Lo scopo della vita non può essere ben compreso se non si ha chiaro quale sia il senso della vita; consiglio pertanto la lettura dell’articolo sul senso dell’esistenza. Dopo aver compreso il senso della vita, dovrebbe risultare chiaro perché lo scopo della vita non può che essere “personale”, convergendo magari verso un concetto che però, in tutti i casi, produce il risultato di rendere felice il soggetto. Quindi è del tutto normale affermare che
lo scopo della vita è la felicità.
Lo scopo della vita: l’eudemonismo
Da un punto di vista filosofico, la frase sopraccitata non fa che riportarci all’eudemonismo che considera naturale per l’uomo la felicità e assegna alla vita umana il compito di raggiungerla.
Ovviamente, con l’eudemonismo non ha nulla a che fare la ricerca del piacere (edonismo). Fra coloro che si possono citare fra i fautori dell’eudemonismo troviamo Socrate (con l’identificazione fra virtù e felicità) e Aristotele (la felicità come perfezione individuale, attuazione delle proprie capacità fino al culmine dell’attività razionale).
Molte correnti filosofiche hanno trattato il concetto di felicità, dandogli un’importanza centrale per cui si potrebbe pensare siano “eudemonistiche”, ma in realtà molte di esse sono andate oltre tale concetto, di fatto rendendo la felicità secondaria e quindi di fatto non più lo scopo della vita.
Per esempio, per gli stoici la felicità è “un buon demone” (Marco Aurelio); la felicità si identificava con la serenità, la tranquillità d’animo (atarassia).
Incredibilmente, per la religione cristiana, non c’è una risposta chiara allo scopo della vita, ma questo deve essere desunto spesso in modo confuso dalle citazioni bibliche; forse la più chiara è in Corinzi, 6:19-20: “glorificate dunque Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, che appartengono a Dio”. Lo scopo della vita sarebbe quello di glorificare Dio. In Matteo, 5:16, “così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”. Componendo vari passi, sembra che lo scopo della vita per il cristiano non sia la felicità, ma glorificare Dio, compiendo opere buone. Che poi la religione cristiana ci dica che tale scopo si identifichi con la vera felicità è una notevole forzatura. Al più, la felicità coincide con la beatitudine, un percorso a cui si arriva dopo un lungo e faticoso travaglio.
Kant svalutò l’eudemonismo come morale eteronoma, cioè ricevuta da altri, all’infuori di sé (per Kant l’azione morale è tale se compiuta solo per dovere).

Il termine cherofobia deriva del greco “chairo”, rallegrarsi”, unito alla parola “paura”
L’errore di generalizzazione
Scendendo più nel quotidiano, molte “ricette” per la felicità commettono un grave errore di generalizzazione, identificandola in questo o quello, quando appare immediato confutare la tesi mostrando che ci sono persone felici che non hanno le caratteristiche definite e altre che ce le hanno, ma non sono felici. Un esempio classico è identificare lo scopo della vita con la ricchezza. Tutte queste ricette scambiano condizioni facilitanti la felicità come condizioni sufficienti a essa.
Pertanto, una qualunque strada diretta (nel senso che la felicità è vista come scopo naturale e fondamentale della vita) per la felicità deve necessariamente:
- definire cosa sia la felicità
- identificare gli strumenti per arrivare a essa.
Solo così lo scopo della vita risulterà una luce visibile in fondo al tunnel dell’incertezza esistenziale.
Per chi non fosse ancora convinto che lo scopo della vita sia la felicità: come mai nelle fiabe, spesso l’ingenua trasposizione di una realtà dove “è bene tutto ciò che finisce bene”, la clausola finale è “e vissero tutti felici e contenti” (si noti il tutti che toglie ogni negatività dalla vicenda)? Dopo non occorre andare…
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