Gli aminoacidi ramificati sono tre aminoacidi essenziali (ovvero non sintetizzabili dall’organismo che deve quindi riceverli dalla dieta; per ulteriori dettagli si consulti l’articolo Aminoacidi) denominati leucina, isoleucina e valina. Questi tre aminoacidi vengono detti ramificati a motivo della loro particolare struttura che forma appunto delle ramificazioni; essi hanno una particolare importanza nella sintesi proteica e sono coinvolti nel processo per cui si ottiene energia dalle proteine. Vediamone brevemente le caratteristiche.
Leucina – La leucina (o L-leucina o acido 2(S)-ammino-4-metilpentanoico) è il principale dei tre aminoacidi ramificati. La sua formula bruta è C6H13NO2. Questo aminoacido riveste notevole importanza per la crescita e la resistenza del tessuto muscolare; promuove la sintesi proteica nei muscoli e anche nel fegato; è in grado di rallentare il processo di decomposizione delle proteine muscolari e promuove i processi rigenerativi. Svolge altresì attività chetogenica (può cioè essere convertito in corpi chetonici) e può quindi sostenere il metabolismo nei periodi di digiuno.
La leucina non è utilizzata soltanto nel tessuto muscolare e nel fegato, ma anche nel tessuto adiposo. È particolarmente presente nei cibi ricchi di proteine, ma, a differenza di altri aminoacidi, la si può trovare in discrete quantità anche in cereali e legumi.
Isoleucina – L’isoleucina (o L-isoleucina o acido 2(S)-ammino-3(S)-metilpentanoico), come la leucina, è un aminoacido ramificato particolarmente presente nelle carni e nel pesce, ma anche nei legumi, nelle uova e nei latticini. La sua formula bruta è C6H13NO2. Nell’uomo svolge diverse funzioni, oltre a risultare fondamentale per la formazione dell’emoglobina, gioca un ruolo importantissimo nella sintesi proteica, in particolar modo di quella muscolare; è inoltre in grado di prevenire il catabolismo delle proteine strutturali e di accelerare i tempi di recupero dopo sforzi di una certa entità.
È un aminoacido sia glucogenico (può ciò essere convertito in glucosio) che chetogenico (può essere convertito ad acetil-CoA o acetoacetato e quindi contribuire alla formazione di corpi chetonici); in condizioni di normalità queste due vie metaboliche non sono particolarmente attive, ma assumono notevole importanza nel caso in cui l’organismo venga sottoposto a un digiuno prolungato oppure quando iniziano a ridursi le scorte di glucosio ematico a motivo di sforzi prolungati nel tempo.
Valina – La valina (o L-valina o acido 2(S)-ammino-3-metilbutanoico, di formula bruta C5H11NO2) è un componente indispensabile della biosintesi proteica e assieme agli altri due aminoacidi ramificati svolge importanti funzioni di nutrimento dei muscoli. Può essere utilizzata dall’organismo umano per produrre energia da cibi altamente proteici o nel caso si abbia una mobilizzazione delle riserve proteiche endogene. È inoltre importante per le funzioni mentali, il coordinamento muscolare e le funzioni nervose. La degradazione della valina porta alla formazione di propionil-CoA il quale, dopo la conversione in succinil-CoA, contribuisce al completamento del ciclo di Krebs. Fra i cibi che contengono discrete quantità di valina ricordiamo la carne di manzo, il petto di pollo, il salmone, la segale ecc.
Rapporto di somministrazione
Leucina, isoleucina e e valina devono essere somministrati insieme e in un rapporto che secondo la letteratura deve essere 2:1:1.

Gli aminoacidi ramificati sono altresì denominati aminoacidi a catena ramificata o BCAA, acronimo quest’ultimo dei termini inglesi Branched Chain Amino Acids
Aminoacidi ramificati – A cosa servono
Di aminoacidi ramificati si parla spesso quali integratori da assumere per migliorare la performance sportiva, molte volte però l’argomento viene trattato con una certa superficialità; cerchiamo quindi di analizzare la questione in modo più approfondito.
Com’è noto, gli aminoacidi sono i “mattoni” che costituiscono le proteine, essenziali per la struttura muscolare. I vari cibi contengono gli aminoacidi in proporzione variabile; con una dieta equilibrata si suppone che l’atleta assuma la quota proteica corretta e, conseguentemente, tutti gli aminoacidi di cui ha bisogno.
Rispetto al sedentario, l’atleta ha però non solo un fabbisogno accresciuto, ma anche diversificato. In particolare, ha bisogno di aminoacidi a catena ramificata, questo perché i tre aminoacidi in questione risultano essere, come già accennato nel paragrafo precedente, particolarmente importanti per i processi relativi alla sintesi proteica e sono coinvolti in quello grazie al quale si ottiene energia dalle proteine.
Sintetizzando i risultati di molte ricerche si può affermare che se l’attività fisica non è continua e sufficientemente prolungata nel tempo (almeno 50 minuti) non c’è alcuna necessità di un’integrazione con aminoacidi ramificati per recuperare lo sforzo. Se, per esempio, facciamo riferimento a una delle attività di endurance più praticate, ovvero la corsa di resistenza, si scopre che, se la percentuale proteica della propria alimentazione non è “mediterranea“, ma “italiana” o “a zona“,
l’integrazione con aminoacidi ramificati non è giustificata per chilometraggi inferiori ai 20 km.
Basta considerare il fatto che 10 g di aminoacidi ramificati sono contenuti in 250 g di carne di pollo per capire che l’alimentazione ne fornisce una quantità sufficiente per tutti quei runner che mangiano bene (leggasi con una percentuale corretta di proteine) e non sono maratoneti.
Quando asssumerli
Nelle sedute in cui si superano i 18-20 km (senza riscaldamento) si possono assumere aminoacidi ramificati. In genere si consiglia l’assunzione di 1 g di aminoacidi ramificati ogni 10 kg di peso corporeo. Alcuni autori arrivano anche a 3 g/10 kg di peso, con la giustificazione di aggiungere 1 g per ogni 10 km sopra i 20 km (40 km -> 3 g per ogni 10 g di peso corporeo).
Quanto sopra fa riferimento alla corsa di resistenza, ma i concetti espressi sono applicabili anche agli altri sport di endurance.
Se possono essere importanti nella fase di recupero, gli aminoacidi (ramificati o no che siano) non hanno nessuna particolare importanza nel miglioramento della prestazione (vedasi più avanti il paragrafo Aminoacidi ramificati e prestazione). Purtroppo molti atleti abusano degli aminoacidi ramificati nella convinzione che “male non fanno”.
In realtà, non è così poiché alte dosi di aminoacidi possono alzare notevolmente l’azotemia con conseguente sovraccarico renale.
Aminoacidi e muscoli
La pratica di usare aminoacidi e integrazione proteica per migliorare le capacità anaboliche dell’organismo arriva soprattutto dal mondo del body building secondo il banale principio: più proteine diamo più muscoli avremo. In realtà, le cose non sono così semplici. Esistono, infatti, tre fattori limitanti questa idea:
a) l’anabolismo si crea in seguito a uno stimolo, sia esso uno sforzo massimale oppure l’assunzione di sostanze (testosterone, insulina, ormone della crescita) che favoriscono l’anabolismo e che impiegano le proteine ingerite. Tralasciando la seconda possibilità (ricordiamo che l’assunzione di ormoni rientra fra le pratiche dopanti), la prima non può riguardare atleti di sport non di potenza. Infatti, in molti sport un potenziamento da body builder sarebbe del tutto controindicato.
b) Anche per i body builder l’assunzione proteica non consente di andare oltre un certo livello di massa muscolare, ovvero, detto in altri termini, l’anabolismo ha un limite ben definito.
Una volta raggiunto il massimo, non è necessaria nessuna integrazione proteica addizionale. Il risultato più eclatante fu mostrato dalla ricerca di Tarnopolski del 1988. Raccogliendo l’azoto espulso con le urine, le feci e il sudore è possibile calcolare l’equilibrio del bilancio proteico; la ricerca prese in esame tre gruppi, sedentari, body builder e atleti di fondo.
Il risultato fu che per i body builder, l’integrazione corretta per mantenere l’equilibrio doveva essere di 1,2 g per kg di peso, mentre per gli atleti di fondo 1,6 g.
È chiaro che questi risultati possono spiegare come in molti body builder non sia l’assunzione proteica a incrementare la massa magra quanto l’assunzione di sostanze anabolizzanti (naturali o meno) che stimolano un’anomala sintesi proteica. Il motivo per cui un body builder in condizioni normali (senza agenti anabolizzanti) ha un fabbisogno proteico inferiore a un runner di livello elevato si spiega ricordando che il catabolismo proteico entra in gioco solo quando lo sforzo è sufficientemente prolungato. Se il gesto atletico è limitato nel tempo (gli allenamenti di molti body builder non vanno al di là della mezz’ora effettiva di sforzo attivo, causa gli ampi recuperi fra un esercizio e l’altro) può essere anche intenso, ma la quantità di proteine catabolizzate resta bassa.
c) L’assunzione di aminoacidi (arginina, lisina, ornitina, glutammina, tirosina e altri) non aumenta i livelli di ormone della crescita, né la potenza aerobica, né la prestazione in attività massimali. Non variano neppure le concentrazioni di testosterone o cortisolo. È vero che esistono studi che asseriscono che aminoacidi come l’arginina, la lisina, la glutammina, la glicina e l’ornitina incrementano i livelli ormone della crescita.
La presenza in letteratura di dati discordanti può spiegarsi col fatto che gli studi positivi sono stati tutti svolti non su campioni della popolazione, ma su ristretti gruppi di soggetti in clinica, cioè su soggetti malati e/o anziani. I risultati positivi riguardavano la somministrazione di un aminoacido e in genere il livello di HGH aumentava di un fattore da tre a dieci.
A prescindere dal fatto che alcuni aminoacidi sono antagonisti (come la coppia arginina e lisina), se questi risultati fossero veri, somministrando 5 g di arginina, 2 g di lisina, 5 g di ornitina, 2 di glutammina e 6 g di glicina, il livello di HGH dovrebbe aumentare di oltre 100 volte! Ovviamente non è così e la spiegazione è semplice: certi risultati clinici si raggiungono in condizioni di estrema carenza (per esempio operando su pazienti sedentari e anziani); l’organismo ha sempre livelli di controllo: finché questi livelli non vengono raggiunti l’integrazione funziona, poi viene annullata (per esempio semplicemente ignorando il messaggio che arriva dalla sostanza).
Le varie ricerche sono state riprese dai produttori di integratori in modo molto ottimistico, promuovendo cioè una verità che però non è valida per tutti, ma soltanto per soggetti non sani.
Aminoacidi ramificati e prestazione sportiva
Il consiglio di assumere aminoacidi ramificati per migliorare la prestazione sportiva ha qualche fondamento scientifico?
Per rispondere correttamente alla domanda occorre riflettere sulle considerazioni sulle quali si basa il presunto miglioramento. Ancora una volta ci viene in aiuto, per esemplificare la questione, la pratica della corsa di resistenza; ricordiamo però che i concetti rimangono validi anche per tutte quelle discipline che sono caratterizzate da sforzi di lunga durata (ciclismo, sci di fondo, triathlon, nuoto di fondo ecc).
Il ragionamento è il seguente: la corsa prolungata produce un catabolismo muscolare dovuto sia a microtraumi sia all’impiego a scopi energetici delle proteine dei muscoli. Questo consumo è variabile da soggetto a soggetto e dipende dalle scorte di glicogeno, dall’intensità, ma soprattutto dai tempi di durata dello sforzo.
Se consideriamo una maratona (una delle condizioni più favorevoli per i sostenitori dell’assunzione di aminoacidi ramificati per contrastare il catabolismo muscolare), il consumo può variare da un 6% a un 12%, diciamo mediamente un 10%. Pertanto un soggetto di circa 70 kg che consuma 3.000 kcal durante una maratona, spenderà 300 kcal circa provenienti da fonti proteiche. Un dato rilevante che giustifica sicuramente in fase di recupero l’assunzione di aminoacidi ramificati; infatti, con la dieta non è possibile reintegrare a breve 75 g di proteine (si legga l’articolo Qualità delle proteine), corrispondenti a 300 kcal.
È con ragionamenti simili che si arriva a concludere che per un recupero veloce per allenamenti che superino i 50′ circa è consigliabile assumere aminoacidi a catena ramificata).
Si noti però che gli aminoacidi assunti per recuperare aiutano l’alimentazione, non la sostituiscono: servono cioè a far recuperare prima; chi si allena tre volte alla settimana può benissimo evitare ogni integrazione perché l’alimentazione fra due allenamenti è in grado di ripristinare la situazione ottimale. Ben diversa è la situazione pre- o durante la gara. Infatti, assumere anche 10 g di aminoacidi (ramificati o glutammina) se qualitativamente potrebbe servire, quantitativamente ha poco senso. Se facciamo due conti, infatti, si scopre che 10 g di aminoacidi permettono energeticamente a un atleta di 70 kg di coprire la bellezza di circa 600 metri! Cioè praticamente a livello della prestazione non cambia nulla: chi è allenato deve concludere la maratona o l’allenamento prolungato avendo ancora un’autonomia energetica di 600 metri, perché terminare in condizioni alla Filippide è veramente da suicidi.
Inoltre, occorre rilevare che l’assunzione degli aminoacidi mentre si corre obbliga l’organismo a una digestione supplementare e a una ricostruzione che sotto sforzo non è poi così automatica: è pertanto probabile che il vantaggio reale sia molto inferiore ai teorici 600 m.
Aminoacidi ramificati – Controindicazioni
Gli aminoacidi ramificati hanno importanti interazioni con numerosi farmaci (riducono per esempio l’assorbimento della levodopa e possono aumentare l’effetto degli antidiabetici). Viceversa, la loro efficacia è contrastata dai corticosteroidi, dai farmaci per la tiroide e dal diazossido (una molecola strutturalmente simile ai diuretici tiazidici, ma che si ha la capacità di attivare i canali del potassio).
Analogamente sono controindicati in presenza di molte patologie e nella preparazione di interventi chirurgici.
Per individui sani che non assumono farmaci, gli aminoacidi ramificati non sono considerati particolarmente pericolosi, anche se ovviamente gli eventuali effetti collaterali (come la perdita della coordinazione) dipendono dalle dosi assunte.