È possibile definire razionalmente gli attributi di Dio? Prima di rispondere sono necessarie alcune importanti riflessioni,
Abbiamo visto che una fede razionale è possibile. Sono sicuro che a questo punto molti credenti plaudiranno gli sforzi fatti. In realtà devo smorzare il loro entusiasmo perché stabilire che (1) “è possibile che Dio esista” è solo un piccolo passo.
Infatti è necessario dare la definizione di cosa sia Dio per arrivare a qualcosa di concreto che ci differenzi realmente dalla posizione dell’agnostico; la (1) di per sé, se resta tale, indica una certa indifferenza al problema e non genera, praticamente, nessuna distanza dall’agnosticismo.
Dio, il mondo, la vita
Quando un credente inizia il suo viaggio spesso correla la ricerca degli attributi divini con il senso della vita o la spiegazione del mondo. Iniziano subito le difficoltà perché di fatto si aprono molte ipotesi; vediamone alcune.
Dio è la singolarità all’origine del Big Bang – Oggi, la maggioranza degli scienziati dà credito all’ipotesi del Big Bang, il fenomeno da cui, circa 15-20 miliardi di anni fa, nacque l’universo; tale fenomeno sarebbe nato da una singolarità di densità infinita e di volume piccolissimo. Prima non ci sarebbe stato nulla, l’universo non sarebbe che una fluttuazione quantisticamente accettabile: dall’interno, la fluttuazione può durare miliardi di anni, ma non essere temporalmente rilevante per un osservatore esterno, del quale peraltro non potremo mai sapere nulla (ignoranza compatibile con l’agnosticismo).

La teoria del Big Bang è stata dedotta dalle equazioni della relatività generale. Sino al 1930 quasi tutti i maggiori cosmologi ritenevano che l’universo fosse eterno e secondo molti ciò rendeva l’esistenza di un Dio creatore un’ipotesi superflua. Con il progredire delle informazioni scientifiche nella popolazione, si è cercato di reinserire Dio nel processo di nascita dell’universo.
La vita è sogno – Non tutti conoscono La vita è sogno di Calderon de la Barca. Nella commedia il re di Polonia, Basilio, ha saputo dagli astri che verrà spodestato dal figlio Sigismondo. Il figlio, appena nato, viene rinchiuso in una torre sorvegliata dal servo Clotaldo. Sigismondo cresce incolto e selvaggio, ignaro delle proprie origini; solo la bella Rosaura, figlia di Clotaldo, gli dimostra affetto e dolcezza. Basilio, prima di escludere definitivamente dal regno il figlio, vuole dargli una possibilità: lo fa portare a corte mentre è addormentato. Sigismondo al risveglio apprende la sua vera identità, si comporta da principe violento e tirannico, cercando di vendicarsi di Clotaldo e di Basilio e scagliandosi anche contro Rosaura che però riesce a placarlo. Fallito il tentativo, il padre lo fa riportare nella torre e, al suo risveglio, Sigismondo pensa di aver sognato.
Fin qui la parte della commedia che ci interessa (quando Basilio abdica in favore dei nipoti, una rivolta popolare libera Sigismondo e lo acclama re; il protagonista si comporterà da re giusto e saggio, aprendo uno spiraglio di speranza nella cupa vicenda).
È abbastanza evidente che nessuno di noi può escludere di star vivendo un sogno, al risveglio del quale potrebbe scoprire la vera realtà. Questa ipotesi è meno fantascientifica o cervellotica di quanto si pensi. Se si vuole usare la ragione per discutere un problema importante come l’esistenza di Dio, non è possibile escludere nessuna ipotesi.
Se la vita è sogno, al risveglio che accadrà? Scopriremo di essere noi Dio? Oppure varrà una delle altre ipotesi?
Dio (come spiegazione di questo mondo) non esiste più – I Nomadi cantavano Dio è morto… Il mondo potrebbe essere una bellissima costruzione di un essere superiore che però non esiste più. Pensiamo a un grande capolavoro dell’arte e al fatto che il suo autore è magari scomparso da secoli.
Dio è un sottodio – Quando si pensa a Dio si dà per scontato che esista un solo livello. Pensiamo a un cane e al suo amatissimo padrone. Per il cane il padrone è Dio, essere intelligentissimo e onnipotente. Sappiamo però che non è così. Allo stesso modo, il mondo potrebbe essere stato creato da un essere comunque non supremo né perfetto, solo molto “più perfetto” e intelligente dell’uomo, ma, sopra il quale, esistono ancora altri livelli gerarchici (che magari si disinteressano completamente delle “creazioni” dei livelli inferiori).
I cinque problemi della fede
Dal paragrafo precedente appare chiaro che, se non è possibile definire il perché del reale, è abbastanza utopistico cercare di definire razionalmente gli attributi di Dio.
Purtroppo anche cercare di definirli probabilisticamente (come lo si è fatto per l’esistenza) è tutt’altro che facile perché ci si imbatte in problemi pressoché insormontabili.
Il problema dell’educazione – Nasce dall’ovvia constatazione che la fede di un credente è fortissimamente correlata alla sua educazione. Una versione geografica di questo problema è quella che smonta la fede di tanti cattolici: se fossero nati a Baghdad in una famiglia islamica sarebbero musulmani. Un altro dato che supporta il problema dell’educazione è quello delle conversioni. Su 1.000 credenti appartenenti a una delle principali religioni odierne, quelli che l’abbandonano per passare a un’altra religione sono pochissimi, mentre la maggior parte di coloro che abbandonano passano fra le file degli atei o degli agnostici. In altri termini,
da adulti non si costruisce la fede in una determinata religione, al più la si distrugge.
Il problema della bontà – Uno degli attributi che si è soliti conferire a Dio è la bontà. Nessuno però sa risolvere il problema evidenziato dal teologo Frederick Buechner:
- Dio è onnipotente.
- Dio è totalmente buono.
- Nel mondo, anche agli innocenti, accadono cose orribili, come dolore, sofferenza, morte.
Si veda l’articolo Il paradosso di Buechner per approfondimenti.
Il problema del premio – In molte religioni, dopo la morte Dio ci premia. Difficile sostenerlo perché prima occorrerebbe accertarsi che Dio sia buono. Molti credenti ne sono convinti, ma sono banalmente smentiti da un semplice test.
Pensate a una delle persone più care che avete. Spero che ne troviate almeno una, altrimenti vuol dire che il vostro mondo dell’amore è vuoto e ciò non è molto positivo… Fatto? Bene, ora pensate che muoia. Cosa provate? Tristezza, profondo dolore, disperazione?
La fede dovrebbe darvi una risposta immediata che calmi ogni sentimento negativo. In fondo la morte del vostro caro potrebbe essere avvenuta per volontà divina! Se anche così non fosse (cioè Dio non interviene nelle vicende umane), che sarà mai qualche decennio di lontananza quando poi si starà per sempre (cioè per l’eternità) insieme! Perché questi argomenti non convincono? Perché la fede è di cartapesta, una superstizione che ci riscalda il cuore quando temiamo, ma che non può fare nulla quando il dramma si compie. Due obiezioni al test.
1) Alcuni sostengono che con il tempo, la fede li ha aiutati a superare il loro momento di difficoltà. Anche qui barano con sé stessi. Anche fra i credenti, alcuni ci riescono e altri no, non è questione di fede, ma di capacità di amare la vita, di andare oltre. La fede, se c’è, dovrebbe essere come un vaccino che non ci fa ammalare di dolore, ci fa accettare con serenità (se non con gioia) il dolore e la morte. La capacità di amare è invece una cura che, se abbastanza potente, alla fine sconfigge la malattia.
2) Il dolore c’è per la separazione dalla persona cara. Ragionevole, ma consideriamo ora noi stessi. Non si può più parlare di separazione perché noi continuiamo a rimanere con noi stessi in un altro mondo pieno di ogni felicità (per i buoni). In realtà la stragrande maggioranza delle persone, se scopre di avere un male incurabile e tre mesi di vita, non accetta serenamente il “volere di Dio” e non si rallegra del fatto che fra tre mesi vedrà l’Onnipotente.
A livello personale il test si trasforma nella misura di quanto temiamo la morte. Dio non è superstizione, non si può credervi come si crede ai poteri di un amuleto o di un ferro da cavallo portafortuna. Non si può credere solo per chiedere di allontanare da noi il dolore: troppo facile. Le religioni promettono un al di là ricco di prospettive per i buoni: e allora perché temere la morte?
Quanto più si teme la morte tanto più nel nostro profondo non si è convinti dell’esistenza o della bontà del nostro Dio.
Morale: ormai nel mondo occidentale la vera fede è rarissima anche se le Chiese fanno di tutto per tenerla in vita perché fa loro comodo avere molti neofarisei che la seguono ogni tanto. Se volete un esempio di vera fede pensate al kamikaze, assolutamente certo che la morte fisica, sua o dei suoi familiari, non sia importante, un’inezia di fronte alla felicità eterna.
Il problema della preghiera – Si legga l’articolo corrispondente, Come pregare per ottenere una grazia
Il problema dei miracoli – Si legga l’articolo corrispondente, I miracoli.
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