Questa pagina è il manifesto dell’agnosticismo consapevole.
Dopo la lettura dell’articolo, molti non saranno ancora convinti. A questo punto, prima di procedere, li invito, per una volta, a togliere la testa dalla sabbia e a non comportarsi più da struzzi. Più volte ho notato che di fronte ad argomenti inoppugnabili il credente butta a capofitto la testa nella sabbia e non vuole più sentire nulla: “Taci tu, che sei il Male!”. Comportamento infantile. Quindi, almeno per una volta, non fate gli struzzi!
Il significato di agnosticismo
L’agnosticismo è l’atteggiamento di chi sospende ogni giudizio di fronte a un problema; indica non solo la mancata conoscenza, ma anche l’impossibilità di raggiungerne una non discutibile. In senso stretto è l’astensione sul problema del divino, sull’esistenza di Dio.
Le contraddizioni delle religioni
Sono evidenti tutte le superstizioni che ancora albergano nelle religioni del terzo millennio, basta pensare a tutte le limitazioni alimentari e sessuali delle principali religioni, limitazioni frutto del pensiero “umano” di duemila anni fa.
È abbastanza evidente il male che nei secoli la Chiesa (direi le Chiese, includendo praticamente tutte le principali religioni) hanno fatto e fanno ad altri uomini parlando in nome e per conto di Dio. Basta riferirsi al presente e colorare il mappamondo di nero dove ci sono conflitti che si basano su scontri di religione. Persino all’interno della stessa religione (protestanti contro cattolici o sunniti contro sciiti) la gente si fa del male in nome e per conto di Dio. Deprimente.
Il problema è dunque smontare quel parlare in nome e per conto di Dio.
Pensiamo ai libri sacri delle varie religioni. Con un minimo di buona volontà è possibile trovare soluzioni molto poco “divine”. Per esempio, chi è convinto che la Bibbia sia la parola di Dio dovrebbe spiegarmi (e spiegare a sé stesso) come sia possibile leggere nel Levitico: Il Signore aggiunse a Mosè: “Riferisci agli Israeliti: “Quando una donna avrà perdite di sangue per le mestruazioni, la sua impurità durerà sette giorni; e chiunque la toccherà sarà impuro fino a sera”. oppure “non mangerete la lepre, perché rumina, ma non ha l’unghia divisa, la considererete immonda” e decine di altre frasi simili che nessuna persona di buon senso oggi pronuncerebbe. Non è più semplice, invece che arrampicarsi sugli specchi, ammettere che la Bibbia non è la parola di Dio?
Chi invece ha seguito il filo conduttore del mio libro si sarà fatto un’idea molto precisa di come un credente non possa che farsi una sua religiosità personale, stando ben attento a non aderire senza spirito critico alle religioni attuali, di fatto tutte minate da pesanti contraddizioni.
L’agnosticismo consapevole
Parlando di come l’uomo crea Dio abbiamo visto come
l’uomo debba avere la dignità di affrontare il suo destino da solo, senza creare Dio.
Il problema della bontà (I cinque problemi della fede) è sempre più presente a chi attualmente vive in modo piacevole gran parte della propria vita: come può Dio, se è buono, farci morire, farci sprofondare nel dolore ecc.? Nessun padre lo farebbe.
Paradossalmente questa consapevolezza si oppone a quella necessità di opporsi al dolore e alla morte che nei millenni passati portò l’uomo a creare Dio. Oggi c’è la consapevolezza che Dio non è più necessario, anzi, che più si tenta di crearlo, più si cade in confusione, a meno di non “spegnere il cervello”.
Un giorno, un agnostico molto illuminato mi disse:
(1) che bisogno c’è di creare Dio? Se Dio esiste ed è buono, allora, se sei buono, Dio è con te. Se non c’è, allora, se sei buono, farai del bene a te e alla società.
Questo è il succo dell’agnosticismo consapevole, una risposta religiosa estremamente moderna.
Piuttosto che uomini rispettosi di culti, pratiche liturgiche, convenzioni assurde, ecco che l’unica cosa che conta è l’impegno a essere buoni. La successiva spontanea domanda è: come si fa a essere uomini di buona volontà? Domanda che rischia di ricondurci a una Chiesa, se vogliamo assolutizzare il concetto. In realtà, se abbandoniamo ogni presunzione di certezza, ognuno di noi può solo supporre ciò che è giusto o ciò che è buono. Se non vogliamo ricadere nella dittatura di chi pretende di parlare in nome e per conto di Dio, non possiamo pretendere di fissare una morale assoluta che tutti “devono” seguire. Diventa pertanto fondamentale comprendere che:
(2) la pratica dell’agnosticismo consapevole è l’impegno a costruirsi una morale coerente.
Provate a osservare il comportamento di chi (credente tradizionale o no) ritenete eticamente mediocre; troverete sempre incoerenze, continui adattamenti delle sue “regole morali” ai suoi comportamenti. La mediocrità consiste proprio nel non avere regole o nell’averle così flessibili da poterle infrangere ogni volta.
La (1) e la (2) sono i pilastri dell’agnosticismo consapevole.
L’agnostico consapevole è una persona di principi saldi e coerenti e non è difficile comprendere che per la società è meglio un ottimo agnostico piuttosto che un pessimo credente.
Il prossimo passo? La coscienza morale.
Nota – Agnosticismo è un termine coniato nel XIX sec. da T. H. Huxley; con esso il filosofo inglese voleva indicare l’incapacità del pensiero umano di andare oltre l’ambito della realtà fenomenica e di risolvere i problemi metafisici e religiosi che non sono oggetto di scienza positiva
Il dolore e la morte
Vero, l’uomo deve fare a meno di Dio per costruirsi il futuro, ma come la mettiamo appunto con il dolore e la morte?
Li si affronta con dignità. Personalmente la scorciatoia della religione classica o della droga per affrontare il mondo sono equivalenti: non dignitose. La dignità di vivere diventa invece un lasciapassare per un eventuale aldilà. Se Dio c’è, non può che apprezzare il fatto che io viva con dignità e non mi inventi falsi dei e riti tutto sommato pagani per ingraziarmeli.
Parafrasando, il regno dei cieli è di chi ha la dignità di vivere con le sue forze, non di chi, credendo, pretende di avere diritto a un aldilà.
Cosa vuol dire dignità? Come è detto nell’articolo, affrontare il proprio destino da soli, senza creare Dio.
Praticamente vuol dire vivere la vita amando.
Se ami, non hai tempo di pensare alla morte, la dimentichi.
Non so cosa ci sarà dopo, ma, se amo, mi impegno a vivere intensamente questa vita, poi si vedrà. Ti potrò sembrare superficiale, ma l’amore per le cose che faccio è così grande che perdere tempo a “sentirsi terribilmente soli di fronte al tema della morte” per me è un peccato, un peccato perché mentre cado nell’angoscia, non vedo ciò che di bello ho attorno e che posso vivere fino alla fine. Ogni istante speso in una liturgia senza senso e vecchia di centinaia di anni è quindi un allontanarsi da Dio.
La morte fa paura solo chi ha speso male la sua vita, un concetto non facile per una cultura occidentale che si è appiattita fra una religione di facciata e l’esaltazione dell’effimero. Se hai vissuto intensamente ogni attimo dei tuoi anni, sei arrivato alla tua vecchiaia appagato dei tuoi oggetti d’amore, la morte non fa paura perché oggi è un bel giorno per morire…
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