L’indifferenza è un concetto neutro che esprime una tranquillità d’animo che si traduce in un comportamento che non sceglie, non opera. Curiosamente sul piano morale, è sempre più spesso citata come sinonimo di egoismo, di incapacità di provare simpatia di fronte a situazioni tragiche. Secondo alcuni l’indifferenza sarebbe addirittura il male peggiore.
Per il Personalismo il concetto di indifferenza è fondamentale; ognuno dovrebbe avere tre mondi:
- quello dell’amore (composto da esseri viventi che migliorano significativamente la qualità della nostra vita)
- quello dell’indifferenza (neutro)
- quello dell’odio (composto da esseri viventi che volutamente e direttamente peggiorano la qualità della nostra vita).
La vera novità del Personalismo consiste nella definizione del mondo dell’indifferenza; tutti parlano di amore e di odio, ma pochi si accorgono che per ognuno di noi esiste un terzo mondo che è enormemente più popoloso. Visto che l’amore si dimostra con le azioni, un passante che incontriamo per strada nella nostra scala affettiva non può essere allo stesso livello di una moglie, di un figlio, di un amico (anche se qualche pazzo utopista pensa che debba esserlo). Il problema tuttora irrisolto è come gestire il mondo dell’indifferenza senza cadere in profondi egoismi o senza arrivare a posizioni estremistiche che penalizzano chi ci è veramente vicino (ricordiamo la sindrome del missionario o del medico).
Il mondo dell’amore
Supponiamo di porre a un campione di persone la seguente domanda: “Chi fa parte sicuramente del nostro mondo dell’amore?”. Alcuni direbbero i familiari (i genitori, il partner, i figli, i fratelli e le sorelle), altri aggiungerebbero i parenti, altri gli amici. Alcuni direbbero (dimenticandosi del paradosso del medico o del missionario) tutti gli uomini. Tutte queste risposte sono profondamente errate, figlie di un’educazione ormai superata; in realtà
il mondo dell’amore è popolato da chi migliora la qualità della nostra vita.
Il mondo occasionale
Spesso fra il mondo dell’amore e il mondo dell’indifferenza esiste un mondo a metà strada che fluttua: è quello delle relazioni occasionali. Il segreto per vivere bene è avere questo mondo ibrido vuoto.
È opportuno che il mondo occasionale sia vuoto. Infatti, per esso noi non siamo disposti a grossi investimenti, ma nello stesso tempo il mondo occasionale ci impegna con problemi e con fastidi. Il mondo occasionale ci può essere imposto o può essere costruito da noi stessi.
Ci viene imposto quando non riusciamo a sottrarci a relazioni non volute; pensiamo a un vicino che non sopportiamo che ci invita a una festa per il compleanno della figlia. La strategia migliore è far capire al vicino che lui è nel nostro mondo neutro, che non ci importa nulla della sua festa e che abbiamo altro da fare. Brutale, ma efficace. Se invece non riusciamo a dire la verità e fingiamo un interessamento, non solo passeremo una serata terribilmente noiosa, ma inganneremo il nostro vicino, stabilendo con lui un rapporto che non sarà utile a nessuno dei due.
La maggioranza delle persone ha invece un mondo occasionale non vuoto; il motivo più comune di questa situazione è una scorretta comprensione dell’amicizia e delle relazioni umane.
Il mondo dell’indifferenza
Il grande problema che nessuna filosofia ha risolto nel secondo millennio è come coniugare l’egoismo individuale con l’amore per gli altri. Le varie soluzioni proposte sono state spesso utopistiche e prive di una reale concretezza. Il problema principale è che nessuno se la sentiva di spezzare in insiemi disgiunti (gerarchicamente ordinati) il mondo degli altri. In realtà chi non migliora la qualità della nostra vita non può essere messo sullo stesso piano di chi invece lo fa, esattamente come per una madre un estraneo non può essere messo sullo stesso piano di un figlio.
Tutte le persone che non migliorano la nostra esistenza appartengono al mondo dell’indifferenza, ma come gestirlo? Quali sono le personalità che più delle altre sono portate a gestire male il mondo neutro? Il debole che sente molto il problema della solitudine può essere portato a considerare il mondo dell’indifferenza come facente parte del suo mondo dell’amore.
Il mistico e il patosensibile non hanno una visione coerente della solidarietà. Anche chi non appartiene a queste personalità critiche, ma ha di esse una componente non trascurabile nella sua personalità (per esempio un romantico che abbia una buona componente di patosensibilità idealistica), si troverà in una situazione non chiara, spesso gestita emotivamente o per comodo.

Il simbolo del Personalismo, di cui l’indifferenza è concetto fondamentale
L’insufficiente tende ad allargare il proprio mondo dell’amore inglobando ampie fasce del mondo dell’indifferenza attorno a lui (strategia della cooperativa).
L’insofferente, il violento e l’apparente (per vanità) tendono invece a spostare (magari temporaneamente) il mondo dell’indifferenza verso il mondo dell’odio.
Per una corretta gestione del mondo dell’indifferenza è importante il concetto di pace.
La pace è la condizione ideale per vivere nel mondo dell’indifferenza.
È ovvio che il limite delle nostre azioni è la salvaguardia dei diritti altrui. Finché questa regola è rispettata va tutto bene, ma purtroppo la pace del mondo dell’indifferenza è spesso rotta dai conflitti fra individui; senza entrare nei dettagli delle possibili cause di conflitto che ci porterebbero lontano dai nostri scopi, ognuno di noi deve imparare a gestire i conflitti del mondo dell’indifferenza, cioè la transizione fra il mondo dell’indifferenza e il mondo dell’odio. Bisogna cioè capire quando lo scontro è inevitabile e ci si deve creare un mondo dell’odio, concetto di per sé negativo.
La pace si mantiene con la forza calma.
Se si ha autostima, se si è buoni con sé stessi, se si possiede una forza di volontà anevrotica si è pronti ad affrontare il mondo. Ma a che cosa servono le qualità precedenti se poi non si ha la forza per tradurle in azioni positive per la nostra vita? Il violento usa la forza a sproposito, in tutte le sue forme e, alla fine, ci perde, il soggetto equilibrato usa la forza calma e, grazie a essa, minimizza il numero di coloro che entrano nel suo mondo dell’odio.
L’indifferenza
Dovrebbe ormai essere chiaro che non esistono solo l’amore o l’odio, esiste anche un mondo dell’indifferenza; chi vuole far passare l’indifferenza per odio è in malafede o non sa ragionare.
ciò che è veramente umano è essere indifferenti nei confronti di chi non si conosce.
Per questa pagina cercavo un’immagine. Non ho trovato faccine che rappresentassero l’indifferenza e ho dovuto costruirne una; come se il mondo avesse due colori, felice o triste. Mentre sul piano esistenziale si conosce la noia, sul piano etico, incredibilmente non si conoscono che amore e odio e si fa finta che l’indifferenza non esista: è ora di cambiare le cose.
Sì, diciamolo forte, con buona pace del papa: essere indifferenti è umano e solo chi ha subito un profondo condizionamento religioso o sociale soffoca la sua umanità e l’immola sull’altare del buonismo. Essere indifferenti non significa non agire per sconosciuti: lo si può fare per lavoro (solidarietà sociale) oppure personalmente, per scelta propria, non per la costrizione e le pressioni sociali per “apparire buoni”.
Per capire bene il concetto di indifferenza, se avete letto il libro di Moravia (Gli indifferenti) siete avvantaggiati.
Nel romanzo i fratelli Carla e Michele Ardengo sono due giovani incapaci di provare veri sentimenti, vivono nella noia e nell’indifferenza, impotenti di fronte al declino socio-economico della loro famiglia. La loro madre, Mariagrazia, rimasta vedova, vive una vita totalmente borghese, è l’amante di Leo (che tenta anche di violentare Carla, senza successo, dopo averla fatta ubriacare). La relazione fra Leo e Mariagrazia è tipicamente borghese, con la donna che pensa costantemente di essere tradita da Leo con Lisa, la sua amica che però ama Michele. I due fratelli, Carla e Michele, non sono che due personalità deboli, con Michele che è anche insofferente per ciò che lo circonda, ma, in quanto debole, incapace di reagire. Non vado oltre, ma basti dire che tutto il romanzo vive attorno a questi personaggi, appunto, gli indifferenti.
Sono cinici, indifferenti che disprezzano valori morali e sociali. Vivono nella noia senza aspirare a una vita da leggenda, non sanno cosa sia il vero amore e naufragano nei condizionamenti borghesi.
L’indifferenza del personalismo è qualcosa di completamente differente, vissuta solo verso chi è nel nostro mondo neutro. Mai indifferenti per chi è nel nostro mondo dell’amore.
Il mondo dell’odio
Il mondo dell’odio è composto da tutti coloro che in qualche modo diminuiscono la qualità della nostra vita. La condizione ideale è avere un mondo dell’odio vuoto, ma spesso ciò può non dipendere da noi; in subordine alla condizione ideale, dobbiamo essere quindi in grado di gestire al meglio il mondo dell’odio. Con la calma della forza giusta si è in grado di gestire i contrasti con gli individui del mondo neutro. Tali contrasti fanno parte della naturale interazione fra gli uomini e spesso sono temporanei e alcuni soggetti vengono trasferiti provvisoriamente dal mondo neutro al mondo dell’odio.
Abbiamo visto che purtroppo la stupidità degli uomini è tale che spesso ci si scontra senza un reale motivo: la cosa peggiore che un individuo può fare è accrescere senza ragione il numero delle persone che occupano il mondo dell’odio, per esempio con invidia, vanità, competitività o falsità.
Esempi
Proponiamo una serie di esempi che speiga il concetto dell’indifferenza e la sua profonda differenza dall’egoismo, differenza peraltro trattata anche nella pagina del Neocinimso e in quella sui patosensibili.
Lo tsunami (dicembre 2004)
Oltre 16 anni fa il terribile tsunami che nel Pacifico uccise oltre 400.000 persone. Ebbene, nemmeno un mese dopo l’evento, sul maggiore quotidiano italiano, il Corriere della Sera, nessuna pagina, nessuna riga!!! Tanti articoli frivoli (rispetto alla tragedia), ma nessuna storia, nessun aggiornamento. Possibile che il dolore laggiù fosse cessato? O, non vedendolo, i patosensibili (per sopravvivere si erano stufati di piangere e pensavano a qualcosa di più leggero) si illusero che tutto fosse tornato come prima?
Forse andò meglio in televisione? Telegiornale serale su RAI 1 del 23 gennaio: parole sull’Asia: zero! Si noti che non ho scelto due casi favorevoli, ma i primi due che allora analizzai.
Il patosensibile (quello ipocrita che rappresenta sicuramente la maggioranza dell’insieme) è molto “sensibile”, ma si stanca presto del dolore e ha bisogno di nuove storie.
Bontà ipocrita (gennaio 2010)
Il terremoto di Haiti ha riproposto molti luoghi comuni sulla solidarietà.
Rockstar, attori, sportivi si muovono per soccorrere gli haitiani. Nobile gesto, se non fosse abbastanza sospetto. Agli open di Australia otto tennisti ai vertici mondiali hanno giocato doppi di esibizione raccogliendo 185.000 dollari, cioè 15.000 euro a testa. Geniale: sono stati osannati dai loro fan per la loro estrema solidarietà, si sono divertiti un paio d’ore, hanno fatto pagare gli altri e non hanno sborsato un euro: perché non donare 15.000 euro in modo anonimo (Matteo, 6,3: Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà)?
Anche il mondo della moda si mobilita e Roberto Cavalli ci fa sapere che gli orfani di Haiti li adotterebbe tutti. Peccato che poi in quel mondo vengano buttati tanti di quei soldi… L’importante è però apparire buoni. Che affarone, se mandando un euro mi ripulisco l’anima!
Già, le adozioni. Andiamo controcorrente. Gli appelli dei media ad adottare bambini haitiani sono, a mio avviso, patosensibilità pura. Tutti sanno che milioni di bambini vivono in condizioni disumane, e non solo nei Paesi del Terzo Mondo (basta pensare a quelli che quotidianamente combattono per sopravvivere nelle favelas brasiliane). Se una coppia aveva deciso di adottare un bambino, non c’era certo bisogno degli appelli per convincerla. Altrimenti, l’appello diventa un condizionamento devastante per tutti coloro che vengono sopraffatti dalla patosensibilità: come può una coppia pensare di essere saggia e decidere emotivamente l’adozione di un bambino solo per un appello televisivo fra l’altro decisamente fuorviante? Perché fuorviante? Perché tutte le interviste sono andate in onda monche. Chi conosce l’italiano sa che, se uso il condizionale, esprimo solo una parte del mio pensiero; la maggior parte degli intervistati ha usato questa frase: “io un bambino lo adotterei subito…”, sottintendendo un “ma non posso perché ecc.”. L’intervistatore si è ben guardato dal continuare chiedendo “e allora perché non lo fa?”, per non rompere il clima di utopistica solidarietà che si era creato.
Il Personalismo è per la solidarietà sociale e non per la solidarietà di chi vuole apparire buono a parole. Perché, che io sappia, nessun politico ha proposto una tassa sul 2% del reddito (o qualcosa di equivalente, a seconda della propria visione economica della società) in favore degli orfani di Haiti? Troppo impopolare, meglio continuare a lasciare che ognuno trovi il modo più comodo per apparire la migliore persona del mondo. Senza esserlo, ovviamente.
Il test
Chi vuole sapere se la sua patosensibilità supera lo soglia di pericolo (se cioè può penalizzare la sua vita) può cimentarsi nel test di personalità di Albanesi. Un test molto semplice e più rapido è offerto da un servizio televisivo che si ripete spesso ogni estate. Immaginate questo scenario.
Su una spiaggia affollata (quest’anno è successo a Mondello) un uomo ha un malore e muore; il bagnino lo copre alla meglio nell’attesa dell’arrivo della Polizia. Dopo pochi minuti la spiaggia torna alla normalità, il corpo giace coperto, mentre i turisti prendono il sole, fanno il bagno, due ragazzi si scambiano effusioni a qualche decina di metri dal cadavere. La sera, una giornalista indignata descrive la scena commentando le immagini con dure parole di condanna per l’insensibilità di tutti coloro che hanno continuato come “se niente fosse” (già Pirandello aveva descritto qualcosa di analogo nella novella Nell’albergo è morto un tale).
Domanda: in percentuale quanta ragione ha la giornalista? Prima di continuare la lettura, datevi una risposta.
Prima di dare la risposta, proviamo a generalizzare il suo approccio. Come giornalista del telegiornale, sa che ogni sera il Tg ci sforna diverse notizie dove la morte, la cattiveria e i peggiori istinti umani la fanno da protagonisti. Quindi sarei insensibile, se smettessi di ridere e magari dicessi a mia moglie “guarda, stasera proprio non me la sento di scherzare, non hai visto cosa è successo?”. E così ogni sera. Probabilmente mia moglie mi inviterebbe ad andare da uno psicologo.
Come dite? Un conto è vedere le immagini in tv di una vicenda successa a 100, 1.000 km di distanza e un conto è avere il morto a 10, 20, 50 m? Ma non è ipocrita pensare che la distanza sia il fattore eticamente discriminante? Se muoiono mille immigrati su un barcone, che problema c’è? Sono morti a oltre 1.000 km da me!
In realtà, il patosensibile non sa dare una spiegazione coerente delle sue emozioni che lo dominano totalmente, il suo umore è in balia di ciò che gli accade attorno. Invece, il comportamento coerente è di valutare la situazione in base al proprio mondo dell’amore e di provare sentimenti coerenti con esso. La notizia di una strage può colpirci per le ricadute che può avere sulla nostra vita e su quella dei nostri cari (per esempio una strage terroristica), ma sono riflessioni pratiche, non emotive.
Tornando al test, la risposta corretta è zero. Se avete risposto con una percentuale inferiore al 30% siete nella norma, ma se la percentuale è superiore avete ottime chance di essere patosensibili, probabilmente condizionati dal voler apparire buoni e umani a tutti i costi.
Distaccati dal dolore
Caro Roberto,
ti racconto un episodio capitato a una mia amica questa estate a Bologna e colgo l’occasione per chiederti cosa ne pensi. Lei stava scendendo dei gradini verso la strada, è scivolata e sbattendo violentemente contro il marciapiede, ha iniziato a sanguinare dalla testa e da un braccio. È capitato in una strada trafficata e, chiedendo aiuto con vari cenni e urla, ha visto tirare dritto più di un centinaio di macchine senza che nessuna di queste si fermasse. Dopo ben 10 minuti (era agosto) finalmente un passante le è corso in aiuto; al pronto soccorso ha poi scoperto di essersi rotta l’omero ed alcune costole. Che ne pensi di chi ha “tirato dritto”, non li biasimi solo perché non avevano nulla a che fare con quella poveretta? Se un dolore altrui non ci coinvolge emotivamente, non dovremmo cercare di stare un po’ più attenti cercando di ascoltarlo? Penso che ne avremmo da guadagnare tutti.
Quello che consigli è di posporre razionalmente il sentimento alla ragione, sempre e comunque quando hai gli elementi per farlo; non pensi che sia meglio considerare un equilibrio tra mente e cuore piuttosto che limitare con la ragione quest’ultimo?
Mi piacerebbe avere un tuo commento su questi argomenti, ma soprattutto sapere se ho male interpretato le tue conclusioni. Ciao, Piero.
Secondo me, fai molta confusione fra agire ed essere distaccati. La solidarietà è un sentimento sociale, cioè deve essere gestita, giustamente, dalle leggi della società. Nel caso del test, se sulla spiaggia è “morto un tale” e ci sono già le forze dell’ordine ecc., io continuo la mia vita.
Se assisto a un incidente che accade per strada, sono tenuto per il Codice della strada (ecco la società che media fra gli egoismi individuali) a prestare soccorso; non essendo medico (altrimenti le cose cambierebbero), non posso che chiamare l’ambulanza e attendere i soccorsi, situazione che mi è capitata più volte. Tutto questo senza lasciarmi coinvolgere emotivamente.
Tu dici: non pensi che sia meglio considerare un equilibrio tra mente e cuore piuttosto che limitare con la ragione quest’ultimo?
L’equilibrio fra mente e cuore non esiste per il semplice fatto che se chiedo a chi lo perora di spiegarmi come si fa a crearlo non sa che pesci pigliare. In realtà significa solo “giustificare” certi atteggiamenti emozionali; in altri termini, un po’ di sentimento non guasta. Una visione molto poco precisa della realtà perché non si hanno elementi per usare correttamente ora il cuore ora la ragione. Come ho già spiegato, la ragione limita il cuore solo per evitargli errori madornali, che avvelenano la vita. Poi c’è massima libertà di sentire.
Uso il tuo esempio per spiegarmi meglio. Supponiamo che la tua amica, anziché rompersi l’omero, fosse stata colta da shock anafilattico per una rara allergia. Stramazza al suolo perché la gola si è ingrossata e non riesce più a respirare. Passo di lì, vedo che nessuno si ferma. La mia cultura medica è tale che capisco la situazione; valuto che posso chiamare l’ambulanza (5% di probabilità di sopravvivenza, arriverà troppo tardi) oppure posso praticare una tracheotomia con un temperino che ho in tasca. Non l’ho mai fatto, non sono medico, ma è abbastanza semplice, diciamo che le possibilità di salvezza salgono al 40%. Se la persona appartiene al mio mondo dell’indifferenza chiamo l’ambulanza (in caso l’operazione non riuscisse, andrei infatti incontro a guai a non finire: ecco che uso la ragione per evitare un errore madornale), se appartenesse al mio mondo dell’amore rischierei, costi quel che costi (il perdere la persona che amo è immensamente più grave rispetto ai guai che rischio).
Ti chiederai come sia possibile essere sempre così razionali. I problemi della vita nascono dal non trattare razionalmente proprio i dettagli. Dal lasciarsi condurre una volta dal cuore e uno dalla ragione, così a caso o come tira il vento.
Dulcis in fondo
Per finire un esempio ancora più dissacrante per chi è troppo condizionato: leggete l’articolo Cattolicesimo e animali.
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