L’espressione psicoterapia cognitivo-comportamentale indica le psicoterapie oggi maggiormente diffuse; in effetti, nonostante l’interesse scientifico, la psicanalisi e le altre teorie hanno perso via via terreno nella cura dei disturbi psicopatologici, soprattutto a causa della complessità dell’interazione con il soggetto e della lunghezza del trattamento.
In contrasto con la psicanalisi e le correnti sopramenzionate, i comportamentisti, invece, ritengono che la personalità sia frutto dei comportamenti appresi tramite condizionamento, perciò eventuali comportamenti patologici deriverebbero da un apprendimento errato, da correggere rovesciando il condizionamento che lo ha determinato. Un esempio recentissimo di tale corrente psicologica è la teoria della personalità di Roberto Albanesi.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale fu sviluppata originariamente negli anni Settanta del XX secolo, rappresenta lo sviluppo e l’integrazione delle terapie comportamentali e di quelle cognitiviste, sintetizzando l’approccio neocomportamentista della REBT (Rational-Emotive Behavior Therapy, Terapia Razionale Emotiva Comportamentale) di Albert Ellis e della terapia cognitiva classica di Aaron Beck.
Il termine “cognitivo” si riferisce a tutto ciò che accade internamente alla mente (pensiero, ragionamento, attenzione, memoria ecc.) mentre il termine “comportamentale” si riferisce ai comportamenti manifesti (azioni, condotte e tutte le attività osservabili dell’organismo in rapporto con l’ambiente) da parte del soggetto.
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