In psicologia, la definizione di apparente è molto semplice:
l’apparente è colui che preferisce apparire anziché essere.
Gli apparenti non sanno esistere senza il plauso degli altri. Il loro Dio è pertanto il successo, visto nelle sue molteplici forme: ricchezza, fama, carriera ecc. Il successo è il meccanismo che li porta alle stelle o li seppellisce nella polvere. La personalità è completamente trascurata in funzione dell’apparire, quindi della forma piuttosto che della sostanza.
È importante capire l’importanza del termine preferisce; molti apparenti (i vanitosi) hanno comunque un reale successo, ma tale successo ha per loro ben poca importanza se non viene riconosciuto dagli altri. Investono molte energie per questo riconoscimento, arrivando in alcuni casi a vere e proprie manifestazioni di vanità (non a caso una locuzione gergale che descrive bene l’apparente più manifesto è “uno che se la tira”).
Dalla definizione si deduce che l’apparente è privo di semplicità, uno dei valori fondamentali del Personalismo.
Nei loro interessi gli apparenti sono spesso superficiali, preferiscono la novità alla conoscenza profonda; solo chi utilizza la conoscenza come strumento di successo (per esempio lo scienziato che ambisce a prestigiosi riconoscimenti) è portato all’approfondimento di ciò che è nel proprio raggio d’azione.
La vanità è un tratto ricorrente. Nei millantatori la vanità è spesso solamente il frutto di una deformazione della realtà, una specie di millantato credito che, se scoperto, si traduce in una frustrazione massima.
È comunque singolare che molti apparenti non si credano tali. Questa posizione tipica dell’apparente diligente è sicuramente generatrice di una confusione esistenziale per cui il soggetto non riesce a trovare il bandolo della matassa.
Gli oggetti – Per capire quali siano gli oggetti tipici che l’apparente ricerca occorre distinguere fra apparenza globale e apparenza parziale.
Nell’apparente globale il soggetto è in gara con tutto il mondo e quindi gli oggetti tipici dell’apparente globale sono tutti quelli che aiutano a costruire la propria immagine: la casa sfarzosa, l’auto di lusso, la barca, la vacanza da sogno, lo smartphone di ultimissima generazione ecc.
Un oggetto tipico dell’apparente globale è l’abbigliamento nelle sue molteplici forme (il vestito firmato, l’orologio costosissimo, il gioiello ecc.) e la “moda” è il suo campo d’azione preferito. Mentre lo stilista crea modelli che dovrebbero esprimere una personalità, l’apparente li prende in prestito con la presunzione di migliorare la sua personalità, spesso di costruirla. La griffe diventa un obbligo perché senza di essa l’apparente perde gran parte della sua autostima.
Ogni status symbol è per l’apparente globale un Dio cui immolarsi, ottenendo in cambio un appagamento esistenziale che lo predispone a una tranquillità e a una sicurezza nei confronti di sé e degli altri.
Il vestirsi bene, una bella macchina, la bella casa sono associati all’apparenza quando:
- la persona sceglie soluzioni sopra al proprio concreto tenore di vita
- oppure ostenta tali oggetti come status sociale, in particolare ritiene penalizzato chi non possiede tali oggetti.
Esempi di status symbol “a basso livello” (che molti possono permettersi senza essere “ricchi”) possono essere l’auto di lusso comprata usata, la vacanza in una prestigiosa località, ma con una sistemazione scomoda o modesta, e persino la potenza dell’impianto fotovoltaico sovradimensionata rispetto ai consumi della casa.
Nell’apparente parziale il soggetto cerca il riconoscimento altrui solo in determinati campi a lui propri: la scuola, il lavoro, lo sport, gli affetti ecc. In questo caso è molto più difficile riconoscere la personalità apparente perché negli altri campi il soggetto potrebbe addirittura essere una persona semplice! Il segno rivelatore è spesso un’esagerata propensione ad arrivare in alto nel campo prescelto, tratto peraltro presente anche nella personalità insoddisfatta; nell’insoddisfatto però il mancato successo si ritorce contro di sé, non c’è invidia per gli altri e per chi è arrivato più in alto.
Nella società – Gran parte della popolazione ha una componente apparente nella personalità e ciò è socialmente devastante perché si perdono i valori più intimi della persona, in quanto la forma non ha valori perché è vuota esteriorità. Nell’apparente l’etica e la spiritualità sono valori che possono coesistere, ma sono visti come secondari al successo, valori accettati perché tutto sommato non si oppongono allo scopo prioritario dell’esistenza e sono compatibili con esso. Nel momento stesso in cui non sono più compatibili possono essere accantonati (esempio classico, nell’apparente parziale che ha come oggetto lo sport il ricorso al doping). In ogni caso per essi non viene investita nessuna energia (tranne quando “servono” per migliorare la propria immagine, vedasi la beneficenza degli apparenti ricchi).
L’apparente è attratto da tutto ciò che profuma di successo: gli uomini ricchi e famosi, il lusso, il potere; nell’apparente parziale il primo posto. Inconsciamente ritiene che tutto si giochi attorno a questi fattori e, nei casi peggiori, venderebbe l’anima al diavolo pur di ottenerli.
La depressione conseguente a un mancato o svanito successo è sempre dietro l’angolo. L’autostima dell’apparente è funzione della sua immagine e pertanto non è costante, si potrebbe dire che non esiste perché non proviene da sé, ma è generata unicamente dal giudizio altrui. Negli apparenti meno dotati di spirito critico (e quindi di autocritica) possono crearsi processi di autocelebrazione, identificando tratti della propria immagine (quindi restringendo automaticamente il campo in cui valutare il successo) come valori assoluti. È il caso comune di chi, per esempio, pone un’attenzione maniacale nel vestire o nella forma fisica (culturismo), convinti che l’abito firmato o le forme dei muscoli siano elementi prioritari nella valutazione assoluta dell’individuo.
Nella società esiste anche una certa propensione a favorire l’apparenza per vergogna, che si attua quando l’apparenza è il tentativo di riabilitazione con cui si cerca di “apparire” diversi.
È apparente chi, invocando la privacy, non vuole che il mondo sappia questo o quello della sua vita solo perché si vergognerebbe della situazione. Questa condizione è il più delle volte giustificata e non porta il soggetto a superare la soglia critica di apparenza. La soglia è invece ampiamente superata quando si pretende oltre ogni logica di “cambiare la realtà”.
Come esempio, citiamo l’impiego di locuzioni alternative: operatore culinario anziché sguattero, diversamente abile anziché handicappato, operatore ecologico anziché spazzino ecc. I termini operatore e diversamente sono ormai talmente abusati che la locuzione alternativa assume lo stesso significato “politicamente scorretto” dei vecchi termini. Ecco che allora si incomincia a usarne altri, per esempio collaboratore: i vecchi bidelli non esistono più ed ecco che nasce il collaboratore scolastico. Ovvio che chi ritenga offensivo il termine bidello e “pretenda” l’uso del nuovo termine mostra una certa apparenza per vergogna (se vogliamo, si tratta dello stesso processo che porta una persona a dire “lei non sa chi sono io!”).

Nell’era dei social, gli apparenti sono sempre più evidenti
Le tipologie
Esistono due tipologie principali di apparenti globali, in teoria mutuamente esclusive: i vanitosi e i millantatori.
I vanitosi sono apparenti che mettono in mostra il loro (reale) successo, mentre i millantatori sono coloro che fanno di tutto per mostrare un successo che è solo fittizio, apparente per l’appunto. In pratica, spesso un vanitoso può comportarsi da millantatore quando non riesce a gestire la sua immensa vanità e un millantatore può diventare occasionalmente vanitoso quando fortuitamente ha la possibilità di esserlo (per esempio riceve una piccola eredità).
Una terza tipologia che è utile descrivere è quella del diligente, questi è il più difficile da riconoscere perché spesso vive nell’assurda contraddizione di condannare tutte le precedenti manifestazioni di apparenza. Questo è tipico dell’apparente parziale cui gli status symbol possono non interessare minimamente, ma farebbe di tutto pur di arrivare a essere “primo” nel campo che ha scelto per competere con gli altri.
Il diligente globale sa che la nobiltà è obsoleta e che la forma è ben diversa dalla sostanza; sa che la ricchezza e il successo non danno la felicità, anche se invidia ai ricchi la condizione facilitante in cui sono; non è un survivente (chi vuole avere un tenore di vita superiore alle proprie possibilità) perché sa che vivere sopra le proprie possibilità è da stupidi; può essere o meno superbo, a seconda del livello di autostima e/o di violenza. Quello che lo caratterizza è la convinzione che più gratificazioni materiali si hanno e meglio si vive. A prescindere dal livello economico della sua esistenza, tende a spendere quello che guadagna, cerca di non farsi mancare quello che può permettersi (avverte infatti come frustrazione il non riuscire a permettersi quello che desidera). Spesso è vittima della sindrome del compratore, salvo poi lamentarsi di dover fare un mare di acrobazie per arrivare a fine mese. È il classico soggetto che si lamenta del costoso mutuo della casa perché non ha nemmeno preso in considerazione l’idea di un appartamento più modesto. Si tratta quindi di una persona “normale” che non ha capito che il suo algoritmo (più ho, meglio vivo) in realtà non funziona. Anziché investire le sue risorse in oggetti d’amore preferisce investire in tutte quelle cose che alzano il suo status sociale: casa, auto, vestiti, gadget tecnologici ecc. Poiché vive di soddisfazioni, quando queste mancano, si trova insoddisfatto e scontento della vita.
Il vanitoso – Può mostrare la sua grandezza esistenziale (apparenza) esaltando ciò in cui primeggia.
Per esempio, il nobile è schiavo di convenzioni sociali che dovrebbero garantire la realizzazione esistenziale. In realtà evidenziano la mancanza di oggetti d’amore, sostituiti con surrogati. Una volta comunissimo, oggi è meno comune, anche perché un certo modo di vita improntato sull’esteriorità delle regole e delle forme è spesso apertamente irriso dalla popolazione. Non è però sicuramente scomparso tant’è che molte sono ancora le persone (con una buona componente romantica) che apprezzano concetti come la monarchia, la nobiltà e magari sognano a occhi aperti di partecipare al ballo delle debuttanti nell’alta società. Queste esagerazioni sono ancora presenti nella società anche in tutte le azioni tese a conservare il proprio buon nome, la propria immagine presso “ciò che pensa la gente” ecc. Una versione moderna è anche l’appartenenza a circoli esclusivi, fatto che, agli occhi dell’apparente, di per sé dovrebbe migliorare il suo valore.
L’apparente potente (ovviamente non tutti i potenti sono apparenti, qui il termine dovrebbe leggersi come semplice aggettivo legato al termine della personalità) in genere usa la ricchezza o il potere derivante dalla sua posizione sociale (per esempio un politico) per avere un appagamento esistenziale. Investe molte energie per avere successo perché è convinto che solo così “si è realizzato”. Ha raggiunto il successo e lo utilizza come vestito con cui presentarsi agli altri, trascurando ciò che c’è sotto al suo vestito. Tutte le sue azioni tendono a mostrare l’esteriorità della sua esistenza, spesso con il proposito di utilizzare come fattori di valutazione dell’individuo proprio quei riscontri materiali in cui lui è così bravo a distinguersi. Se permangono le condizioni facilitanti (successo) e non è vittima di survivenza (ved. più avanti Il millantatore), la qualità della sua vita può anche essere ottima. In genere però la situazione è precaria perché, appena si spengono le luci dei riflettori e l’apparente resta con sé stesso, non trova nulla cui aggrapparsi. Quando perde successo, potenza o ricchezza, l’apparente non sa adattarsi a una situazione dove costruire veramente la sua personalità, tanto che non sono rari il suicidio o la depressione da fallimento.
A seconda delle altre personalità, può assumere diverse connotazioni, da tirannico (se fortemente violento) a generoso (soprattutto se patosensibile). Ecco allora che anche il mecenatismo si trasforma in una forma con cui “apparire buono”.
Il vanitoso può utilizzare campi molto ristretti in cui investire le proprie energie per apparire migliore e quindi può essere difficile riconoscerlo come apparente. Può essere la cultura (per esempio in chi ha una componente contemplativa della personalità), l’estetica, uno sport o un lavoro. Ciò che distingue il vanitoso dall’equilibrato è il parlare di sé non per raccontare un fatto, dare un’informazione, ma per sottolineare il suo successo (reale o presunto).
L’equilibrato dirà: “sono direttore generale di un supermercato”, l’apparente: “sono direttore generale di un supermercato, un lavoro che dà molta soddisfazione, anche se ha grandi responsabilità. Non è da tutti ecc.”. Una donna piacente farà di tutto per mettersi in mostra (salvo poi dispiacersi per un apprezzamento volgare…) e un uomo macho non farà altro che decantare le sue conquiste.
Il millantatore – Il millantatore può semplicemente millantare il suo successo oppure impegnarsi attivamente per costruire il suo sogno, in questo caso si parla di survivenza. La survivenza è la condizione cui l’apparente arriva per avere fatto il passo più lungo della gamba nel tentativo di apparire. Vivere sopra le proprie possibilità è cioè il pericolo che può far precipitare la vita del millantatore troppo ottimista. Spesso vittima di debiti o di situazioni economiche difficili, non riesce ad adattarsi a situazioni che svelerebbero la loro “normalità” (un partner pieno di difetti, un lavoro del tutto normale ecc.).
Il debito è il classico indicatore di apparenza. Il millantatore è infatti colui che compra tutto a rate e che chiede prestiti a destra e a manca perché è intimamente convinto che si debba vivere con una certa immagine, vuole dimostrare di “poterselo permettere”. Mentre la persona semplice si permette solo ciò che gli consente il suo tenore di vita, senza nessuna frustrazione, l’apparente vive l’equivalenza “non posso permettermelo = sono un fallito”. Ovviamente l’equivalenza diventa tanto più conscia quante più cose non riesce a permettersi!
L’apparente è anche portato a vivere il sogno del successo, dal giovane che sogna di diventare un grande calciatore, un grande cantante o un grande attore all’adulto che vede in un’improbabile vincita al gioco il modo per “cambiare la propria vita”.
Preferisce annegare nei problemi di una vita vissuta sopra le righe piuttosto che accettare la sua dimensione. Se alla fine la situazione si cronicizza, diventa un apparente fallito, colui che dentro di sé anela a diventare affermato, ma per motivi vari può solo invidiare tale condizione. Spesso condanna proprio quel successo che invece intimamente invidia, alcune volte vive come frustrazione il proprio insuccesso esistenziale, altre volte si prende piccole rivincite (la macchina di lusso, il vestito firmato ecc.) a fronte di grandi rinunce che tenderà a non rendere pubbliche.
La diagnosi differenziale
Il falso apparente è colui che vive al di sopra delle sue possibilità per soddisfare le esigenze di altri, spesso familiari, coniuge e/o figli che traslano su di lui la loro apparenza. Una moglie senza alcun reddito spinge continuamente il marito a un tenore di vita impossibile (per esempio volendo una casa al di sopra delle loro possibilità); con il ricatto che “gli altri ce l’hanno”, un figlio spinge il genitore ad acquistargli per esempio l’ultimo smartphone. Il falso apparente in genere è un debole che accetta in modo acritico e senza forza di reazione l’apparenza altrui, la fa propria, anche se ciò comporta un netto scadimento della sua qualità della vita sotto forma di problemi e preoccupazione per reggere una condizione per lui troppo grande. Meno frequentemente, può anche essere un romantico che s’immola all’ideale della famiglia, convinto che “spetti a lui dare il massimo”.
Una possibile confusione si ha fra apparenza e violenza. L’apparente può arrivare a usare la violenza (forza) per arrivare al successo, ma non è una sua caratteristica costante, tanto che spesso l’apparente potente (non violento) apprezza una vita tranquilla e valori come la bontà d’animo. In fondo per lui l’uso della forza è una specie di legittima difesa da usarsi comunque il meno possibile.
La qualità della vita
Mentre il vanitoso ha una (apparentemente) buona od ottima qualità della vita, il millantatore spesso non va oltre la mediocrità esistenziale, sommerso dalla fatica di gestire la sua apparenza (pensiamo a chi fa un mutuo quarantennale per avere la “casa dei suoi sogni”).
Sia i vanitosi sia i millantatori non sono immuni dal rischio tipico dell’apparente, il sacrificio esistenziale, cioè un investimento di risorse talmente spropositato nel tentativo di avere successo che comporta un netto scadimento nella qualità della vita. L’uomo d’affari, il politico, lo scienziato che distruggono la loro vita privata non per coltivare un oggetto d’amore, ma solo per “arrivare in cima” sono esempi classici. Ben si può comprendere da questo esempio come l’apparente sia fondamentalmente un soggetto per cui la sconfitta “pubblica” è fondamentalmente disonorevole, un ridimensionamento della sua personalità di cartapesta.
Sostanzialmente essere apparenti penalizza sempre perché distoglie parte delle energie da dedicare al miglioramento esistenziale per tenere in piedi qualcosa che di fatto può far ottenere solo il plauso degli altri.
L’invidia e la solitudine sono molto comuni; la prima scatta quando il soggetto non riesce a vincere la competizione con gli altri; la seconda nasce quando gli sforzi per ottenere successo sono enormi e portano a concentrare la propria vita solo sui campi dove si vuole “arrivare primi”.
Nella qualità della vita dell’apparente gioca un ruolo fondamentale l’ambizione. Nel significato odierno l’ambizione è una forte determinazione nell’avere un successo di tipo personale (affari, carriera, ricchezza ecc.) sopravanzando gli altri, un significato ben diverso da quello strettamente etimologico (dal latino ambitio, da ambi, in tutte le direzioni, e itum, andato: volontà di andare in tutte le direzioni, di scoprire nuove cose). Molto difficilmente un soggetto molto ambizioso non è un apparente. Si noti che nel competitivo (che può essere una persona equilibrata) può esserci la ricerca del successo, ma dando il meglio di sé, anziché cercando di sopravanzare gli altri.
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