleico, l’acido erucico, l’acido elaidinico, l’acido vaccenico, l’acido gadoleico, l’acido cetoleico e l’acido nervonico. I primi tre sono i grassi monoinsaturi più comuni.
L’acido palmitoleico (anche acido cis-7-esadecenoico, di formula C16H30O2) è un lipide presente nei grassi del latte, in quelli di riserva degli animali, negli oli di pesce e nei grassi vegetali. Può essere indicato anche con la sigla C16:1 W7 ovvero acido grasso con 16 atomi di carbonio e doppio legame presente dopo il settimo atomo di carbonio a partire dall’estremità metilica, quella terminale. Si veda, per approfondimenti, il nostro articolo Acidi grassi che spiega come indicare un determinato acido grasso.
L’acido oleico (anche acido cis-9-ottadecenoico, di formula C18H34O2) è invece reperibile nell’olio di oliva e in tutti i grassi naturali. Può essere indicato con la sigla C18:1 W9.
L’acido erucico (anche acido cis-13-docosenoico, di formula C22H42O2) si trova invece nell’olio di colza. Può essere indicato con la sigla C22:1 W13.
Dei tre acidi grassi monoinsaturi sopracitati, il più noto e importante è, senza ombra di dubbio, l’acido oleico; si distingue dagli altri acidi grassi per diverse interessanti caratteristiche grazie alle quali è in grado di conferire interessanti proprietà agli alimenti che lo contengono in discrete quantità. L’acido oleico è un olio particolarmente stabile, risulta cioè essere resistente alle alte temperature e ai processi di ossidazione; gli alimenti che lo contengono, quindi, irrancidiscono molto meno rapidamente di quelli che ne sono carenti e, inoltre, risultano essere particolarmente adatti alla frittura. È per esempio il caso dell’olio di oliva che, a seconda dei casi, contiene percentuali di acido oleico che variano dal 60 all’80% circa. Altri alimenti ricchi di acido oleico sono l’olio di semi di girasole altamente oleico, l’olio di nocciola, l’olio di mandorla, l’olio di avocado, il grasso d’oca, le nocciole, le mandorle, i pistacchi ecc.

L’olio di oliva è caratterizzato da un contenuto elevato di grassi moninsaturi, cosa che garantisce un punto di fumo abbastanza elevato
L’acido oleico è considerato un acido grasso interessante anche perché favorisce il normale mantenimento della fluidità ematica e diminuisce la quota di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo), non risulta però avere effetti particolarmente significativi sul livello di trigliceridi e sulla quota di colesterolo HDL (il cosiddetto colesterolo buono, che comunque ha la tendenza ad aumentare). Sicuramente è un acido grasso monoinsaturo da preferirsi, perlomeno in campo alimentare, all’acido erucico, che costituisce, per circa il 50%, il famigerato olio di colza.
L’acido erucico è un grasso monoinsaturo dalle caratteristiche nutrizionali pessime; i suoi effetti negativi sulla crescita, sul cuore e sul fegato sono ampiamente documentati, tant’è vero che, per legge, esso non può superare il 5% del totale degli acidi grassi presenti nelle margarine e negli oli di semi vari. Per questi motivi, da molti anni è stato messo in commercio il cosiddetto olio canola, un olio ricavato da colza modificata geneticamente per ridurre la quota di acido erucico (non a caso lo si chiama anche LEAR oil, ovvero Low Erucic Acid Rape); anche l’olio canola però non può essere assolto completamente a causa dei processi di idrogenazione e raffinazione cui viene sottoposto che portano la quota degli acidi grassi trans a circa il 5%, quota che aumenta sensibilmente (si arriva al 25% circa) nel caso in cui l’olio canola venga utilizzato per le fritture.
Non è un acido grasso monoinsaturo particolarmente interessante nemmeno l’acido palmitoleico in quanto ha la tendenza a comportarsi in modo simile a un grasso saturo aterogeno (viene detta aterogena una sostanza che porta alla formazione, sulla parete interna delle arterie, di ispessimenti o placche contenenti colesterolo o altre sostanze); un’alimentazione ricca di questo acido, se messa a confronto con una che predilige l’acido oleico, ha la tendenza a innalzare i livelli ematici di colesterolo LDL e ridurre quelli di colesterolo HDL.