Dio esiste? La risposta a questa domanda è, o dovrebbe essere, alla base della religiosità di ognuno di noi. Diciamo subito chiaramente che non esistono
- né testimonianze
- né prove scientifiche
sia dell’esistenza sia della non esistenza e chi afferma il contrario è solo troppo coinvolto nella questione da non giudicare oggettivamente ciò che sta analizzando.
Il passo che conduce alla definizione di una religiosità coerente è inevitabilmente la posizione assunta nei confronti dell’esistenza di Dio.
Nel 1869 Huxley introdusse il termine agnosticismo (ingl.: agnosticism) per indicare una teoria che limita la nostra capacità cognitiva alla sfera ristretta dei fenomeni, senza negare la possibilità di conoscere il vero. Il termine è divenuto comune per indicare la posizione di chi in campo religioso ostenta indifferenza sul problema dell’esistenza di Dio. L’agnostico si situa a metà strada fra l’ateo (che la nega) e il credente (che la afferma). L’ateo e il credente possono poi giustificare la loro posizione razionalmente o per fede, quindi abbiamo cinque posizioni possibili.
L’agnosticismo
Gli agnostici si possono dividere in due grandi gruppi.
Il primo è quello degli agnostici consapevoli, cioè coloro che sono arrivati all’agnosticismo dopo un’indagine consapevole. La posizione dell’agnostico consapevole è senza dubbio razionale se l’indagine da lui operata è immune da errori razionali. Il secondo gruppo è quello degli agnostici superficiali, cioè coloro che non si pongono il problema religioso perché semplicemente “non è di loro interesse”.
Spesso l’agnosticismo superficiale non è che una delle manifestazioni di una persona senza valori. Storicamente è questo tipo di agnosticismo che è stato sempre attaccato dai credenti con la conseguente, ma banale identificazione dell’agnosticismo con il materialismo, l’assenza di etica, la povertà dello spirito.
Mentre l’agnosticismo consapevole è una religione, quello superficiale non è che una caratteristica della persona.
L’agnosticismo consapevole vuole dare risposte là dove le religioni tradizionali hanno fallito perché ormai “non credibili”. Si noti che anche rispondere di non saper rispondere è una risposta, come sanno tutti coloro che sono immuni dall’illusione di poter sempre e comunque arrivare a una certezza (per farlo, spesso è necessario inventare la realtà). Basta citare in matematica le proposizioni indimostrabili di un sistema formale o in fisica il principio di indeterminazione di Heisenberg per comprendere come sia ingenuo pensare che tutto si debba conoscere o dimostrare.
Il termine ateismo dovrebbe essere considerato solo nell’accezione più stretta (dal greco ateos, “senza Dio”, ateismo forte), come dottrina opposta al teismo. Questo articolo è molto critico con altre due accezioni perché di fatto completamente irrazionali:
- Ateo indica una persona che non crede. In genere il termine è usato in senso dispregiativo per indicare una degradazione della scala dei valori morali e religiosi che porta a emarginare il concetto di divino.
- Ateo è colui che non ritiene rilevante l’idea del divino o che comunque la ritiene priva di senso (ateismo debole).
L’accezione 1 è scorrettamente usata dai credenti e mischia ateismo e agnosticismo, senza una reale comprensione delle profonde differenze.
L’accezione 2 può essere compresa citando il famoso aneddoto di Laplace. Quando Laplace presentò il Trattato di meccanica celeste a Napoleone, quest’ultimo gli fece notare che non aveva mai menzionato il creatore dell’universo. Laplace rispose semplicemente: “non ne avevo bisogno!”.
Nell’ateismo debole l’ateo è tale perché confuta tutti i ragionamenti della controparte che tendono a provare l’esistenza di Dio. L’ateo si sente giustificato nella sua posizione perché di fatto ha smontato le tesi dei teisti. L’ateismo debole si rifà soprattutto all’uso del rasoio di Occam, un principio metodologico espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham (Guglielmo di Occam). La scienza moderna utilizza pesantemente tale principio che, nella sua forma più pratica, suggerisce di evitare di utilizzare più assunzioni di quelle che si siano trovate per spiegare un dato fenomeno; il rasoio di Occam insegna cioè agli scienziati a evitare ipotesi aggiuntive quando quelle iniziali sono sufficienti.
L’ateismo debole usa il rasoio di Occam partendo dalle stesse affermazioni dei credenti: “se è possibile che Dio sia sempre esistito, perché non anche il mondo?”. La proposizione “Il mondo è stato creato da Dio, il quale è sempre esistito” si semplifica in “Il mondo è sempre esistito”. Dio sarebbe superfluo per spiegare l’esistenza del mondo.
Contro il rasoio di Occam vale l’analogia del processo che esamineremo parlando dell’ateismo razionale (forte); oltre a essa, vale sempre l’osservazione di Kant secondo cui la semplificazione non necessariamente porta alla verità.
L’errore di chi usa il rasoio di Occam è che esso è un metodo che può servire per arrivare alla verità, ma non dà nessuna certezza di arrivarci (non è cioè condizione sufficiente). Se tale certezza vi fosse, una volta scoperte le tre particelle costituenti un atomo (protoni, neutroni, elettroni), che necessità ci sarebbe stata di proseguire nella ricerca di altre particelle? L’ateismo debole è profondamente non scientifico perché di fatto boccia ogni ricerca sull’origine dell’universo: se il mondo è sempre esistito e ci si accontenta di questa posizione come conciliarla con le teorie sulla “nascita dell’universo”?

Dio esiste? La risposta a questa domanda è, o dovrebbe essere, alla base della religiosità di ognuno di noi
L’ateismo razionale
Secondo l’ateismo forte (qui indicato come razionale) non esiste alcun dio.
Premettiamo che l’ateismo non ha una reale dimensione razionale; nessun grande pensatore ha sostenuto razionalmente la capacità di dimostrare che Dio non esiste, ma tutte le posizioni atee partono dal fallimento delle dimostrazioni dei teisti.
L’ateismo razionale ha due gravi e insormontabili problemi.
L’onere della prova – La prova toccherebbe già a chi afferma (affirmanti incumbit probatio). L’ateo si accorge dell’inconsistenza delle dimostrazioni dell’esistenza di Dio e, per rigetto, pretende che si accetti che non esista, con un ragionamento scorretto: se uno stupido dice che A è vero, allora A è falso. Tale posizione è palesemente assurda, un cavillo che si può smontare banalmente con l’analogia del processo. Basti pensare alla posizione di un accusato in un processo. Il suo difensore sostiene, in modo del tutto inaffidabile, che è innocente (Dio esiste). Il pubblico ministero non può basare il suo lavoro sul fatto che l’avvocato difensore è un incapace e sostenere che, poiché non ha dimostrato che il suo cliente è innocente, è giusto condannare l’accusato (Dio non esiste). Deve invece portare le prove che è colpevole.
Molti atei rovesciano in modo molto partigiano l’analogia del processo, ragionando così: se accuso qualcuno di aver compiuto un delitto, sono io che devo portare le prove a sostegno di questa accusa, altrimenti sarò a mia volta denunciato per diffamazione. Vero, ma se io sono così scarso da non saper portare prove a sostegno (e quindi mi merito la diffamazione), non vuol dire che le mie accuse siano false!
Una variante dell’onere della prova è la tesi basata sull’assenza di evidenze a favore dell’esistenza di Dio. Tale posizione è utilizzata da molti scienziati, salvo poi scoprire che nella scienza ci sono moltissimi casi in cui per secoli (e tuttora) si sono inseguite teorie, concetti, entità di cui non c’era nessuna evidenza!
Gli attributi di Dio – Per dimostrare che Dio non esiste gli si conferiscono arbitrariamente attributi; tali attributi sono ragionevoli (nel senso delle religioni tradizionali), ma assolutamente arbitrari e non necessari. Non si può parlare di incoerenza degli attributi divini per portare argomenti a favore della sua non esistenza; facendolo, di fatto si commette lo stesso errore di chi arbitrariamente, ricercando l’autore di un omicidio, dà per scontato che sia stato perpetrato da una donna e poi, dimostrando che una donna non può essere la colpevole, arriva a sostenere che il delitto non esiste!
Sul problema degli attributi cadono alcune posizioni atee:
a) Non credenza. Molte persone non credono, quindi non può esistere una divinità che voglia essere adorata da tutti, ma non sia in grado di dare la fede a tutti. Chiaro l’errore: si dà per scontato che Dio voglia essere adorato dai suoi fedeli, mentre potrebbe essere semplicemente un osservatore passivo del suo creato.
b) La pluralità delle religioni e degli dei. L’esistenza di tante religioni e tante diverse divinità è la dimostrazione che non esistono prove irrefutabili. Anche qui l’errore è evidente: il fatto che tutti i sospettati di un delitto risultino innocenti non significa che il delitto non esista! Si dà per scontato che Dio si debba rivelare agli uomini.
c) Il male. Perché Dio se è buono e onnipotente, tollera il male? Quindi non esiste. Anche in questo caso l’attributo “bontà” è alla base dell’argomentazione, ma che Dio sia buono è un passo successivo alla sua esistenza.
d) La complessità di Dio. R. Dawkins sostiene che la complessità dell’azione di Dio è in contraddizione con la semplicità sostenuta da molti teologi. Purtroppo anche Dawkins (che ha scritto un libro a riguardo, L’illusione di Dio) non si accorge che tutte le sue argomentazioni si basano sull’arbitrario conferimento a Dio di un attributo (la semplicità).
e) Le neuroscienze. Molte caratteristiche di Dio sono palesemente “proprietà mentali” (avere una volontà, conoscere, prevedere, decidere ecc.). Poiché ogni proprietà mentale presuppone l’esistenza di un cervello, le neuroscienze avrebbero dimostrato la contraddizione con la credenza che Dio sarebbe immateriale. Anche in questo caso, al più si dimostra la contraddizione nella credenza di un dio dalle caratteristiche antropomorfiche.
Dio e risentimento ateo
L’ateismo razionale è un grave errore logico perché non è che una forma psicologica di rigetto alla fede dei credenti. Se esaminiamo tutte le presunte prove degli atei, scopriamo che esse partono in qualche modo dalle idee di altri uomini (o Chiese).
Lo strapotere nei secoli delle Chiese ha fatto sì che l’emotività di molti pensatori arrivasse a negare Dio solo perché le tesi di chi vi credeva erano del tutto arbitrarie, risibili o false. Praticamente sono caduti nello stesso dogmatismo e nell’assenza di spirito critico tipico delle Chiese.
Una dimostrazione di quanto detto è che in Italia esiste un’organizzazione che tutela i diritti civili degli atei e degli agnostici. L’UAAR (1987, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti italiani) è impegnata in importanti battaglie civili (possibilità di sbattezzarsi, protesta per la devoluzione degli oneri di urbanizzazione dei comuni alle confessioni religiose ecc.). Poiché un ateo e un agnostico non sono razionalmente compatibili, è evidente che l’UAAR nasce come reazione allo strapotere della Chiesa.
Di fatto, alcune posizioni del risentimento ateo non fanno che favorire ciò che gli atei vorrebbero combattere, tanto che l’ateismo è stato spesso associato alle convinzioni di persone immorali e asociali.
Il teismo razionale
Esistono moltissimi tentativi di dimostrare l’esistenza di Dio, ma tutti sono sicuramente insufficienti da un punto di vista assoluto. In tutte le dimostrazioni si danno per universalmente valide proposizioni che non sono tali (per esempio l’esistenza di un fine supremo, di una perfezione, di una causa del mondo ordinata ecc.). Del resto è banale confutare le varie “dimostrazioni” semplicemente negando le premesse.
Si conclude quindi che si può credere all’esistenza di Dio solo per fede. Non a caso uno dei più grandi pensatori dell’epoca moderna, Blaise Pascal cercò di formalizzare un ragionamento molto semplice che superasse la difficoltà razionale della dimostrazione dell’esistenza di Dio: conviene credere perché se Dio esiste si è ottenuta la salvezza, se non esiste si è comunque vissuta un’esperienza positiva rispetto alla consapevolezza di finire nel nulla dopo la morte (scommessa di Pascal).
La scommessa di Pascal così enunciata può essere una forma di consolazione per chi la accetta; purtroppo lo stesso Pascal (la scommessa fa parte dell’apologia del cristianesimo nell’appendice dei Pensieri) la usa arbitrariamente per identificare l’esistenza di Dio con il ruolo della Chiesa. Anche accettando la scommessa, non è lecito dedurre che una determinata religione sia, in base a tale scommessa, la vera strada per la salvezza. Infatti non basta credere in Dio per ottenere l’eventuale salvezza e la scommessa non è in grado di determinare quale Dio esiste. In altri termini, si può accettare la scommessa, sbagliare religione, vivere secondo regole che Dio non accetta e finire dannati!
La scommessa di Pascal è uno degli esempi di come lo sciamano sia sempre esistito nella coscienza degli uomini: un grande pensatore razionale come Pascal non riesce a vedere i limiti della sua scommessa perché “dà per scontato” che il cristianesimo (e di conseguenza la sua morale) sia la sola religione possibile.
L’influenza dello sciamano si fa sentire anche su uno dei più grandi matematici, Kurt Gödel, autore de La prova matematica dell’esistenza di Dio. Usando la logica, in modo molto complesso, Gödel dimostrerebbe l’esistenza di Dio partendo da 5 assiomi e 3 definizioni. Peccato che la cecità indotta dallo sciamano non gli abbia mostrato proprio i limiti (cioè l’assurdità per l’uomo comune) dei suoi assiomi. Trattando solo i primi due:
1) Se due proprietà sono positive, allora lo è anche la loro unione. Peccato che la realtà non ci dice questo. Amare (nel senso di essere amorevole, anche sessualmente, con) Maria è positivo; amare Carla è positivo. Amare Maria e Carla può non esserlo!
2) Una proprietà è positiva oppure lo è il suo contrario, ma non lo possono essere entrambe e non possono essere entrambe non positive. Qui si esce completamente dalla realtà: se “essere bravi matematici” è positivo, suona assurdo stabilire che “non essere bravi matematici” è negativo.
Dio e i fantasmi
Molti atei usano contro l’agnosticismo l’esempio dei fantasmi: “se io ti dicessi che in camera mia c’è un fantasma (o un drago con mille teste) tu che mi risponderesti? Che non ci credi! Dubito che tu mi risponderesti che “non posso dire né che c’è né che non c’è”.
In realtà, esiste una grande differenza fra Dio, fantasmi, draghi e cose simili. Nel caso dell’esistenza di Dio non ci si muove con la sola logica (ricordiamo che la razionalità non è solo logica, disciplina che riguarda pochi scenari reali!); come in un processo perché abbia senso procedere nei confronti di un soggetto sono necessari gli indizi, anche nel caso dell’esistenza di entità devono esserci degli indizi che mi portino a processare l’esistenza. Senza indizi razionalmente validi, l’affermazione è priva di significato (cioè al di fuori del contesto analizzabile dalla mia razionalità). Dire “nella mia camera c’è un drago a tre teste” è come dire “nel mio aeroplano pensano insetti settecenteschi”, sintatticamente corretta, ma priva di significato.
Nel caso di Dio, l’indizio della sua esistenza, che giustifica il “processo”, è la domanda: “ma chi ha creato il mondo?”.
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