Secondo Allport, la personalità è l’organizzazione dinamica di quei sistemi psicofisici che determinano lo specifico adattamento del soggetto al proprio ambiente. Su 100 persone che leggono questa definizione, solo alcuni addetti ai lavori riescono a capirci qualcosa. La definizione di Allport è del 1937; prima, ci sono state altre definizioni, derivanti per lo più da un approccio psicoanalitico: Freud, Jung, Adler, Lacan ecc. Se si leggono le loro opere si ha l’impressione di una grande lavoro scientifico, ma alla fine sorgono sempre le domande: ma che me ne faccio di queste opere nella quotidianità? Che risposte danno ai “banali” problemi che ci affliggono? Perché io ho più problemi di altre persone?
Nel XX sec. le cose sono andate un po’ meglio? Mah…Si sono fatte la guerra teorie fra di loro inconciliabili perché di fatto parzialmente incompatibili: teorie psicodinamiche (come la psicoanalisi), comportamentistiche, cognitivistiche, umanistiche, biologiche, culturalistiche, ognuna studiando la personalità con una propria prospettiva, di fatto facendo un lavoro molto parziale. Chi legge più opere rischia pertanto la confusione dell’eclettico.
Alla fine del secolo scorso diversi studiosi (Mayer, Goldberg, Eysenk ecc.) hanno tentato un’unificazione, ma, nel farlo, hanno reso molto astratte le loro rappresentazioni, di fatto ricadendo in un’inutilità pratica della teoria proposta.
L’unico approccio veramente concreto è quello che studia la personalità a prescindere dai fattori studiati (Caprara, Cervone, 2000): ognuno di noi avvertirebbe un sistema integrato di sensazioni, di emozioni e di pensieri arrivando a una prospettiva individuale della personalità; contemporaneamente, gli altri hanno di noi la loro prospettiva (valutano la nostra personalità). Ovviamente non è detto che le due prospettive coincidano, ma si dà per scontato che possa esistere una concezione della personalità che è applicata per conoscere e interpretare sia noi stessi sia gli altri (teoria implicita della personalità, distinta dalle teorie esplicite degli psicologi).
Il Personalismo fornisce una teoria implicita della personalità con l’obiettivo che essa possa essere utile a tutti
- per conoscere sé stessi
- per conoscere gli altri
- per migliorare la propria personalità per migliorare la qualità della propria vita.
Personalità e qualità della vita
Concretamente, la personalità è l’insieme delle caratteristiche psichiche e dei comportamenti (inclinazioni, interessi ecc.) che differenziano gli individui l’uno dall’altro. Essa è indiscutibilmente legata alla qualità della nostra vita. Sorge quindi spontanea una domanda a cui questo articolo vuole rispondere:
esiste una personalità ideale nel nostro cammino verso la felicità?
Penso che nessuno possa negare che una corretta comprensione della realtà sia un prerequisito essenziale per una vita felice. Purtroppo gli errori che si possono commettere quando si analizza ciò che ci circonda sono molti e gravi. Un errore di comprensione è una cattiva strada verso la felicità. Spesso però viene facilitato da una propensione a “sbagliare strada”. Se la nostra personalità non è equilibrata, difficilmente nella nostra vita faremo le scelte giuste.
Facendo una breve divagazione, nel mondo occidentale l’astrologia, pur non avendo nessuna base scientifica, ha un successo innegabile. Se esistono coloro che credono agli oroscopi, esiste una fascia più evoluta che ragiona pressappoco così: “gli oroscopi sono sciocchezze, perché non si può prevedere il futuro, ma nei segni zodiacali c’è qualcosa di vero”. Se è un passo avanti, sicuramente anche queste persone hanno una scarsa cultura scientifica. Il loro errore consiste nel non capire che una qualunque suddivisione della popolazione in gruppi ognuno dei quali è contraddistinto da determinate caratteristiche (abbastanza vaghe) troverà degli individui che rispondono alle descrizioni. Per esempio, posso inventarmi una nuova astrologia con nuovi segni e definire il segno della pattumiera come quello di persone disordinate, poco attente alla loro persona, scansafatiche ecc. Se lo associo al mese di marzo, chi individuerà un soggetto appartenente al segno della pattumiera con quelle caratteristiche, concluderà: “Ecco, Albanesi è un genio, è riuscito a riscrivere l’astrologia”, non accorgendosi di essere stato preso in giro. Se poi lui è nato nel mese di giugno e nel mio modello a giugno è associato il segno del cuore, costituito da individui sensibili, buoni ecc., sarà la fine: crederà vita natural durante nella nuova astrologia di Albanesi.
Ovvio che il nostro credulone non ha capito che non esiste nessun logico rapporto di causa-effetto fra classi di popolazione e i mesi in cui le persone sono nate. Ogni coincidenza è casuale; invece di vedere chi ha caratteristiche compatibili con il proprio segno, perché non scoprire quanti non le hanno? Questo atteggiamento è quello giusto. Sicuramente non ci vorrà molto a scoprire persone nate nel mese di marzo che non sono affatto disordinate e il modello della nuova astrologia crollerà.
Perché le persone usano solo il riscontro positivo e non quello negativo? Perché non capendo il mondo hanno bisogno di qualcosa di semplice (i segni zodiacali) che permetta loro di interpretarlo.

Il Personalismo definisce 21 personalità critiche
L’ipotesi teorica
Chi studia l’astrologia vuole ricondurre la personalità del singolo a una banale appartenenza a un segno. È vero che poi si studiano l’ascendente e altre complicazioni inserite per evitare di doversi scontrare con l’evidenza: milioni di persone tutte diverse l’una dall’altra. In realtà, però, la personalità di ognuno di noi è talmente complessa che in centinaia di anni di psicologia, di filosofia, di sociologia e di altre scienze non si è riusciti a scomporla in elementi descrittivi semplici comuni a tutti. L’analogia che viene subito in mente è quella degli atomi che si uniscono a formare le molecole: un centinaio di elementi danno origine a milioni di sostanze. La chimica, una scienza vastissima e ancora non del tutto esplorata, studia una sostanza anche con la conoscenza di come gli atomi si sono uniti nel formarla. Anche con la personalità si potrebbe fare così, ma probabilmente per la descrizione della personalità di ognuno di noi occorrerebbe percorrere molta strada, fare tante scoperte, impiegare molte risorse, di tempo e di creatività scientifica.
Il Personalismo vuole limitare lo studio della personalità in funzione del disagio esistenziale: quali sono cioè i tratti della personalità che portano a condizioni negative come l’infelicità?
La personalità di un singolo soggetto (cioè una personalità reale) è rappresentata da un vettore (un insieme ordinato di numeri disposto su una riga o su una colonna) che lo descrive in funzione delle personalità elementari.
P= v(p1, p2, …, pn)
ove le varie componenti sono i pesi che le varie personalità elementari hanno. Lo studio di una personalità reale passa attraverso l’interazione delle personalità elementari, è cioè lo studio di come in un determinato individuo le personalità elementari si fondano. Si comprende subito che esistono milioni di combinazioni, poiché ogni personalità elementare può pesare in modo differente, proprio come gli atomi possono legarsi in migliaia di modi diversi per formare migliaia di sostanze. Lo studio sarebbe complicatissimo. Per esempio, come devono interagire le personalità per avere una persona diffidente?
Alla ricerca delle personalità elementari
Per trovare le personalità elementari si è usato un approccio sperimentale che ha utilizzato i dati raccolti dalla Rete.
La prima fase – Nella prima fase si sono analizzate circa 11.000 risposte a domande del tipo “che difetto (anche più di uno) pensi ti penalizzi nella vita?”. Una prima sorpresa si è avuta vedendo come molte risposte che sembrerebbero ovvie non apparivano con percentuale significativa. Per esempio, “non essere puntuali” si presentava con uno 0,4%, mentre “non avere sufficiente forza di volontà” si presentava in ben il 9,8% dei casi.
Dopo la prima fase si sono definite (dalle risposte degli utenti) 18 personalità elementari (diventate poi 21 nella seconda fase).
La seconda fase – Ovviamente è apparso chiaro che era necessario passare da una fase qualitativa a una quantitativa, cioè scoprire il disagio che una certa personalità poteva provocare al soggetto.
La scoperta del Personalismo consistette nel fatto che,
se si limita l’indagine alle sole interazioni che portano al disagio esistenziale, si scopre che quest’ultimo è causato dal superamento di soglie di pericolo.
Ragionando in una logica a due soli valori (0 e 1), un valore unitario di una personalità elementare nel vettore della personalità reale indica che in quella persona la personalità elementare supera la soglia di pericolo, è cioè diventata critica.
Per chiarire il concetto di personalità critica, consideriamo la personalità elementare dei deboli. Ognuno di noi, anche il più forte, ha nella propria personalità la personalità elementare del debole, magari solo accennata, infinitesima. Non c’è nessun problema, diremmo che “è naturale”. Ma quando questo tipo di personalità elementare aumenta il suo peso nella personalità reale e supera la soglia di pericolo, allora diventa una personalità critica e il soggetto può avere gravi problemi.
Usando una logica a due valori, un soggetto che ha la personalità:
P=(0,0,1,0,0,0,0,0,1,0,0,1,0,0,0,0,0,0,0,1,1)
è un inibito, un sopravvivente, uno statico, un contemplativo e un vecchio (vedremo più avanti cosa significano questi termini). Ovvio che nessuno direbbe che un tale soggetto possa avere una vita felice!
Ogni singola personalità critica è cioè un test: se il soggetto resta sotto la soglia di pericolo degli svogliati il valore è 0, se la supera è 1. Complicato? No, basta vedere le personalità critiche come l’evoluzione più scientifica del concetto di difetto. Un soggetto che ha la personalità critica dei deboli è veramente un debole e questo nessuno potrà farlo passare come virtù. Il vantaggio di ragionare a due valori (sì/no) consente di definire con semplicità la personalità equilibrata:
una personalità è equilibrata solo se il suo vettore è nullo.
cioè se tutte le componenti sono nulle (valore uguale a zero).
La determinazione della soglia di pericolo ha rappresentato l’obiettivo della seconda fase.
La soglia
La determinazione della soglia è ovviamente una convenzione; paradossalmente, nessuna persona è equilibrata se la soglia delle varie personalità è bassissima. Pertanto occorre usare criteri di buon senso che permettano di ottenere valutazioni sufficientemente oggettive. In altri termini, definire dissoluto un soggetto che ha 4 o 5 kg di sovrappeso sarebbe opinabile, mentre lo è molto meno definire dissoluto un soggetto che fuma 30 sigarette al giorno, si ubriaca spesso e ci viene a dire “che male c’è? Si vive una volta sola!”.
Grazie al test di personalità di Albanesi è stato possibile scoprire indicatori esistenziali combinando i quali (un indicatore può anche essere presente in più di una personalità critica) si è arrivati a soglie che non venivano contestate dai soggetti sottoposti alla prova. Nel primo anno di vita, circa un 18% dei risultati del test di personalità di Albanesi venivano contestati, oggi, dopo molti aggiustamenti e oltre 80.000 soggetti che hanno completato il Test, solo l’1,5% li ha contestati (per esempio su 200 soggetti che vengono definiti deboli solo 3 al massimo lo negano; ciò porta alla consapevolezza che molti problemi sono legati alla personalità critica posseduta).
I problemi esistenziali
Il livello di problemi che una personalità critica genera (ammesso che sia la sola nella personalità reale) non dipende solo dalla personalità critica in esame, ma anche dalle condizioni facilitanti/penalizzanti che il soggetto ha; così un apparente ricchissimo potrà avere pochi problemi come pure un contemplativo che vince il premio Nobel, ma, statisticamente parlando, un apparente o un contemplativo hanno meno probabilità di essere felici rispetto a una persona equilibrata. Avere una personalità critica è cioè una condizione penalizzante di cui si deve tenere conto nel bilancio globale dell’esistenza.
Un esempio illuminante è quello di considerare due donne con personalità critica insufficiente: la prima sposa un uomo buono, che le vuole bene ecc.; la seconda s’innamora e sposa un uomo che la sfrutta e arriva spesso a picchiarla. La prima potrà avere una vita tutto sommato positiva, la seconda, da insufficiente, non riuscirà mai a lasciare il marito e la sua vita sarà un inferno.
Infine, si deve ancora una volta fare presente che una personalità reale equilibrata potrà avere molte personalità elementari abbastanza pesanti da essere significative, ma NESSUNA che supera la soglia di pericolo. Pertanto soggetti equilibrati possono essere fra loro molto diversi e la diversità si potrebbe studiare esaminando quali effetti producono nella personalità reale le diverse personalità elementari comunque sotto la soglia di pericolo. Ma questo è oltre gli scopi del Personalismo che è interessato solo a studiare la relazione fra felicità e personalità e tale relazione si studia indagando nella personalità reale solo l’eventuale presenza di personalità critiche.
Se volete sapere subito com’è la vostra personalità, non vi resta che provare il test di personalità di Albanesi. È fondamentale comprendere che, a prescindere da alcune denominazioni di personalità, ci si rivolge a persone sostanzialmente normali dal punto di vista psichiatrico. Per esempio, il termine inibito non ha nulla a che vedere con qualcosa di patologico (le patologie le lasciamo ai medici…).
La rimozione della personalità critica
Sarebbe molto fuorviante pensare che lo scopo principale del Personalismo sia quello di rimuovere le personalità critiche del soggetto. Per due motivi.
Il primo è che lo studio descrittivo della personalità serve anche per capire gli altri e il mondo che ci circonda. A cosa serve essere naturalmente equilibrati se poi si sbaglia nella valutazione degli altri, arrivando a unioni sentimentali disastrose (poi corrette dal proprio equilibrio quando ci si accorge dei problemi), rapporti difficili sul lavoro (si scelgono persone sbagliate) ecc.?
Il secondo è che la rimozione della personalità critica ha tanto più senso quanto più il soggetto ha problemi e quanto più è disposto a cambiare.
Va da sé che, capendo le varie personalità critiche è possibile rimuoverle. Se si capisce la personalità, è abbastanza facile capire come migliorare. Per esempio, se il dissoluto è colui che non vuole gestire al meglio il proprio corpo, la strategia di miglioramento è aumentare l’attenzione alla propria salute. Per capire se il miglioramento è avvenuto, basta rifare (sinceramente) il test di personalità di Albanesi e vedere come si è giudicati.
Non tutti però riescono a capire veramente a fondo la personalità critica loro attribuita e le osservazioni di una persona esterna che aiuti a vedere le criticità possono essere molto utili.
Vediamo la descrizione delle personalità.
La descrizione delle personalità
Una descrizione completa e dettagliata (nonché le strategie per mitigarne gli effetti negativi) la trovate negli articoli che descrivono il Personalismo. Di seguito la sola definizione.
Svogliati – Lo svogliato non ha una sufficiente forza di volontà anevrotica.
Irrazionali – L’irrazionale ha una modesta intelligenza razionale.
Inibiti – L’inibito non vive una parte della sua sessualità perché non l’ha maturata.
Succubi – Il succube è un soggetto che non ha effettuato un distacco dai genitori e continua a vederli come i padroni della sua vita.
Mistici – Il mistico ha una vita dominata dal rapporto con il divino.
Deboli – Il debole non ha la forza sufficiente per ottenere il meglio dal mondo che lo circonda.
Fobici – Il fobico ha una esagerata, stabile e pseudorazionale paura verso qualcosa o qualcuno.
Dissoluti – Il dissoluto non vuole gestire al meglio il proprio corpo.
Sopravviventi – Il sopravvivente accetta i problemi dell’esistenza come se facessero parte della normalità, senza nessuna azione che tenda a eliminarli.
Insufficienti – L’insufficiente accetta consciamente di avere un basso livello di autosufficienza.
Indecisi – L’indeciso è sistematicamente incapace di formulare criteri di scelta basati sulle informazioni che ha.
Statici – Lo statico ha bloccato ogni processo di apprendimento dopo aver raggiunto un’accettabile qualità della vita.
Violenti – Il violento, senza giustificato e oggettivo motivo, utilizza la forza in modo da limitare la propria o l’altrui qualità della vita.
Patosensibili – Il patosensibile non riesce a elaborare un sufficiente distacco dal dolore che è attorno a lui, ma che non lo coinvolge direttamente.
Romantici – Il romantico vive completamente asservito a idee che per lui hanno un alto valore morale.
Insofferenti – L’insofferente non sa gestire la mancata aspettativa.
Semplicistici – Il semplicistico, non riuscendo a capirla a fondo, semplifica eccessivamente la realtà per gestirla meglio.
Insoddisfatti – L’insoddisfatto, qualunque sia il punto in cui arriva, non sa appagarsene.
Apparenti – L’apparente preferisce apparire anziché essere.
Contemplativi – Il contemplativo considera la cultura come una condizione necessaria alla massima qualità della vita.
Vecchi – Il vecchio ha un’età psicologica elevata, a prescindere dalla sua età cronologica.
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