La dieta italiana è nata dall’analisi delle due diete più in voga in quel momento fra gli sportivi, la dieta mediterranea e la dieta a zona. Entrambi i modelli alimentari evidenziano chiari limiti nell’applicazione e/o nei risultati. Se la dieta mediterranea non è stata in grado di sconfiggere il sovrappeso, la dieta a zona è stata presto ridimensionata perché molti risultati che Sears aveva dato per scientifici e scontati sono stati messi in dubbio dalla ricerca e dall’evidenza (per esempio, in campo sportivo è evidente che si possono vincere medaglie olimpiche senza seguire la zona, anzi, la quasi totalità dei campioni olimpici non la segue!); inoltre è apparso chiaro che, senza una grossa motivazione, il seguirla comporta un atteggiamento piuttosto ossessivo nei confronti del cibo.
Fra le centinaia di modelli alimentari presenti sul mercato, oggi la dieta italiana è nei primi posti considerando le ricerche Google (17-esima nel giugno 2021) senza nessuna moda o pubblicità che la spinga o l’abbia promossa in passato.
Le due leggi della sana alimentazione
La dieta italiana soddisfa le due semplici leggi che dovrebbero regolare ogni modello alimentare.
Prima legge dell’alimentazione – Il regime alimentare deve portare il soggetto ad avere una massa grassa inferiore al limite di sovrappeso.
Questa legge sembra semplice e banale, ma è la legge antiobesità: è inutile fare esperimenti e statistiche su soggetti sovrappeso, quando si sa ormai per certo che l’obesità è un fattore di rischio per moltissime patologie. Uno stesso alimento assunto da persone obese fa maggiori danni che se assunto da persone con la corretta massa grassa. Ciò evita di demonizzare un alimento, come per esempio i grassi saturi di origine animale: per avere una massa grassa corretta non è possibile che il soggetto assuma una quantità pericolosa di grassi saturi, comportamento tipico di chi normalmente ha un’alimentazione errata. Qual è il limite di sovrappeso? È su questo limite che gli scienziati devono discutere. La dieta italiana fissa parametri molto precisi.
Seconda legge dell’alimentazione – Il regime alimentare deve rispettare la corretta ripartizione dei macronutrienti.
Anche in questo caso non si demonizza nessun cibo, ma si stabiliscono intervalli ragionevoli in cui il soggetto può muoversi. Compito dello studioso è fissare per le caratteristiche del soggetto la sua ripartizione ottimale, all’interno della quale il soggetto è libero di muoversi. Non è sensata l’affermazione (negativa): “Mangiate pochi grassi”, perché ottiene lo scopo di portare il soggetto ad abbuffarsi di carboidrati, tanto “sono i grassi che fanno ingrassare”. È invece sensata un’affermazione del tipo: “la percentuale di grassi nella dieta deve essere del 30%”. Per esempio la dieta italiana consiglia una ripartizione del tipo 45% carboidrati, 15% proteine, 25% grassi con un 15% che andrebbe modulato in base al soggetto (per esempio alla sua attività fisica).
La dieta italiana è quindi un modello alimentare che
- può essere seguito da tutti e per sempre;
- ha come risultato la massima salute dell’individuo senza penalizzare la qualità della vita con un atteggiamento troppo maniacale verso l’alimentazione.
Se si vuole,
la dieta italiana è una versione scientifica della dieta mediterranea.
Il suo rapporto con la zona si intuisce dal fatto che molti zonisti, una volta stanchi delle limitazioni e dei vincoli del modello di Sears, continuano ad affermare che seguono la zona, ma, di fatto, non fanno altro che seguire la dieta italiana, avendo conservato della zona solo l’attenzione:
- alla quantità di cibo;
- ai macronutrienti, con l’aumento della quota proteica e la riduzione di quella glicidica;
- alla qualità dei cibi con l’eliminazione dei grassi trans, dei cibi con zucchero aggiunto, con la moderazione nel consumo di alcolici ecc.
Le differenze con la dieta mediterranea
Semplice: la dieta italiana fissa dei parametri numerici che nella dieta mediterranea sono assenti, vincoli che evitano deviazioni “personali” dalla sana alimentazione. Inutile affermare che una sana alimentazione prevede certi cibi se, per esempio, non se ne fissano le quantità assumibili nella giornata, evitando le abbuffate tipiche di chi, mangiando “mediterraneo” va in sovrappeso.
Le caratteristiche della dieta italiana
Le 25 regole della dieta possono essere riassunte in alcuni punti fondamentali:
- Essere magri è necessario per essere sani – Il sovrappeso è una condizione invalidante. Molte indicazioni alimentari (limitare i grassi saturi, limitare gli zuccheri ad alto indice glicemico, assumere molte fibre ecc.) sono del tutto inutili perché in un corpo forte il solo vincolo del sovrappeso limita praticamente ogni posizione salutisticamente errata (in altri termini, se una persona vuole rimanere magra non può eccedere con errori alimentari). La dieta italiana fissa nuovi e più realistici limiti di sovrappeso con la definizione di nuove tabelle di magrezza, più rigide di quelle ormai superate dell’OMS.
- Sport e alimentazione sono un binomio indissolubile – È inutile limitarsi a consigliare di fare attività fisica, quando si sa benissimo che senza fare sport un soggetto in sovrappeso non riuscirà mai a dimagrire significativamente a causa di restrizioni troppo pesanti nella sua dieta. Meglio avere il coraggio di dire che fare sport è necessario.
- Sapere cosa e quanto mangiare – Nessuno guiderebbe un aereo semplicemente seguendo le indicazioni che un ottimo pilota dà dalla torre di controllo. Una qualunque persona sensata deciderebbe prima di imparare a volare. Eppure milioni di persone si illudono di mangiare bene semplicemente seguendo schemi desunti da un giornale o dalla consulenza di un dietologo che le ha fornite di qualche paginetta di pranzi di riferimento. Senza una educazione alimentare ogni dieta è destinata al fallimento.
- Eliminare i cibi chimici nocivi – La dieta italiana non demonizza nessun cibo purché non sia provata la sua nocività. In particolare elimina i cibi contenenti grassi trans, in particolare grassi/oli vegetali idrogenati (margarina compresa) e conservanti nocivi (come i nitrati e i nitriti dei salumi e della carne in scatola); limita l’impiego di quelli con etichetta nutrizionale non chiara, per esempio recante ingredienti non meglio identificati come “grassi vegetali” o “oli vegetali”, oppure con ingredienti che servono solo per ingannare il consumatore (coloranti, esaltatori di sapidità come il glutammato, polifosfati ecc.). Ha definito una carta degli additivi per guidare il consumatore alla scelta consapevole di ciò che mangia.
Il metodo Albanesi
Il terzo punto dell’elenco sopraccitato costituisce quella che la dieta italiana chiama educazione alimentare. Per spiegare alla popolazione come si forma un’educazione alimentare, è nato il Metodo Albanesi. Il metodo non è che un corso di 10 lezioni alimentari e 10 lezioni sportive che consentono a chiunque di gestire da sé la propria alimentazione e di iniziare la pratica di un’attività sportiva di supporto al modello alimentare.
La cucina ASI
Come ulteriore arma per la sconfitta del sovrappeso, la dieta italiana ha proposto un modello di cucina; la cucina ASI (acronimo che sta per appetibile, saziante, ipocalorica). A differenza della cucina dietetica, la cucina ASI non è affatto punitiva, tanto che la più recente versione è stata accolta con favore anche da addetti ai lavori nel campo della ristorazione.
Le regole della dieta italiana
La dieta italiana in pratica
La dieta italiana è un modello alimentare pratico, ma scientifico. Come tutti i modelli definiti scientificamente non può fare a meno di numeri e percentuali, rischiando di diventare ortoressica, anche se in misura molto minore di altri modelli (dieta a zona). Del resto un approccio non numerico è, dal punto di vista salutistico, destinato al fallimento (dieta mediterranea). È pertanto importante conciliare un certo rigore scientifico con l’assenza di ogni forma di maniacalità e in questo articolo vedremo come fare.

La dieta italiana è la versione scientifica della dieta mediterranea, giustificando numericamente i consigli generici di una sana alimentazione.
I dati numerici
I principali dati numerici che la dieta italiana tratta sono:
- le calorie assunte giornalmente
- la ripartizione dei macronutrienti
- la percentuale dei grassi saturi sul totale dei grassi (circa un terzo dei grassi, cioè il 10% delle calorie totali).
Per gestirli è necessario conoscere sia la quantità (peso) dei cibi che i valori nutrizionali. Occorre anche capire come si calcolano le calorie dei cibi sfusi non cucinati, dei cibi cotti e di quelli elaborati (ricette). La teoria di questi ultimi calcoli viene spiegata nella Lezione 4 de Il Metodo Albanesi. Il punto fondamentale di tutte le considerazioni numeriche è però legato a due problemi principali: ottenere le quantità ed eseguire i calcoli.
La quantità: l’occhio da salumiere
L’impiego della bilancia da cucina sarà sicuramente facile per chi è già abituato a pesare gli ingredienti di prelibate ricette. Potrebbe essere invece noioso o addirittura psicologicamente pesante per chi non è abituato a cucinare e vede nella bilancia un gravoso strumento attraverso il quale devono passare la sua educazione alimentare e la sua salute. Se si è fra questi, non ci si deve spaventare, la bilancia può essere come le ruote posteriori di supporto di una bicicletta per bambini: appena s’imparerà a stare in equilibrio verranno tolte.
Si osservi infatti l’abilità con cui un salumiere o un fruttivendolo scelgono la merce da pesare in risposta a una richiesta di un cliente, per esempio per due etti di formaggio o per un chilo di arance. Vanno a occhio e, se sbagliano, è sempre di una piccola quantità in eccesso, un piccolo e innocente trucco commerciale per vendere un po’ di più.
Nella prima fase con la bilancia, si dovrà dunque diventare un aspirante salumiere o un aspirante fruttivendolo; si peserà tutto e s’imparerà a farlo a occhio. Questa abilità non è necessaria, nel senso che si potrebbe usare la bilancia pesaalimenti per sempre, ma è un gioco che vale la pena provare perché alla lunga utilissimo.
Non si deve spaccare il grammo, ma avvicinarsi abbastanza al peso delle porzioni che normalmente si usano nella propria alimentazione. Un buon trucco è di partire da confezioni di cui si conosce il peso totale e valutare quale porzione è stata separata: se una confezione di ricotta pesa 250 g, un terzo sarà circa 80 g.
In genere basta una settimana di esercizio per diventare veramente bravi.
I calcoli: il periodo di prova
In genere è possibile eseguire i calcoli a mano, con l’ausilio di una calcolatrice o di un più sofisticato foglio di calcolo come Excel. Nella lezione 6 de Il Metodo Albanesi è indicato un metodo di ottimizzazione dei calcoli nella giornata in modo che siano il meno pesanti possibile.
Se le quantità si possono velocemente imparare a gestire a occhio, con i calcoli, a meno di non possedere una mentalità molto matematica, è veramente difficile fare a meno di strumenti appositi.
Ciò è necessario soprattutto nel primo periodo in cui si vuole cambiare stile alimentare e, spesso, si vorrà dimagrire.
Una volta raggiunto il peso forma, il controllo del peso potrà farsi periodicamente e si potrà adattare l’alimentazione (in più o in meno) a seconda delle variazioni dello stesso, gestendo i calcoli delle calorie assunte in modo anche grossolano (per esempio se nella giornata devo assumere 2.000 kcal, posso scalare le calorie dei vari cibi assunti fino ad arrivare a zero a sera). Più difficile il controllo dei macronutrienti e dei grassi saturi, perché in questo caso i conti sono molto più complessi che non il semplice calcolo delle calorie introdotte. Per questi controlli ci viene in aiuto il concetto di omeostasi.
L’omeostasi è quell’attitudine per cui un organismo tende a mantenere in stato di equilibrio le proprie caratteristiche al variare delle condizioni esterne.
Se siamo abituati a mangiare salato, un cibo insipido non sarà molto appetibile, mentre, dopo che abbiamo perso questa abitudine, un cibo salato sarà per noi intollerabile. In genere la variazione (meno sale) sarà avvertita come un fattore avverso, salvo poi diventare la normalità dopo il giusto tempo di adattamento.
Per la ripartizione dei macronutrienti il periodo di prova nel quale i calcoli sono molto precisi serve appunto a forzare la variazione. Se per esempio mangiavamo troppi carboidrati, ci forziamo a mangiarne di meno. Dopo un tempo variabile da qualche settimana a qualche mese, la nuova variazione sarà stata memorizzata dal nostro corpo e, se tentassimo di abbuffarci di carboidrati, avremmo una certa repulsione. Idem dicasi per i grassi o le proteine. In sostanza, dopo qualche mese, se abbiamo imparato ad alimentarci secondo una corretta ripartizione dei macronutrienti, ecco che naturalmente il nostro corpo cercherà di rispettarla, mandandoci stimoli che tendono a soddisfarla. È ovvio che il periodo necessario per il nuovo equilibrio sarà tanto più breve quanto meno punitivamente avremo avvertito il cambiamento durante il periodo di prova.
È stato comunque rilevato che anche chi continuava a sognare i dolci, dopo sei mesi di una dieta povera di carboidrati, ne assumeva naturalmente fino al 50% in meno.
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