Chi è il contemplativo? Si potrebbe pensare che per il Personalismo sia sinonimo di “intellettuale“; in parte è vero, nel senso che essere “intellettuali” è una condizione facilitante per essere contemplativi, ma esistono molte persone che intellettuali non sono e danno un’importanza esagerata alla cultura. Pertanto, per rispondere alla domanda iniziale, è sicuramente opportuna una breve premessa relativa alla cultura. Secondo il Personalismo la cultura è una condizione facilitante; ritenerla una condizione sufficiente o necessaria alla felicità è dunque una posizione distorta che ne esalta eccessivamente il valore esistenziale.
Per chi ama i paragoni, lo sport, come la cultura, aiuta a vivere meglio, ma se le esagerazioni sportive di chi ritiene di “non poter vivere senza sport” sono da condannare, anche la troppa cultura deve essere valutata attentamente. Non si deve pensare che sia il “troppo” che fa male, quanto la motivazione che ha generato una tale mole di conoscenze. In altri termini, una persona coltissima può non essere contemplativa, come una persona ricchissima può non essere una persona apparente. La contemplatività scatta quando la cultura è ritenuta necessaria (e qui deve essere ben chiara la differenza fra condizione facilitante e condizione necessaria) alla piena espressione dell’individuo. Infatti, fra i non equilibrati, solo pochi ritengono la cultura sufficiente alla qualità della vita, rientrando nella personalità romantica (l’idea dominante è cioè la cultura, l’arte ecc.). Molti sono invece coloro che la ritengono necessaria alla piena espressione dell’individuo.
Il contemplativo considera la cultura come una condizione necessaria alla massima qualità della vita.
Il termine contemplativo è ripreso dal linguaggio comune dove indica una persona dedita alla meditazione delle cose divine. In effetti per il contemplativo la cultura diventa un dio senza il quale non c’è felicità (intesa anche come piena realizzazione di sé).
Lo scolastico
Il contemplativo reale ha basi culturali solidissime e in esse ritrova una profonda nobiltà di spirito; spesso tende a chiudersi nella cultura, a renderla il metro di giudizio degli altri, non apprezzando una visione popolare della vita. È quello che nel linguaggio comune è spesso denominato intellettuale. Nei casi limite si ha una fuga dal quotidiano.
Fra i contemplativi reali si possono distinguere varie sottotipologie: gli spirituali (nei quali la cultura è legata alla dimensione spirituale dell’individuo e concorre ad accrescerla), i formali (nei quali la cultura si riduce a una pedissequa obbedienza a forme e nozioni), i trascendenti (coloro che cercano nelle forme più nobili di espressione culturale una dimensione che vada oltre la vita terrena attraverso l’eternità dell’arte), gli scienziati (coloro che identificano la cultura con la scienza) ecc.

Il contemplativo (spesso confuso con l’intellettuale) considera la cultura come una condizione necessaria alla massima qualità della vita.
L’hobbistico
Il lato contemplativo di una persona non è direttamente proporzionale al suo livello culturale. Molti contemplativi che per varie ragioni hanno una cultura mediocre tendono a cercare surrogati di essa. Poiché la cultura è un plus che attira comunque anche chi sembra snobbarla (quanti libri acquistati e mai letti!), chi ha una personalità apparente può esprimere anche i tratti di una personalità contemplativa simulando un approccio culturale, scegliendo argomenti in cui non servono grosse basi culturali per raggiungere il rango di esperto. Ecco che il contemplativo hobbistico diventa collezionista o esperto (pensiamo a quanti sommelier ci sono in giro) senza magari avere un reale interesse per l’argomento, ma solo perché lo appaga avere e diffondere una quantità di informazioni che lui “sente” paragonabili a quella cultura che invece non ha.
Nei casi più eclatanti, in soggetti con scarsa cultura il gossip diventa un surrogato della stessa.
La diagnosi differenziale
A differenza del romantico, non si accontenta della sua idea dominante (è necessaria, non sufficiente!), apparendo spesso più equilibrato.
La qualità della vita
L’autostima del contemplativo è in genere ottima perché consegue facilmente l’oggetto (la cultura) esistenzialmente più ambito.
Il contemplativo rischia però un certo isolamento sociale quando dà troppa importanza a concetti che per la stragrande maggioranza delle persone hanno un valore limitato. Infatti il contemplativo ha l’esigenza primaria che il mondo attorno a lui riconosca l’importanza della sua cultura. Per esempio, l’entomologo contemplativo vorrebbe che tutti discutessero animatamente su cosa possa migliorare la sessualità delle Attacus atlas (sono farfalle del Borneo). Il contemplativo tende cioè a esercitare una, forse inconscia, superiorità intellettuale.
A differenza di altre personalità (debole, svogliato ecc.) che sono ben consce dei propri limiti, il contemplativo tende a fare del suo vizio una virtù.
Se il contemplativo è anche un violento, spesso può usare la sua cultura per demolire le personalità altrui perché, anziché parlare il linguaggio più semplice dell’interlocutore, usa paroloni e concetti complicati per zittirlo: pensiamo al medico che, infastidito dalle richieste di un parente del paziente, anziché porsi al suo livello, lo liquida con una velocissima, quanto incomprensibile, spiegazione tecnica del problema.
La qualità della vita dipende in gran parte dalle condizioni facilitanti; poiché la cultura è una di esse, in genere il contemplativo, in assenza di altre personalità critiche, non ha una cattiva qualità della vita. Il suo limite è che difficilmente riesce a migliorarla poiché si impegna poco nella comprensione del mondo, già soddisfatto del suo successo culturale.
I problemi del contemplativo sono cioè tanto più complessi quanto più identifica la cultura con l’intelligenza (senza capire che sovente è solo un surrogato di essa).
La sottomissione culturale
Quante persone con scarsa cultura e scarsa autostima, stravedono per chi “appare” colto. Il che è abbastanza illogico: è assurdo provare ammirazione per qualcosa che “sfugge”. Se io non ho od ho poca cultura, come faccio a sapere se quella che mi è venduta è veramente cultura? L’ammirazione “culturale” è il primo passo per essere ingannati da persone che vendono pseudocultura.
Ho curato diverse opere enciclopediche generali e mi sono interfacciato con presunti colti. Quello che si scopriva è che c’era chi vendeva bene le proprie conoscenze solo continuando a parlare in modo colto e chi sarebbe riuscito a spiegare la fisica a una persona che parlava solo in dialetto. I primi hanno una cultura fine a sé stessa, i secondi sono intelligenti e amano ciò che studiano. Concordando con F. Pessoa: “cultura non vuol dire leggere molto, nemmeno sapere molto; vuol dire conoscere molto“.
La contemplatività di rimbalzo – Con tale locuzione si indica l’ammirazione per la cultura di chi non solo non è colto, ma fa molto poco per diventarlo, di chi riconosce il valore della cultura, avvicinandosi però solo occasionalmente. Pensiamo a chi, pur non avendo idea di cosa sia l’impressionismo, si esalta davanti a un quadro di Monet; oppure a chi sentendo un commento in televisione su un canto della Divina Commedia resta a bocca aperta. Si potrebbe pensare che sia il valore dell’arte a produrre tale effetto, ma la persona in questione si esalterebbe, emozionandosi, anche di fronte a una copia appena passabile di un quadro impressionista oppure sentendo un commento assurdo, ma con tanti paroloni, di un canto pseudodantesco, inventato al momento da un ottimo professore di letteratura. Ho fatto spesso questo divertente esperimento e mi sono convinto che molte persone non colte apprezzano la cultura solo per effetto placebo: siccome dicono che faccia bene, anch’io devo apprezzarla.
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