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Chiesa e animali

Il rapporto fra Chiesa e animali è uno dei motivi per cui il cattolicesimo debba considerarsi una religione ormai superata. Per spiegarlo soffermiamoci su una delle “uscite” di papa Francesco, ampiamente ripresa dai media: “No a chi ama cani e gatti e ignora le sofferenze dei vicini“. Una frase che dovrebbe essere rigettata da qualunque persona con un minimo di buonsenso, anche se so che molti che sono colpiti dalla massima non avrebbero il coraggio di dire apertamente che la frase è una colossale sciocchezza. Colpa dello sciamano che impedisce di usare la dovuta forza per replicare a quegli insulti cui Francesco ha abituato la popolazione, lui che dice di non giudicare.

Pensare che un vicino possa contare come un fratello o un amico è un’assurdità esistenziale (basta pensare alle assemblee condominiali); i vicini che sono con noi molto compatibili diventano amici e cessano di essere semplici vicini. Volere a tutti i costi che ci si interessi alle sofferenze di chi tutto sommato ci è indifferente, oltre che disumano, diventa un crimine quando si condanna l’amore che noi comunque abbiamo per qualcuno.

Francesco, parliamoci chiaro: chi si interessa ai vicini, fa volontariato, aiuta i poveri e per farlo trascura chi ama, non sa amare, è solo ammalato da un’assurda voglia di santità.

Chi dedica le giornate o le serate a “estranei” e dimentica figli, partner, amici è solo un “malato di santità”.

Se non hai nessuno, fai pure volontariato, ma non venire a giudicare chi ha qualcuno o qualcosa da amare.

Molti hanno detto che il papa non condanna l’amore per gli animali, ma solo chi vi associa l’indifferenza per il vicino. Il problema è proprio questo, condannare chi ignora il vicino (che, fra l’altro, per quanti problemi abbia, potrebbe essere comunque una pessima persona). L’indifferenza non è un crimine (è uno dei cardini del Neocinismo, una strada per la felicità), l’importante è non odiare, ma chi, come il papa pretende di amare tutto il mondo, in realtà alla fine finisce per trascurare chi è nel suo mondo dell’amore e quindi non ama nessuno. Per questo il suo messaggio è pericoloso. Perché invece di cani e gatti non ha detto “figli”? Se uno si interessasse dei problemi di tutti coloro che gli sono intorno, può essere un buon genitore? Lasciare da soli i propri figli alla sera per aiutare gli altri è da buoni genitori? Il furbacchione ha usato “cani e gatti” perché con figli la sua osservazione sarebbe risultata ridicola a tutti.

Chiesa e animali

San Francesco e il lupo (cap. XXI de I fioretti di San Francesco di Ugolino da Brunforte)

Dietro alle parole del papa c’è comunque il fastidio per l’amore per essere; se potessi riportare in vita i cani che ho amato anche solo per un giorno scambiandola con la vita di 1.000 sconosciuti, lo farei; caro Francesco, se potessi riportarli in vita anche solo per un giorno barattandolo con la tua vita, lo farei, senza minimamente sentirmi in colpa perché, scusami, tu vali molto meno dei miei cani, almeno per me.

Troppo duro. Beh, qualcuno queste cose non deve solo pensarle, ma deve dirle. Finché ci saranno deboli, succubi di questo omino vestito di bianco, che non hanno il coraggio di dire quello che pensano, dubito che l’Italia diventi moderna.

Il percorso del condizionamento sociale

Molti si scandalizzeranno perché baratterei un giorno della vita del mio cane con quella di mille sconosciuti o con quella del papa. Ma vediamo un percorso per misurare il vostro condizionamento sociale.

  1. Una madre può salvare il figlio se schiaccia un pulsante; se non lo schiaccia il figlio muore, se lo schiaccia muore uno sconosciuto. Quale genitore non schiaccerebbe il pulsante? Un pessimo genitore, abbiate il coraggio di dirvelo.
  2. Ora gli sconosciuti per salvare il figlio sono due. Probabilmente il 99% dei genitori schiaccerebbe lo stesso il pulsante.
  3. Man mano che il numero di sconosciuti aumenta la percentuale di chi schiaccia A diminuisce.

Il numero finale che non fa schiacciare A misura il condizionamento sociale del soggetto (cioè la pressione che la società fa su di lui per renderlo un soggetto sacrificabile al bene della società).

Ora invece del figlio parliamo dell’amato cane/gatto e supponiamo di chiedere alle persone se sia giusto che il proprietario di un cane/gatto che ama tantissimo schiacci il pulsante nei casi 1, 2, 3 ecc.

Si tratta di un trucco classico (e quel furbacchione del papa lo ha usato, se invece degli animali avesse usato i figli, a tutti il suo intervento sarebbe apparso ridicolo): mentre con la madre era alta la percentuale, nel secondo esempio, a parità di sconosciuti scambiati con l’animale, la percentuale cala drasticamente per due motivi:

  • il primo è che la gente continua a ritenere impossibile che un cane/gatto sia un oggetto d’amore, uno della famiglia, un “figlio”;
  • il secondo è che chi ha un basso potere razionale, non riesce a evidenziare scenari analoghi e quindi a ritenere comunque umano il fatto che “se un soggetto ama il cane/gatto come un figlio, si comporterà di conseguenza”.

Irrealistico?

Non giudicate lo scenario irrealistico! Per evitare di mettersi alla prova molti lo riterranno tale. In realtà è banale traslarlo a situazione reali (investo un passante distratto o esco di strada con il rischio di un incidente mortale per il figlio che ho accanto? Ecc.). Fra l’altro, esistono versioni più “dolci” dello scenario che, nella vita reale, sono altrettanto devastanti. Si pensi al genitore che per aiutare gli altri finisce per trascurare i suoi figli e la sua famiglia, condizionato dalla necessità del bene sociale (vedasi aneddoto del medico nell’articolo sulla solidarietà).

Non farsi queste domande è tipico quindi di chi non vuole indagare il proprio animo, preferendo vivere alla giornata.

Un’altra obiezione inconsistente è questa: se barattassi ogni istante della vita del tuo cane per la vita di 1.000 persone, in pochi giorni al mondo non ci sarebbe più nessuno eccetto quelle poche persone a cui vuoi più bene che al cane.

Un classico errore di traslazione dello scenario. Per capirci, se a un minatore chiedessi: se vinci 100 milioni al Superenalotto continueresti a lavorare e quello mi rispondesse di no, avrebbe senso che io gli dicessi: “ma cosa dici, se tutti facessero come te, se tutti vincessero 100 milioni e nessuno lavorasse più, chi farebbe funzionare le scuole, gli ospedali ecc.?”. Avrei furbescamente cambiato lo scenario per bocciare la sua plausabilissima risposta.

Analogamente l’obiezione sopraespsota cambia lo scenario, ma questo non può riferirsi alla risposta precedente. Quindi sia chiaro che il nuovo scenario non boccia la mia precedente risposta. Ora rispondiamo al nuovo scenario. Per chi conosce la mia posizione ambientale, il concetto di antropentropia: la natura è spacciata se il numero di uomini continua a crescere, quindi il fatto che la popolazione diminuisca non è un problema.

L’importante è che non diminuisca a tal punto da rendere difficile anche la vita del cane che voglio salvare. Per questo nello scenario originale ho precisato 1.000 e non “tutti gli sconosciuti”. In altri termini, il numero di sconosciuti può cambiare qualcosa se il baratto rende comunque invivibile ciò che resta. Del resto, praticamente tutti inconsciamente ragionano così: perché quando c’è una disgrazia, al tg si premurano di dire “10 italiani fra le vittime”, quasi che gli italiani contino di più, pur essendo parimenti sconosciuti al pari di francesi, tedeschi, russi ecc. Si veda il paragrafo La prova del nove nell’articolo sul prossimo per capire come i media (e il 99% della popolazione) si interessano molto di meno di ciò che accade lontano da noi.

Gli animali vanno in paradiso?

La risposta ufficiale della Chiesa è no; attualmente la Chiesa e il papa fanno di tutto per non predere animalisti e hanno fatto circolare la voce (mai confermata) che il paradiso “sarebbe aperto a tutte le creature”, di fatto contraddicendo secoli di interpretazioni dei testi sacri.

Deve averlo capito anche il Vaticano che si è affrettato a smentire tutta la stampa nazionale (la notizia è stata ripresa praticamente da tutti i giornali fino ad arrivare al New York Times), ma lo ha fatto in modo molto “mediatico”. Il portavoce vaticano, monsignor Benedettini, ha affermato che c’è stato un errore e che papa Francesco non ha mai detto che gli animali vanno in paradiso, ma che tale frase va attribuita a Paolo VI che consolò un bambino triste per la morte del suo cane (notate anche qui il tentativo della religione di fare proseliti nel momento del dolore di una persona). Poi i vari papi sono sempre stati evasivi sull’argomento: per Giovanni Paolo II gli animali “non sono privi di qualcosa che somiglia al soffio e allo spirito di Dio” (parole più evasive di queste non poteva usare), mentre Benedetto XVI nel 2008 spiegò che “nelle altre creature [animali], che non sono chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla terra”. Ora Francesco non sa che pesci pigliare e non prende posizione, ma crea una confusione che gioca a suo favore. Chi non sa della smentita penserà che anche il suo amato cane andrà in paradiso (che sfortuna se poi il padrone va all’inferno) e che certe correnti come il vegetarianesimo, il veganesimo o il semplice animalismo siano compatibili con la dottrina cristiana e applaudirà la superstar Francesco. Forse Benedetto XVI è stato mandato fuori dai giochi perché troppo sincero.

Come la Chiesa spiegherà il fatto che Gesù stesso si cibasse di pesci (che moltiplicava alla grande), di fatto perorando l’uccisione di creature dotate di qualcosa di simile all’anima? Come spiegherà che gli animali vanno in paradiso mentre noi possiamo andare anche all’inferno? E, se gli animali possono andare all’inferno, come faranno i sacerdoti a confessare i peccati degli animali? La ricerca dell’audience a tutti i costi crea situazioni molto comiche.

 

Indice materie – Religione

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