La dieta vegana (veganesimo) è seguita da tutti coloro (vegani o vegetaliani) che non si cibano di alimenti di origine animale, quindi non solo abolizione della carne e del pesce, ma anche delle uova, del latte e dei latticini.
Come abbiamo visto nell’articolo sull’animalismo, esistono due tipi di vegani:
- vegani assoluti – Sono coloro che per patosensibilità estrema ritengono che il diritto degli animali alla vita e alla non sofferenza sia inviolabile.
- Vegani salutisti – Sono coloro che per salutismo non si cibano di alimenti di origine animale.
Spesso il salutismo è usato come mascheramento o giustificazione di un veganesimo assoluto (“io odio la sofferenza inflitta agli animali, tanto più che è inutile perché mangiarli fa male alla salute!”).
Si deve poi ricordare che molti vegani evolvono verso regimi alimentari ancora più stretti (i granivori mangiano solo cereali, i frugivori soltanto frutta e i crudisti mangiano soltanto verdure crude).
Dieta vegana e vita
Per loro valgono le stesse considerazioni fatte per i vegetariani.
Dieta vegana e qualità della vita
Valgono le stesse considerazioni fatte per i vegetariani con l’aggravante che lo spettro dei cibi possibili è molto limitato. Curioso notare come i vegani non salutisti (cioè quelli che abbiamo definito assoluti) non prendano nemmeno in considerazione l’idea di cibarsi di alimenti derivati dagli animali (uova, latte, formaggi, miele) prodotti da animali non tenuti in cattività penalizzante (per esempio l’uovo della gallina allevata in cortile come cento anni fa!).
Dieta vegana e salute
L’errore di base – Nelle righe che seguiranno troverete molte difficoltà tipiche della dieta vegana; le ricerche (come quelle alla base del libro The China Study) che promuovono la dieta vegana sono affette da un errore di correlazione (si scambia una correlazione per una causa) in quanto tutte confrontano i risultati per i vegani con “tutta” la popolazione e quindi stabiliscono che vegano è meglio (allo stesso modo si può stabilire per esempio che chi si lava i denti tre volte al giorno vive di più: qualunque persona ragionevole capisce che chi si lava i denti tre volte al giorno è molto più attento alla salute della media della popolazione e che quindi è questa attenzione che fa vivere di più, non certo i tre soli lavaggi!). Peccato che avere un buon stile di vita e mangiare di tutto sia ancora meglio (a tale proposito si legga l’articolo Aspettativa di vita e alimentazione).

Secondo le indagini più recenti, in Italia la popolazione vegana è crollata dal 3% allo 0,9% (Rapporto Eurispes 2018)
L’errore di correlazione diventa evidente quando si sostiene che “i vegani vivono più a lungo”. È la sua attenzione (causa diretta) che lo rende più longevo della media della popolazione che magari beve, fuma ecc., non il fatto che si nutre di vegetali. In altri termini, l’insieme dei vegani dovrebbe essere confrontato con quello di chi è comunque attento alla propria salute, ma vegano non è (chi ha uno stile di vita corretto non supera il 10% della popolazione). Purtroppo questo studio nessuno lo ha ancora fatto.
Per esperienza personale ho seguito una decina di amici vegetariani/vegani per circa 20 anni. Tutti sono invecchiati abbastanza male e chi 20 anni fa sportivamente mi precedeva ora mi segue… Non è una statistica, ma è un dato personale che mi fa riflettere.
Il secondo errore – Le ricerche sembrano ignorare (e lo fanno anche uomini di scienza vegani!) che
non esistono i grassi o le proteine animali, ma solo quelli di “origine animale”.
Infatti gli stessi acidi grassi contenuti nella carne si trovano anche nel cioccolato e in altri grassi vegetali, così per gli aminoacidi. Quello che fa male è l’eccesso. Ovvio che se elimino moltissimi cibi diventa più difficile eccedere, anche perché gli alimenti vegetali sono meno appetibili di quelli animali e quindi si mangia di meno (per esempio l’olio è molto meno appetibile della panna!).
Le diete completamente prive di proteine di origine animale non rispettano né il vincolo dei macronutrienti né quello di una facile autogestione. Vediamo i punti che sottolineano come difficilmente una dieta priva di proteine animali possa ritenersi “ideale”.
1) Lo spettro aminoacidico – La demonizzazione della carne e dei cibi di origine animale si è tradotta nella demonizzazione di uno dei macronutrienti principali, le proteine. In una dieta non vegana solo il 30% delle proteine deriva dai vegetali. I vegani sostengono che è possibile sopperire al bisogno proteico giornaliero con cereali, leguminose ecc. Purtroppo la cosa non è così semplice (ecco dove cade l’autogestione) perché, a differenza delle carni, i singoli vegetali non hanno uno spettro aminoacidico completo. Per esempio, nei cereali c’è una percentuale trascurabile di lisina, mentre nelle leguminose non c’è la metionina. Occorre pertanto fare un cocktail molto preciso per avere un’alimentazione proteicamente corretta. In sostanza ciò che è teoricamente possibile (un perfetto soddisfacimento del fabbisogno proteico) in pratica non lo è, vista la scarsa variabilità nel mondo vegetale di sorgenti proteiche.
2) I fitati – Inoltre se le proteine vengono derivate dalla soia occorre tener conto che, quando il fabbisogno proteico si risolve per oltre il 20% con derivati della soia, s’introducono nell’organismo sostanze (fitati) che possono inibire l’assorbimento di alcuni minerali come lo zinco.
3) Gli acidi grassi essenziali – Nelle diete con carenza di pesce mancano fonti dirette di EPA (acido eicosapentaenoico) e di DHA (acido docosaesaenoico), fondamentali per una buona alimentazione. Molte ricerche (provenienti anche da ambienti vegetariani) sollevano dubbi sulla capacità di convertire l’alfa-linolenico in EPA e DHA e la conversione è ancora più dubbia nei bambini. Su questo punto i vegetariani dovrebbero riflettere: se non ne erano a conoscenza, forse prima di scegliere emozionalmente un regime alimentare è meglio documentarsi.
4) La demonizzazione delle proteine di origine animale porta generalmente il vegetariano ad assumere una percentuale eccessiva (a volte vicina all’80%) di carboidrati (pasta, riso, frutta ecc.), cosa che non risolve affatto il problema dell’obesità, poiché un’abbondanza di carboidrati facilita la loro trasformazione in grassi.
La ricerca di Walsh
Anni fa, i movimenti vegetariani e vegani ebbero un incremento numerico nella popolazione anche grazie alla frangia di fobici ossessionati dall’idea che il cancro avesse sicuramente una causa alimentare e, in particolare, fosse collegato al consumo di carne. Se permane la scelta etica, ora anche fonti vegetariane e vegane devono ammettere che un tale tipo di alimentazione per la salute non è il massimo. Onore al merito.
Uno studio di Walsh presentato nel 2002 al 35-esimo congresso vegetariano è diventato una pietra miliare per capire il rapporto fra alimentazione e cibi animali. Qui ci limitiamo a segnalare le cose più interessanti:
- la vitamina B12, assieme ai folati, è necessaria per convertire l’omocisteina in metionina.
- Se questa reazione metabolica è bloccata, allora i livelli di omocisteina aumentano, causando l’elevazione dei livelli di SAH (S-adenosilomocisteina) e bloccando reazioni di metilazione vitali.
- I processi di metilazione sono necessari per stabilizzare DNA, RNA, proteine, produrre neurotrasmettitori e altre sostanze (coenzima Q10) e disintossicare l’organismo.
- Una carenza di folati favorisce l’anemia megaloblastica.
- In carenza di vitamina B12 le reazioni di metilazione sono compromesse e i folati vengono in parte intrappolati (“trappola del metile”), provocando ancora anemia megaloblastica.
- La carenza di vitamina B12, a fronte di elevate assunzioni di folati, provoca danni al sistema nervoso, piuttosto che anemia.
- L’omocisteina ha effetti favorenti l’ossidazione (pro-ossidanti) ed è coinvolta nel rischio cardiovascolare.
- I livelli medi di omocisteina nei vegani sono circa 14 mmol/l. Sulla base dei risultati sopra riportati, questi elevati livelli elevati della sostanza possono essere associati con un aumento in mortalità del 40%, riconducibile soprattutto a malattie cardiovascolari e altre cause.
- I bassi livelli di colesterolo dei vegani permettono di prevedere una mortalità per cardiopatia pari al 50% di quella dei carnivori, cosicché il risultato totale atteso dovrebbe portare alla riduzione di circa il 30% della mortalità attesa per cardiopatia, ma si riscontra anche un aumento del 40% di mortalità per altre cause, con poca differenza quindi nella mortalità totale.
Livelli di B12 in vegani, vegetariani e carnivori
Livelli di folati in vegani, vegetariani e carnivori
Livelli di omocisteina in vegani, vegetariani e carnivori
In altri termini, un’alimentazione vegana diminuisce sì il colesterolo, ma aumenta l’omocisteina. Morale: non cambia nulla. Tant’è che lo studio di Walsh indica che la mortalità di carnivori regolari e di vegani è la stessa! Da notare che si riduce del 16% se il soggetto è un consumatore di carne occasionale o è vegetariano, ma addirittura del 18% se è un mangiatore di pesce. Come dire: essere vegani non è la scelta salutistica più corretta.
Dieta vegana e cancro
Da anni ormai si sono diffuse le credenze che un’alimentazione vegana (cioè vegetariana in senso stretto, senza l’uso di proteine di origine animale) preservi dal cancro, che la carne rossa faccia venire i tumori ecc. Cosa c’è di vero alla luce delle attuali conoscenze mediche?
1) È parzialmente vero che l’alimentazione vegana diminuisce del 30% il rischio del cancro al colon e al retto. Chi consuma carne rossa o altri cibi animali grassi (formaggi grassi) è quindi più a rischio (a causa dei grassi contenuti in essa; il rischio diminuisce se si scelgono carni rosse magre e se si utilizzano metodi di cottura non traumatici, evitando per esempio la griglia) per questi DUE tipi di tumore. Le più recenti ricerche dimostrano però che non sono i grassi saturi il fattore di rischio, ma il loro ABUSO: in soggetti normopeso il fattore di rischio non è aumentato.
2) È falso affermare che l’alimentazione vegana protegge da tutti i tumori. Per esempio, una ricerca condotta su 350.000 donne per un periodo di 6-15 anni da ricercatori della Harvard School of Public Health di Cambridge, nel Massachusetts, ha dimostrato che non c’è nessuna prova convincente di una significativa diminuzione del rischio di tumore del seno nelle donne che consumano frutta e verdura in abbondanza. La ricerca ha peraltro dimostrato come nelle donne obese il rischio di tumore al seno sia più alto. Perché questa ricerca è importante? Perché dimostra che il presunto ruolo anticancro di frutta e verdura è decisamente ridotto se si considerano individui “magri”. In sostanza si deve modificare la precedente posizione secondo cui esisterebbero alimenti (come i grassi di origine animale) che favorirebbero i tumori in quella secondo cui alcuni alimenti sarebbero tanto più a rischio quanto più il soggetto è sovrappeso.
Anche se preserva solo in parte dai tumori all’apparato digerente (anche i vegani muoiono di cancro), potrebbe essere un aiuto per tutti coloro che sono esposti a fattori di rischio o sono geneticamente predisposti a questo tipo di tumori. Se però si traduce in numeri il punto 1) (su 100 morti si considerano quelle per tumore; su queste si considerano quelle per tumori all’apparato digerente e infine si considera il diminuito rischio del 30%, che non è poi molto) si scopre che un’alimentazione vegana non ha un’incidenza significativa sulla vita media, tenendo conto che comporta anche svantaggi dal punto di vista salutistico, altrettanto provati come la riduzione del rischio tumorale. La genetica ha ormai dimostrato che la frase “siamo ciò che mangiamo” è solo parzialmente vera perché è anche vero che “siamo ciò che nasciamo”.
3) È falso che basta un’alimentazione vegana per proteggersi dai tumori all’apparato digerente. Infatti uno studio del dipartimento dell’Agricoltura statunitense su 71 tipi di broccoli ha rilevato che le quantità di glucorafanina (la sostanza che dovrebbe proteggere dal cancro) varia enormemente a seconda del tipo. In alcuni broccoli è addirittura assente. I nutrizionisti americani alla luce di queste scoperta pensano di realizzare ibridi ricchi di glucorafanina, addirittura con l’impiego della genetica. Ciò forse non piacerà ai vegani più naturalisti, ma il mondo va avanti. Infatti le varietà attuali più ricche di glucorafanina sono quelle più amare, meno appetibili (la glucorafanina è legata a un’altra sostanza dal sapore nettamente amarognolo) e quindi probabilmente non basteranno le tecniche tradizionali per ottenere ibridi che possano essere accolti favorevolmente dai consumatori. Lo stesso procedimento si pensa di attuarlo anche per i pomodori, aumentando il contenuto di licopene, un antiossidante che attacca i radicali liberi. Attualmente la quantità di licopene è proporzionale alla temperatura del luogo di coltivazione: i pomodori coltivati a Napoli contengono più licopene di quelli coltivati in Lombardia.
4) Veramente al sicuro? – Da ultimo la ricetta vegana contro il cancro non è scientifica. La morte per cancro di Linda McCartney (la moglie del celeberrimo Paul), vegetariana convinta, mise in crisi parecchi vegetariani che si ritenevano assolutamente al sicuro dalla malattia. Da vegetariano c’è chi divenne vegano e, fra questi, un mio amico con ottimo stile di vita (normopeso e sportivo praticante, non fumatore ecc.) morì di cancro all’apparato digerente (quello su cui l’alimentazione dovrebbe contare maggiormente) a soli 51 anni.
Dieta vegana e patosensibilità
Molti vegani lo sono diventati per patosensibilità, cioè per un’esagerata reazione alla sofferenza. Il discorso etico è perdente perché un’etica assoluta non esiste (nota: un’etica assoluta può far riferimento a una religione tradizionale, ma un vegetariano/vegano per ragioni etiche non può essere credente perché nelle grandi religioni Dio accetta l’alimentazione carnivora; nel cristianesimo, tralasciando i sacrifici biblici, si pensi per esempio al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci di Gesù) e i ragionamenti dei vegani sembrano logici solo se si parte dai loro assiomi. Uno di questi è la negazione della sofferenza.
Molte persone si chiedono come sia possibile ritenere normali le sofferenze degli animali che vengono usati per l’alimentazione e concludono bollando eticamente chi è indifferente a quella sofferenza.
Purtroppo non comprendono che la sofferenza è nella normalità delle cose perché tutti noi provochiamo sofferenza per una nostra migliore qualità della vita. Quando (fra tante) scegliamo la persona più adatta a un lavoro, noi provochiamo la sofferenza delle persone bocciate per migliorare la qualità della vita di coloro ai quali quel lavoro è rivolto (pensiamo al conducente di un autobus). La risposta: “sì, ma questo è inevitabile!”. Bene, pensiamo allora alla sofferenza provocata da un nostro rifiuto a una persona che si è innamorata di noi; supposto che siamo single, non ci sono ragioni per dire di no, se non il diritto a scegliere chi ci piace e quindi il diritto alla nostra qualità della vita, anche se l’altro può soffrirne da morire, fino a uccidersi. Se è vero, come sostengono i vegani, che l’etica non può non tener conto del nostro rapporto con gli altri che ci circondano perché altrimenti è solo moralismo, proprio il nostro comportamento con gli altri uomini ci fa capire che la sofferenza è inevitabile perché noi muovendoci nel mondo siamo come un elefante in un negozio di cristalli e facciamo danni. La società civile poi minimizza questi danni con le leggi che hanno lo scopo di salvaguardare la qualità della vita del maggior numero possibile di cittadini (per esempio i pedofili sono messi al bando perché la stragrande maggioranza della popolazione è contro la pedofilia perché oggi si ritiene che prevalga il diritto del minore, cosa non così ovvia nella Grecia antica): per esempio in un Paese avanzato rubare o uccidere “non conviene” perché, a prescindere da ogni discorso etico sul quale si può discutere per anni, porta statisticamente a gravi conseguenze (prova ne è che quando c’è il sospetto che il criminale resti impunito scatta la considerazione: “ma in che Paese viviamo?”).
Fra la sofferenza di un pollo allevato e la frustrazione di cambiare alimentazione, scegliendone una dieta vegana che ritengono inappetibile (se si vogliono salvare gli animali allevati, una strategia vincente potrebbe essere quella di affermare alimentazioni vegane decisamente più appetibili delle attuali), moltissime persone ancora oggi scelgono la prima. Fra la sofferenza di un fagiano allevato e gli occhi tristi del suo cane che deve accontentarsi di una passeggiata nel parco anziché di una giornata di caccia in campagna, il cacciatore sceglie la prima.
Gli elenchi vegani
Esistono molti siti che evidenziano elenchi di campioni dello sport vegani, a riprova che l’alimentazione vegana non farebbe male.
Questi elenchi sono noti, ma anche molto dubbi. I dubbi si possono riassumere in:
- non si fa distinzione fra vegetariani e vegani; fondamentale dal punto di vista nutrizionale. Un vegetariano assume anche proteine animali (uova, latte, formaggi ecc.) e, dal punto di vista della prestazione, non è penalizzato rispetto a un onnivoro.
- Molti atleti elencati appartengono a un passato lontano. Per esempio che Paavo Nurmi (morto nel 1973) fosse vegano occorre crederlo sulla parola dei vegani.
- Molti atleti sono diventati vegetariani o vegani alla fine della loro carriera.
- Molti atleti appartengono a sport tecnici. Ovvio che per esempio nel calcio, l’essere o meno vegani poco importa, visto che la massima efficienza fisica non è il collo di bottiglia per diventare grandi campioni. Per esempio nel calcio un tossicodipendente può essere una grande stella, ma penso che nessuno, additandolo come esempio, possa sostenere che essere tossicodipendenti conviene!
- Molti atleti non sono più in attività; mentre lo erano, mai avevano affermato di essere vegani.
Consideriamo proprio Carl Lewis. L’informazione su di lui risale alla presentazione di un testo nella quale egli afferma di essere vegetariano. Il libro è del 2001 e Lewis già da anni aveva smesso di gareggiare. Quindi il sospetto che si tratti di una trovata pubblicitaria è notevole. Non a caso nella versione inglese del suo sito non è citata La fontana della giovinezza che è il programma alimentare allucinante che è presente nella versione italiana del sito: per esempio si possono mangiare carboidrati complessi, fra cui la pasta, ma “evita sale, latte, grassi animali, zucchero, oli ecc.”. La pasta come la mangia, se anche gli oli sono da evitare?
Visti questi estremismi, logico chiedersi:
ma se era vegetariano dal 1990, perché non ha mai pubblicizzato all’epoca questa sua moda alimentare?
Se un grande campione in attività fosse convinto che essere vegani aiuti la propria salute, lo si saprebbe, sia perché sarebbe uno scoop sia perché l’interessato stesso non perderebbe a ogni occasione di far conoscere le sue scelte.
I documenti dell’American Dietetic Association e dei Dietitians of Canada
Questi documenti circolano in Rete a supporto delle diete vegane.Occorre premettere che l’American Dietetic Association non è un ente pubblico, governativo, ma un’associazione di privati. Un po’ come se chi corre e ha uno stile di vita attivo fondasse l’Associazione Italiana della Salute Pubblica, nome altisonante e autorevole, ma sempre di parte. Che poi simili associazioni possano pubblicare su riviste mediche ci sta perché è importante capire che la ricerca non è scienza (vedasi La ricerca scientifica),
1 – Giudizio sulle diete vegetariane/vegane.
Le diete vegetariane possono essere tranquillamente accettate se il soggetto si costruisce un’educazione alimentare. È questo il succo del discorso. Sul fatto che siano migliori di altre permangono dubbi che discuteremo al terzo punto. Sulle diete vegane (per inciso, molti documenti vegani usano posizione valide per i vegetariani, ma ciò è scientificamente scorretto) resta il giudizio negativo. Forse comprensibili dal punto di vista etico, ma assurde nel rischiare la salute (una persona che è costretta ad assumere integratori o fare salti mortali per far quadrare i conti è a rischio, se non ha la competenza sufficiente per farlo come è stato dimostrato da diversi casi di malnutrizione di figli di vegani dalle conoscenze alimentari minime).
2 – Dietitians of Canada
Vogliono solo dare indicazioni su come non incorrere in carenze di vitamina B12, omega-3 e calcio. Anche se sbandierato dai vegani, non c’è il punto che afferma che le diete vegetariane e vegane sono indicate “anche all’attività agonistica”.
Il documento in questione non è a favore delle diete vegetariane o vegane (come i sostenitori di tali modelli vogliono fare intendere), ma dà solo una serie di avvertimenti su come i vegetariani possano vivere comunque bene.
Sull’attività agonistica rilevo che non c’è nessun campione olimpico di resistenza o di potenza che sia vegano. Un dato abbastanza decisivo, visto che si parla di almeno un migliaio di soggetti. Ovvio che se un maratoneta a livello mondiuale diventasse vegano avrebbe un motore tale che riuscirebbe tranquillamente a correre la maratona in 2h15′, sarebbe nei primi 15-20 d’Italia, ma non certo il primo. Può darsi che nasca un campione così superiore agli altri che, da vegano, possa vincere le olimpiadi, ma i grandi numeri, per ora, condannano tale modello alimentare. In altri termini, uno può fare attività agonistica, ma essere vegano non significa che la faccia al meglio.
3 – I vegani e vegetariani, nonostante la prevalenza di carboidrati risultano più magri, più longevi e più sani.
Questo non è affatto corretto ed è il frutto di un distorcimento delle cause. Non ha senso dire che i vegetariani sono più magri, più longevi e più sani confrontandoli con tutta la popolazione. Si confonde una causa diretta con una indiretta. Infatti il vegetariano in genere è attento allo stile di vita e alla salute. È questa sua attenzione (causa diretta) che lo rende più longevo della media della popolazione che magari beve, fuma ecc., non il fatto che si nutre di vegetali.
In altri termini, l’insieme dei vegetariani dovrebbe essere confrontato con quello di chi è comunque attento alla propria salute, ma vegetariano non è (chi ha uno stile di vita corretto non supera il 10% della popolazione). Purtroppo questo studio nessuno lo ha ancora fatto.
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