Qual è il rapporto che esiste fra religione e qualità della vita? Personalmente penso che la religione sia un grande depressivo della qualità della vita quando questa è al top mentre diventa un farmaco sintomatico quando la vita fa schifo, un farmaco per curare sintomi, ma non per risolvere la malattia.
Non ne siete convinti? Bene, riflettete sul fatto (teorema di Albanesi; scusate l’immodestia, ma mettere il mio nome qua e là negli articoli è un watermark che li difende da copia e incolla non autorizzati) che
nei Paesi cristiani, quanto maggiore è la percentuale di cattolici (e ortodossi) tanto meno moderno e avanzato è il Paese.
In America si confrontino Canada (43%) e USA (23,9%) con l’America Latina (si va dal 92% dell’Argentina al 65% di Brasile e Uruguay); in Europa, Portogallo (84%), Spagna (71%), Italia (81,5%) e Grecia (97%) sono ormai i fanalini di coda, molto distanti da Svizzera (38%), Svezia (2%), Norvegia (1%), Germania (30,6%), Francia (51%) ecc.
Sembra che una percentuale di cattolici superiore al 60% sia decisamente penalizzante, probabilmente perché, essendo la maggioranza, forgia la società in modo da limitare lo spirito critico e la razionalità necessari in ogni attività umana per ottenere il meglio. Non si tratta di una questione “teologica”, ma “psicologica”: si noti come i protestanti (naturalmente portati a mettere in discussione anche ciò che non si dovrebbe discutere) siano molto meno penalizzati perché più “moderni”. Si veda anche Cattolicesimo ed economia.
Cattolicesimo e qualità della vita
Molti oggi plaudono a ogni parola pronunciata da papa Francesco; questo articolo vuole invece mostrare come sia penalizzante seguire e farsi condizionare dal buonismo religioso. In altri termini,
il cattolicesimo è una condizione penalizzante per ciò che concerne la qualità della vita.
Ovviamente la frase precedente va interpretata statisticamente come media sulla popolazione, non potendosi escludere che ci siano singoli cattolici praticanti felici e soddisfatti della loro vita.
Ragioniamo quindi in media e vediamo cosa ci sia di penalizzante. Partiamo dal fatto che più volte Francesco ha sottolineato come per un cattolico lo scopo principale della vita debba essere un “servire gli altri”.
Sicuramente da questa missione molti ne traggono una profonda autostima (sono buono quindi valgo; il ragionamento classico del patosensibile idealista), ma l’autostima non basta a essere felici, quando mancano azioni che fanno della nostra vita una piccola leggenda.
Cosa significa servire gli altri? Significa mettere a volte in secondo piano sé stessi, anche quando l’altro è un perfetto sconosciuto ed è al di fuori del mondo dell’amore. La differenza fondamentale con il Personalismo è che per il Personalismo l’altruismo non deve essere irrazionale, ma equilibrato, cioè ognuno dà quanto riceve. Se dà di meno è un egoista, se dà di più è uno sprovveduto che, condizionato da morali poco “umane”, sacrifica sé stesso per raggiungere un improbabile paradiso.
Servire gli altri significa soprattutto:
- essere al servizio della famiglia, anche questa diventa un macigno per la propria esistenza (ricordiamo che i figli debbono onorare i genitori, anche se questi deprimono la loro vita in mille modi diversi, dalle violenze familiari al desiderio di controllare la vita dei figli anche quando sono adulti, dalle assenze di genitori superimpegnati all’insufficienza del vecchio che pretende di avere tutti a propria disposizione ecc.);
- essere al servizio di parenti e della comunità; vedasi a tal proposito la strategia della cooperativa;
- essere impegnati nel sociale facendo volontariato (si veda l’articolo sul volontariato per conoscere la risposta del Personalismo al problema).
In sostanza, quanto tempo viene sottratto ai propri oggetti d’amore? Certo, il cattolico può obiettare che l’altro è un suo oggetto d’amore. Se però così fosse, dovrebbe migliorare la qualità della sua vita e non riempirla di problemi, di dolore, di sofferenze. Dubito veramente che chi per esempio stia assistendo malati terminali abbia il cuore pieno di gioia, a meno che non sia così folle da utilizzare il dolore che ha accanto per sentirsi immensamente soddisfatto della sua vita.
Praticamente, il cattolico sopravvive facendo del bene e aumentando la sua autostima, rimandando la gioia piena al premio nell’aldilà. Se è fortunato e non ha particolari condizioni penalizzanti aggiuntive può anche superare la soglia di semplice sopravvivenza, ma se non lo è, deve solo sperare che il paradiso esista!
A questa prima mazzata alla qualità della vita se ne aggiunge un’altra: la doverosa rinuncia a ogni forma di ricchezza (“il denaro è lo sterco del diavolo”), un concetto più volte espresso da Francesco. Questa posizione deprime l’economia del Paese (si veda l’articolo Cattolicesimo ed economia), visto che, di fatto, boccia ogni competitività volta a un utile personale. Il bravo ragazzo, tutto casa e chiesa, lavora in funzione degli altri (principalmente la famiglia) non tanto per arricchirsi e vivere meglio.
Concludendo, la prossima volta che ascoltate papa Francesco avete due possibilità: o lo approvate e diventate dei veri cattolici oppure riflettete su quanto possa essere deprimente la sua strategia esistenziale.
Riflessioni moderne
Notate come quanto minore è il livello intellettuale medio della popolazione, tanto più c’è religione (questo è un discorso generale). Non so darvi spiegazioni cristalline, ma penso che nei Paesi avanzati molti siano arrivate alle mie stesse conclusioni, conclusioni per arrivare alle quali occorre avere il cervello libero da condizionamenti.
Ricordo un giorno di qualche anno fa; ero in campagna con i miei cani; Dolly inseguiva felice le quaglie che la beffavano con voli bassi e radenti il terreno. Cassie faceva quel che poteva, tanto sa che per noi le quaglie non sono importanti. Però si impegnava come sempre, per prepararsi alla stagione di caccia, verso fine settembre, in fondo è la sua vita e nulla la rende più felice che correre in campagna. Anche allora che aveva dieci anni, le gambe deformate dalla displasia e dall’artrosi, correva finché il fisico eccezionale la sorreggeva. Poi incominciava a perdere qualche appoggio e incespicava. Quel giorno in campagna ricordavo quando con lei facevo tutta la giornata di caccia e ora la limitavo a tre ore per farle gustare al massimo le sue uscite senza distruggerle le zampe. Pensai che fra qualche anno non ci sarebbe stata più e non riuscivo a capire cosa avesse Dio da offrirmi di meglio di quanto avessi quel giorno.
Quindi, papa Francesco, quando tu parli della Madonna, di Gesù e altre cose simili, mi spiace, ma io penso che tu voglia solo illudere chi ha sofferto o ha paura di soffrire; sono parole vuote che arrivano a offendermi quando me le vuoi far passare come Verità Assolute (non capisco perché alla religione non si applichi il reato di abuso della credulità popolare, ammesso che tale reato sia plausibile). A me il tuo paradiso non interessa. Non solo perché per Cassie non c’è posto, ma anche e soprattutto perché non mi serve. Se Dio fosse buono mi lascerebbe vivere questa mia vita che è leggenda e mi basta. Un padre, se è buono, vuole la felicità del figlio, non si comporta come un padrone, indirizzandolo dove lui pensa sia giusto che vada.
Non dirmi che io non posso capire perché, se non capisco il linguaggio con cui mi parli, come posso definirti buono?
Indice materie – Religione – Cattolicesimo e qualità della vita