Grazie a Dio è una locuzione (derivata impropriamente da quella latina Deo gratias) che usano moltissime persone, credenti e non credenti, senza capire cosa sottintenda veramente.
Chi è solo tollerante verso la Chiesa la “tollera“, ma non la rispetta, né la stima particolarmente. Non dovrebbe quindi mai usare la locuzione in oggetto perché sarebbe una grande contraddizione. Eppure ci sono stati anche artisti non credenti (come Luis Buñuel che scrisse Grazie a Dio sono ateo) che comunque non hanno saputo rigettare in modo semplice e coerente una locuzione irrazionale, semplicemente perché hanno vissuto sempre sul confronto costante tra due opposte tensioni, il messaggio cristiano e la sfida atea di Sade, confronto tenuto in vita dall’importanza freudiana del desiderio di una realtà diversa.
Questo breve articolo vuole mostrare come però l’usarla sia spesso una grave contraddizione anche per i credenti. Se credo in Dio e uso l’espressione, do per scontato che Dio intervenga nelle faccende del mondo, ma allora come spiegare il suo non intervento per fatti gravissimi e “ingiusti”?
Sotto vedete una celebre citazione per cartoline e biglietti di auguri per la festa del Ringraziamento americana. Si ringrazia il Signore perché sarebbe “buono”, ma quando capita qualcosa di terrificante senza che chi subisce ne abbia colpa (come la morte di un bambino per una terribile malattia)? Per approfondire si veda il paradosso di Buechner.
Il condizionamento
Supponiamo che un non credente dica a un conoscente: “Ieri la nevicata è stata terribile, tornare dal lavoro un’impresa.; “grazie a Dio avevo le gomme da neve”. Ma come? Lui sei ateo e dice: “grazie a Dio?”.
Un altro esempio: “grazie a Dio, mia figlia sta bene”. Ma come? Non è mai andato in chiesa, non hai mai pregato e dice che non è merito dei medici, ma di Dio?
Perché non esiste anche l’espressione “per colpa di Dio, mia figlia è morta” o “per colpa di Dio ho perso il lavoro”? Capito come funziona lo sciamano?
Concludendo, Grazie a Dio è quindi un indicatore dei condizionamenti che si sono subiti e di un modo acritico di vivere la religione.
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