Il violento è chi, senza giustificato e oggettivo motivo, utilizza la forza in modo da limitare l’altrui qualità della vita. Per forza si intende una forza di qualsiasi natura, fisica, psicologica, diretta o indiretta.
La personalità violenta è sicuramente una di quelle che più si scostano dal significato comune dell’aggettivo utilizzato per definirla nel Personalismo. A dire il vero, il Personalismo non fa che utilizzare il significato corretto del termine “violenza”: un uso eticamente non accettabile della forza. Il vero problema è che, nell’accezione comune, il termine “violenza” è associato al concetto di criminalità: il violento è colui che in qualche modo infrange una legge o un diritto usando in modo sconsiderato la sua forza. Se si rilegge l’ultima frase si scopre facilmente perché violenza nel senso comune e violenza per il Personalismo possono differire: il senso comune è una versione “ristretta” del significato perché la qualità della vita non può riferirsi alla sola legge che è una condizione minimale, non certo ottimale.
La rivoluzione del Personalismo porta perciò a definire “violenti” persone del tutto “normali” e sicuramente “non criminali” nel senso legale del termine.
Pensiamo al fatto che solo un paio di secoli fa i duelli per difendere il proprio onore erano perfettamente accettati; al fatto che oltre quaranta’anni fa il delitto d’onore era ancora contemplato dalle leggi italiane (fu abolito nel 1981) ecc. Oggi duelli e delitti d’onore sarebbero visti come una barbarie, esattamente come fra cent’anni saranno condannati concetti che oggi sono accettati o addirittura apprezzati dalla maggioranza, ma che il Personalismo condanna già come “violenti”.
Non dobbiamo pensare che sia violento solo chi usa la forza per dominare i suoi simili. Molte persone non sono violente perché non sono sufficientemente forti per poter manifestare la loro violenza. In questi casi scelgono bersagli limitati (nell’ambito familiare o lavorativo) oppure reprimono dentro di sé il loro carico di violenza, salvo poi farlo esplodere in occasioni particolari. Si pensi ai contrasti e, diciamolo, all’odio, che spesso si manifestano durante le liti condominiali per comprendere come il virus della violenza si annidi in una grande percentuale di noi; si pensi alle risse o ai semplici insulti fra automobilisti. È facile essere buoni e pacifici parlando in astratto, poi, quando si è coinvolti, si è i primi ad andare su tutte le furie.
Il giustificato motivo
Si può esercitare la forza per:
- Far rispettare senza eccessi una legge se si è investiti di tale potere;
- Per legittima difesa.
Il primo caso riguarda per esempio i poliziotti, i vigili e i genitori verso un minore. La locuzione senza eccessi è probabilmente chiara per un poliziotto perché la legge ne limita l’uso della forza. Purtroppo tale chiarezza sfuma per esempio nei confronti dei genitori che spesso usano una forza smodata per punire i figli. Una buona norma è che
(1) per il “giustificato motivo per legge” non si può mai usare la forza fisica.
(per forza fisica si intende qualunque arma che può offendere fisicamente il ricevente l’azione). Si noti per esempio che quando un poliziotto ferma un sospetto, può usare la forza solo se il sospetto si oppone al fermo. Analogamente un genitore che usa la forza fisica per punire i figli è come un giudice che commina a un colpevole torture fisiche.
Si noti infine che nel primo punto non è per esempio compreso alcun diritto di usare la forza sul coniuge perché non esiste nessuna legge (nei Paesi occidentali) che investa il coniuge del potere di agire direttamente (se pensa che un suo diritto sia leso si deve rivolgere alla legge).
Anche il secondo punto richiama la legge e le normali azioni contro i criminali: ovvio che un poliziotto possa sparare se si trova in pericolo di vita, ma la legge ci parla anche del reato di “eccesso di legittima difesa” (per esempio un cittadino che rincorre un ladro e lo fredda sparandogli alle spalle). Come tradurlo nella vita comune?
(2) Per la “legittima difesa” la forza fisica non può essere superiore a quella ricevuta o ricevibile.
Sono convinto che molti di coloro che leggono la frase soprastante la condivideranno, salvo poi scoprire di essere dei violenti non criminali. La nostra proposta è molto ragionevole, ma cozza contro il comportamento di tutti coloro che non supererebbero il test di John Wayne.
Il test di John Wayne – Il nome del test fa riferimento allo scenario del West dove un’onta si lavava con il sangue. Più modernamente, si potrebbe chiamare test dell’imbecille, cioè di chi oggi si comporterebbe come 150 anni fa. Purtroppo in molte culture (in primis quella americana) di imbecilli sembra ce ne siano ancora troppi.
Pensate alla persona più odiosa che conoscete. Immaginate di averla davanti. Con un sorriso beffardo vi insulta pesantemente, offende il vostro partner, i vostri figli ecc. Cosa fate? Avete un moto di reazione, gliela fate pagare con uno schiaffo, un pugno o una spranga? Se sì, mi dispiace per voi, ma siete violenti, potenziali killer.
La risposta giusta è: compatirlo, in fondo è un poveraccio o ripagarlo con la stessa moneta, dicendogli per esempio con calma: “scusa, ma non sono tuo fratello” e reagire con la forza fisica solo se l’altro la usa per primo (legittima difesa).
Il test è molto importante perché troppe persone (violenti non criminali) reagiscono a una parola con la forza fisica, un po’ come rispondere con un bazooka a chi ci tira una palla di neve. Non c’è giustificazione, per quanto grande sia l’offesa che si ritiene di aver ricevuto. Un corollario della (2) è che:
(3) alle parole si può rispondere solo con le parole!
Ovviamente ciò non vuol dire che si debba “sempre” rispondere con le parole! Se una persona usa nei nostri confronti la forza fisica, un’equivalente forza fisica è giustificata (principio della legittima difesa).

Il violento è chi, senza giustificato e oggettivo motivo, utilizza la forza in modo da limitare l’altrui qualità della vita
Le tipologie
Spesso la violenza diventa manifesta solo quando la personalità violenta incontra una personalità debole. Ciò è abbastanza scontato per il criminale, ma anche il violento non criminale si manifesta meglio in un ambiente in cui può essere forte al massimo: ecco allora il padre padrone, l’insospettabile marito violento. Per definire le tipologie di violenti diventa pertanto importante capire le cause che portano il soggetto a essere violento.
Innanzitutto si deve distinguere fra violento criminale e violento non criminale.
Il violento criminale – È il violento che usa la forza con danno altrui infrangendo la legge.
In lui la causa è l’assenza del problema morale. Il criminale non solo non rispetta la legge, ma, non ponendosi problemi etici, può usare la forza a suo piacimento, trasformandola in violenza. È l’esempio più ovvio, ma per fortuna anche il meno comune.
La criminalità è un fenomeno complesso e al tempo stesso affascinante. Personalmente penso che servano a poco tutte le riflessioni di chi vorrebbe eliminarla facendo leva sui valori morali che la condannano. Piuttosto lo Stato dovrebbe dimostrare e diffondere il concetto che
un criminale ha una percentuale molto bassa di arrivare vivo e libero alla fine dei suoi giorni.
Purtroppo le statistiche che vengono diffuse sono fuorvianti perché sembrano dimostrare che la criminalità resta impunita; in effetti non è così perché non si tiene conto che chi infrange la legge di solito lo fa sistematicamente: per nove volte può andargli bene, ma alla decima viene catturato.
Piccola digressione matematica – Si tratta infatti di un semplice caso di probabilità composta che sfugge alla maggior parte delle persone. Sul giornale leggiamo: “l’80% dei crimini resta impunito”. La notizia può essere corretta e si potrebbe essere portati a credere che convenga essere criminali (morale a parte). In questa conclusione non si tiene conto del fatto che il criminale non si accontenta di un solo crimine, ma lo ripete. Che probabilità ha di rimanere impunito dopo due crimini? La probabilità composta è 0,8×0,8=0,64. Se un criminale commette dieci crimini che probabilità ha di rimanere libero dopo il decimo crimine? Si deve elevare 0,8 alla decima, cioè si ottiene circa 0,1 cioè solo il 10%.
La gran parte dei criminali terminano i propri giorni in carcere o finiscono uccisi dai loro rivali o, nella migliore delle ipotesi, nascosti e protetti dalle loro guardie del corpo per evitare di finire in galera o di fare una brutta fine. Che senso ha essere criminale se ho una probabilità su dieci di rimanere vivo e di non finire in galera? Non per nulla i boss più intelligenti aspirano a una vita del tutto normale per i propri figli. Il grado di civiltà di una comunità si misura anche da quanto è poco conveniente essere criminali (per approfondire le implicazioni morali di questo paragrafo).
Morale o concretezza? – A molti idealisti non piace anteporre la concretezza alla morale, non piace che il Personalismo condanni la violenza perché non conviene; la morale oggettiva (e utopistica) non entra nemmeno nel discorso perché (a prescindere dalla sua possibile definizione) viene ritenuta strumento inadatto a cambiare velocemente la società; il Personalismo ha una sua definizione della morale e invita ogni uomo a riflettere e a rispettare la sua morale (coerenza).

Diminuzione dei crimini violenti negli USA (num. per 100.000 persone)
Si dovrebbe considerare che le guerre nel mondo sono diminuite non solo per il progredire della civiltà, ma anche e soprattutto perché l’uomo ha capito che non conviene essere violenti. Non a caso l’idealista cita la povertà fra i motivi facilitanti i conflitti; nel suo tentativo di rimuoverla non fa altro che perorare il fatto che, una volta rimossa, non conviene più essere violenti; nessun idealista sosterrebbe che rimuove la povertà perché ciò migliora moralmente il povero! Confrontiamo i risultati dell’idealista con chi è concreto, supponendo di avere di fronte a noi un criminale. Se ci si mette a parlare di etica, del fatto che siamo tutti uguali, che i deboli vanno rispettati ecc. quello ci ride in faccia; non penso proprio che si possa essere così illusi da poterlo convincere. Supponiamo invece che gli si dimostri che ha 9 probabilità su 10 di finire in galera o ammazzato. Secondo me una certa percentuale di criminali ci penserebbe su. In questo senso la società diventerebbe non perfetta, ma sicuramente migliore.
Il violento non criminale – Esistono diverse sottotipologie che derivano dalla causa che alimenta la violenza.
Il giustiziere – Citare come causa la mancanza di civiltà potrebbe stupire in Paesi che si dichiarano civili. Proviamo a leggere con attenzione le prossime due frasi:
un essere è civile quando riconosce il valore assoluto delle leggi che regolano la società in cui vive;
non si infrange una legge pretendendo di avere ragione e di non subire pena alcuna, ci si dà da fare per cambiarla.
Sulla prima tutti, o quasi tutti, saranno d’accordo; forse anche sulla seconda, ma ecco che appena si arriva al proprio caso particolare, si inizia a invocare la giustizia oppure la morale. “In questo caso la legge è ingiusta, non è possibile punirmi per…”, “moralmente ho ragione io…” e scatta la violenza perché, di fatto, ognuno si fa la sua legge e pretende di applicarla. In realtà chi mischia la morale (che è e sarà sempre soggettiva, checché se ne dica) con la legge, chi privilegia la giustizia alla legge potrà essere un violento buono, ma sarà pur sempre un violento.
Il giustiziere ha una spiccata tendenza a farsi giustizia da solo, soprattutto quando la legge e le istituzioni non riescono a proteggere i suoi diritti. In ognuno di noi è ben chiara la distinzione fra legge e giustizia, ma in una società veramente progredita nessun singolo dovrebbe pensare che sostituirsi alla legge possa essere la soluzione migliore per la sua e per l’altrui qualità della vita: è solo un modo per decretare il degrado suo e della società in cui vive. L’esempio del linciaggio del criminale, bloccato dalla folla dopo un atto atroce, è la prova più evidente di come soggetti ritenuti normali possano essere in realtà dei violenti. Queste persone non perdono in quel momento il lume della ragione, sono veramente convinte che “certi criminali non debbano nemmeno subire un processo perché potrebbero addirittura farla franca”. Ecco perché “ci pensano loro”. Una visione barbarica dell’uomo, della legge e della giustizia.
Il duro – È quel soggetto che interpreta la forza come un valore. Molto difficilmente riuscirà a controllarla e quindi, a prescindere dal suo grado di “legalità”, a volte sarà portato a usarla a sproposito, danneggiando gli altri. Non a caso, un duro può esser facilmente fatto esplodere, irridendo o denigrando, per esempio, proprio quella forza che egli ritiene un valore (spesso necessario per la sua autostima). Da duro si trasforma in giustiziere che tende a farsi giustizia da solo per l’offesa subita. Pensiamo a tutti coloro che hanno un’adorazione maniacale per le armi o per gli sport violenti. Alcuni di questi arrivano persino a giudicare nobili gli strumenti con cui esercitano la loro forza eccessiva. Consideriamo un pugile e la sua noble art (come purtroppo viene definita ancora la boxe); sicuramente non è criminale (magari strappato alla strada dallo sport), ma non si può certo dire che non sia violento; picchiare per sport (e farsi picchiare con danno per la propria salute, ecco la diminuzione della qualità della vita) un altro essere umano non sarà criminale, ma non si può certo dire pacifico. Ecco, il pugile è proprio l’esempio di soggetto non criminale, ma per il Personalismo violento. Un altro esempio di forza non equilibrata è per esempio quello di chi ama cani e animali potenzialmente pericolosi e mai prenderebbe un cane più mite perché troppo “soft”. L’amore per gli animali nulla c’entra con chi si circonda di pitbull, rottweiler, non perché ama la razza, ma solo perché si sente un duro. Spesso il duro deve dimostrare a sé stesso o agli altri che è forte mentre in realtà chi è forte è anche calmo e non ha necessità di mostrare continuamente la sua forza, la usa solo per difendere i propri diritti o per aiutare chi è in difficoltà.
Il debole – Paradossalmente un debole (che ha poca forza) può essere un violento quando per ribellarsi alla sua condizione di debolezza (e sentirsi forte) usa a sproposito la propria forza con chi è più debole di lui (violenze in famiglia o sul lavoro con i propri sottoposti).
Il furbastro – I furbastri sono coloro che usano la legge (che diventa un’arma) per ingannare, e quindi danneggiare, gli altri. Nel violento criminale la forza viene esercitata in modo manifesto, sia fisicamente sia psicologicamente (pensiamo a certi fenomeni di bullismo); stessa cosa dicasi per il violento non criminale che è geloso oppure picchia il figlio ribelle. La strategia del furbastro è invece l’uso dell’astuzia (furbizia) per avere un tornaconto personale, in genere senza che la vittima (persona o società) se ne accorga tempestivamente. Purtroppo molti furbastri pensano di essere persone top solo perché hanno un qualche successo nella vita. Niente di più sbagliato. I loro successi derivano solo dalla naturale (nel senso che non si può evitare) discrepanza fra leggi e giustizia. Il furbastro interpreta le leggi, le aggira, le modella a suo piacimento, in sostanza è quello che molti, con linguaggio comune, chiamano amorale, disonesto ecc.
La competitività che c’è nella nostra società, la promozione dell’autostima da risultato, concetti come successo, carriera ecc. fanno sì che chi è violento non criminale consideri quasi un gioco servirsi degli altri o aggirare le leggi a proprio vantaggio. Il furbastro, di fatto, rende assoluto l’egoismo, giustificandolo inconsciamente con il fatto che “un po’ tutti siamo egoisti”. Non ha cioè capito che la legge limita gli egoismi individuali permettendo loro di svilupparsi in modo naturale. Forzando un po’ il concetto si può dire che solo rispettando le leggi il singolo può manifestare il suo sano egoismo. Ovviamente il furbastro ci dirà subito che lui le leggi non le infrange (al più le aggira, le reinterpreta). In realtà sono proprio le risorse che impiega per “essere legale senza esserlo” che lo smascherano. Un avvocato può far assolvere un cliente usando un cavillo, pur sapendo che il suo cliente è colpevole. Legale, ma l’azione necessaria per l’assoluzione è un esempio di forza collegata a una violenza non criminale. Soprattutto perché c’è coscienza di questa azione. Il furbastro sa benissimo che sta rifilando una fregatura al proprio cliente, sa benissimo che sta prendendo in giro un partner che sogna l’amore perfetto, sa benissimo che il trucco che utilizza per evadere le tasse è discutibile, sa benissimo che il suo gioco politico è “sporco”, ma, tutto sommato, si inorgoglisce per questa sua furbizia.
Il giusto – Passando a situazioni in cui l’uso della forza apparentemente è meno censurabile, il violento non criminale spesso la usa per far valere i suoi diritti a ogni costo; “lo faccio per principio”, dimenticando che le guerre spesso nascono proprio da stolte rigidità su princìpi peraltro non fondamentali per l’esistenza. Ecco che il giusto è spesso litigioso, perde facilmente la calma, convinto di avere ragione, è pronto ad appellarsi alla legge e ai tribunali anche quando sa che questo alla fine praticamente si ritorcerà contro di lui. Nei casi più gravi i princìpi possono portare i violenti a posizioni razziste, ovviamente secondo loro giustificate.
Il competitivo – Anche la competitività quando diventa assoluta è una delle manifestazioni più evidenti di violenza non criminale: nel lavoro, nello sport, negli affetti, il “non perdere” diventa la priorità assoluta e la vittoria l’unica possibilità positiva. Il culto della vittoria è tipico del violento non criminale proprio perché ben si adatta con la sua propensione a usare la “massima forza” disponibile. “Io non ci sto a perdere” è la massima del violento competitivo. A differenza del furbastro, in genere il competitivo rispetta le regole e non cerca trucchi, ma, accecato dal desiderio di vittoria, non si rende conto dei danni che fa, anche quando il farli non gli procura nessun vantaggio: per lui vincere è come il mostrarsi forte per il duro.
Il possessivo – Una tipologia di violenti largamente rappresentata nella società anche perché, purtroppo, parecchie persone vedono addirittura la possessività come un valore, una manifestazione d’amore. Nella definizione del Personalismo è implicito lo stretto legame che esiste fra violenza e negazione della libertà (senza la quale si ha un netto scadimento della qualità della vita): molto spesso una limitazione della libertà avviene in seguito a un atto di violenza. La cosa grave è che queste limitazioni sono ritenute del tutto eticamente normali dal singolo che le compie e da ampie fasce della popolazione. Se si pensa che per il Personalismo ognuno deve essere libero di suicidarsi, si può capire come ogni possessività sia una violenza.
Sono esempi di possessività il genitore che usa la forza per punire i figli (che di fatto considera sua proprietà) o quella subdola forma di violenza che è la gelosia, addirittura vista da alcuni come forma di amore, quando in realtà è la causa di veri e propri drammi, a volte delitti. Un altro esempio classico di possessività è quello di chi agisce coercitivamente per il bene altrui: “Lo faccio per il tuo bene”. Una frase che può andar bene se detta a un bambino, ma mostruosamente possessiva se detta a un soggetto maggiorenne, un’inaccettabile forma di violenza privata. La possessività di un genitore che non ha accettato il distacco dei figli ormai maggiorenni o quella di un partner che con la giustificazione dell’amore pretende di indirizzare la vita del compagno/a sono odiose forme di prevaricazione.
La diagnosi differenziale
Per la personalità dei violenti l’eccesso di forza è talmente caratteristico che non è possibile confonderla con altre. La personalità violenta sommata ad altre personalità critiche può diventare particolarmente “esplosiva”; per esempio, chi è insofferente e violento può esternare la delusione per la mancata aspettativa con episodi di violenza nei confronti di chi ritiene “responsabile” del suo fallimento.
Può essere difficile distinguere comportamenti violenti da comportamenti “normali”. Per questo è utile uno studio approfondito delle tipologie.
La qualità della vita dei violenti
La qualità della vita dei violenti è spesso molto variabile e in genere dovuta anche a eventi fortuiti (le condizioni facilitanti/penalizzanti possono essere poco importanti perché il soggetto sembra ignorarle a favore della forza, vista quasi come la vera e unica risorsa esistenziale).
Si consideri per esempio il furbastro, convintissimo che la sua strategia sia la migliore possibile; in realtà è anche il limite al suo miglioramento esistenziale perché, se è vero che la qualità della sua vita è spesso buona, non arriva mai all’eccellenza, penalizzata dalla diffidenza che certi comportamenti insinuano naturalmente nelle menti di chi proprio stupido non è. Due furbastri non potranno mai fidarsi a vicenda l’uno dell’altro: basta questa considerazione per capire quanto il mondo dell’amore del furbastro sia traballante, situazione che nel tempo diventa sempre più penalizzante.
Molte persone “normali” quando vengono ritenute violente rigettano il giudizio, tacciandolo di assurdità. In tal modo perdono una grossa opportunità di migliorare la propria vita. Infatti la violenza si ritorce sempre sulla qualità della vita di chi la compie perché, almeno statisticamente, “non conviene” essere violenti.
È pertanto necessario mostrare anche al violento non criminale che vale per lui quanto detto per il criminale: a essere violenti ci si perde sempre, dal rivolgersi a un avvocato per una causa di principio agli interminabili litigi delle persone gelose. In altri termini,
essere violenti non paga.
La rimozione della personalità violenta
Come detto sopra, non tutti i violenti sono motivati a cambiare perché non è detto che la qualità della loro vita sia insufficiente. Il violento che invece si accorge della penalizzazione esistenziale che subisce a causa della sua personalità critica può migliorarsi solo rimuovendo consapevolmente le ragioni che lo portano a essere violento. Può sembrare paradossale, ma la stragrande maggioranza dei violenti sono convinti che la loro violenza sia per loro conveniente. Alcuni esempi:
- il criminale è convinto di farla franca;
- il giustiziere è convinto di essere un eroe;
- il duro è convinto che in questo mondo non ci sia spazio né futuro per i mollaccioni;
- il giusto ritiene che senza princìpi non ci sia dignità;
- il possessivo può ritenere che la gelosia sia una forma d’amore o che la forza fisica con i figli sia lecita perché “quando ci vuole ci vuole” ecc.
Per la rimozione deve cioè chiedersi: perché uso la forza? Dal confronto con chi quella forza non la usa può poi passare alla consapevolezza che il suo comportamento è un boomerang per la qualità della vita. Si tratta di uno di quei casi in cui la riflessione su pagine come questa (oppure la psicoterapia per i casi più difficili) dà ottimi risultati.
MAIL E COMMENTI
Fallimento USA
Da decenni negli USA si assiste allo scontro fra i sostenitori del secondo emendamento della costituzione che garantisce il diritto di possedere delle armi e chi invece vorrebbe limitarne la vendita. Non sono mai riuscito a capire come mai i sostenitori della limitazione non usino il seguente semplice ragionamento: il secondo emendamento risale a un tempo in cui lo Stato non era in grado di garantire la sicurezza dei cittadini; ora, nel terzo millennio, dovrebbe farlo oppure gli Stati Uniti sono un Paese ancora così arretrato e incivile (a differenza di tanti altri Paesi occidentali dove la limitazione alla vendita delle armi è in atto) che il cittadino deve difendersi da sé?
Sculaccioni: sì o no?
Sono madre di una bellissima bambina di 4 anni. Purtroppo con mio marito ho dei disaccordi sull’educazione della piccola. Lui non vuole assolutamente usare un po’ di forza. Io lavoro in negozio tutto il giorno e quando la piccola si mette a fare i capricci non c’è altro modo di convincerla a smettere che uno scapaccione. Io sono stata educata così e sono cresciuta benissimo, senza vizi. La prego, mi aiuti Lei a convincere mio marito che una sculacciata ogni tanto non può far male.
Con cordialità, E.
La cosa che mi spiace maggiormente è che una persona che visita assiduamente il sito (e mi sembra che tu lo faccia) si limiti a visitarne una sola sezione. Se avessi frequentato la sezione Personalismo, avresti già intuito la mia risposta.
Il tutto parte dalla contestazione di una tua frase: sono cresciuta benissimo, senza vizi. Veramente io penso che tu abbia il vizio della violenza, come moltissime persone che criminali non sono, ma sono pronte a usare la violenza per difendere loro presunti diritti. Inoltre non è detto che se i tuoi genitori non ti avessero picchiata non saresti cresciuta ancora meglio: chi cresce nella paura ha meno probabilità di diventare una persone forte e calma.
Personalmente penso che
chi ha bisogno di picchiare un bambino sia un genitore fallito
perché non ha saputo farsi comprendere (i bambini hanno un cervello e capiscono!) ed educare nel modo giusto. Spesso il motivo di ciò è la mancanza di tempo perché si torna stanchi dal lavoro oppure l’insoddisfazione della propria vita che rende nervosi e irascibili. Nel primo caso, se non si ha il tempo e la forza di amarli, è meglio non fare figli. Nel secondo, non si ha il diritto di riversare su di loro le proprie frustrazioni.
Forse se mi hai scritto è per convincere più che altro te stessa, non tuo marito… Ma hai torto.
La misera vita del capo dei capi
Tempo fa sul sito facevi delle considerazioni sui vantaggi o meno di diventare un criminale e concludevi che la qualità di vita di un delinquente, nel 99% dei casi era scarsa.
Adesso c’è anche qualche conferma autorevole! Con mia grande soddisfazione ho appreso della cattura del “grande” Bernardo Provenzano.
Ebbene, non sono stato stupito di trovarlo come un vecchio che viveva in un tugurio indossando un pannolone, fra mille restrizioni; ancora troppa gente crede che questi individui navighino fra sfarzi e belle donne, con la libertà di movimento delle persone normali. Paolo.
Le mie considerazioni nacquero anni fa dopo l’arresto di Riina e ormai si possono citare molti episodi analoghi. Interessante notare come la notizia sia uno dei casi in cui i media fanno un’opera decisamente positiva. A prescindere da considerazioni etiche, le mie e le tue riflessioni non sono poi difficilissime, gestibili da qualunque ragazzo sveglio che si chieda se “convenga” diventare un criminale.
C’era una volta il West…
Qualche anno fa un sondaggio sul sito del Corriere della Sera invitava a votare sulla legge che riforma la legittima difesa (d’ora in avanti se un ladro entra in casa si potrà sparargli senza correre il rischio di finire in carcere, neanche se si uccide il malvivente). I due terzi circa erano favorevoli, un terzo contrario. A prescindere da considerazioni politiche, si deve rilevare come la legge sia fondamentalmente una sconfitta, da qualunque parti si guardi.
Da un punto di vista umano, non fa altro che alimentare la figura del “giustiziere della notte” (così comune nella società americana) che abbiamo descritto più volte nelle pagine che trattano dei violenti: la figura del violento non criminale, comprensibile nel Far-West, ma assolutamente criticabile in una società civile.
Da un punto di vista pratico, la legge porterà molti morti in più non solo fra i criminali, ma anche fra gli “onesti cittadini”. Questo è un punto che sfugge ai sostenitori della legge. Immaginiamoci la scena. Un gioielliere viene rapinato, magari per scherzo, vedasi il caso Re Cecconi? (Luciano Re Cecconi, mediano di spinta della Lazio fu assassinato la sera del 18 gennaio 1977 durante una finta rapina da lui inscenata in una gioielleria della capitale – N.d.R.); non si può pensare che il gioielliere sia persona equilibratissima, visto che solo una piccola parte della popolazione lo è. Quindi che fa? Dimenticandosi di avere l’assicurazione contro il furto e la rapina (se non ce l’ha è un pessimo imprenditore), dimenticandosi di avere una famiglia a casa che l’aspetta, gli sale il sangue alla testa, non capisce più nulla e, visto che ora una legge gli dà ragione, cerca di prendere la pistola dal cassetto per opporsi ai malviventi. Se trova uno come il sottoscritto che con le armi ci sa fare, ha ancora riflessi abbastanza pronti, che è calmissimo, cosa accade? Che il nostro povero gioielliere, magari grassoccio, lento, agitatissimo, senza dimestichezza con la pistola (l’aveva provata al poligono qualche anno fa quando l’aveva comprata), viene crivellato di colpi prima di aver tolto la sicura!
Da un punto di vista politico, non capisco di cosa si compiacciono i sostenitori della legge. Quando lo Stato demanda al cittadino la giustizia, ha fallito, vuol dire che non è in grado di prevenire il crimine e alza bandiera bianca: io non ce la faccio, ognuno pensi per sé. Far-West.
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