Il termine agorafobia deriva dal greco e, letteralmente, significa paura della piazza (αγορά, piazza; φοβία, paura); in ambito psichiatrico, la questione è decisamente più complessa e merita sicuramente spiegazioni più approfondite.
Significato
Il termine agorafobia è stato coniato nel 1871 dal neurologo e psichiatra tedesco Carl Friedrich Otto Westphal che descrisse la condizione come una sindrome caratterizzata da vertigini, ansia e cardiopalmo (palpitazioni) associata alla paura di attraversare spazi aperti e di recarsi in luoghi affollati (piazze, chiese, teatri, mercati ecc.).
Popolarmente, quando si parla di agorafobia si tende a semplificare descrivendo tale condizione come una paura generica di uscire di casa e recarsi in luoghi affollati oppure come la fobia di spazi aperti in cui si ha timore della folla.
Più tecnicamente, però, l’agorafobia è definita come la “paura di trovarsi in luoghi dove, secondo il giudizio del soggetto agorafobico, potrebbe verificarsi un attacco di panico”.
Segni, sintomi e diagnosi di agorafobia
Nel celeberrimo DSM (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), quarta edizione, l’agorafobia veniva considerata come una sottocategoria del disturbo da attacco di panico; nell’ultima edizione del manuale (la quinta), invece, tale condizione è classificata come un disturbo d’ansia a sé stante, ben distinto dal disturbo da attacco di panico. Sempre facendo riferimento all’ultima edizione del manuale, la diagnosi di agorafobia include una paura intensa o ansia in riferimento a due o più delle seguenti situazioni:
- utilizzare un mezzo pubblico (treno, autobus, metropolitana, aereo ecc.)
- trovarsi in uno spazio aperto e ampio (un ponte, un centro commerciale, un supermercato, un parcheggio)
- trovarsi in uno spazio chiuso di dimensioni limitate (un teatro, un negozio, un ufficio pubblico ecc.)
- fare la fila o trovarsi in mezzo alla folla
- essere fuori di casa da soli.
Queste situazioni risultano critiche per colui che soffre di agorafobia e gli provocano ansia in quanto egli ha paura che non sarà in grado di fuggire o comunque di ricevere l’aiuto di cui potrebbe necessitare nel caso in cui iniziasse ad accusare sintomi di panico o di altri malesseri di carattere psicofisico.

Il significato comune del termine indica la paura generica di uscire di casa e recarsi in luoghi affollati oppure la fobia di spazi aperti in cui si ha timore della folla
Altri criteri utilizzati per la diagnosi sono, oltre all’ansia o alla paura relative all’esposizione a una delle situazioni citate in precedenza:
- paura o ansia non proporzionate rispetto al possibile reale pericolo insito in tali situazioni;
- evitamento delle situazioni temute, necessità di essere accompagnati da qualcuno nel caso si debbano affrontare le situazioni temute oppure notevole difficoltà, distress o ansia nel caso in cui certe situazioni debbano essere affrontate da soli;
- compromissione del funzionamento socio-lavorativo a causa dell’ansia e dell’evitamento sistematico di determinate situazioni;
- ansia ed evitamento persistenti (durata oltre i 6 mesi).
È anche possibile che si manifestino segni e sintomi che caratterizzano gli attacchi di panico, quali, per esempio, sudorazione eccessiva, aumento della frequenza del battito cardiaco, aumento della frequenza respiratoria, sensazione di vertigini, timore di perdere il controllo, paura di morire ecc. Non è escluso che, insieme all’agorafobia, si presenti un attacco di panico.
Riassumendo brevemente, chi soffre di agorafobia cerca solitamente di evitare certe situazioni che potrebbero metterlo in difficoltà, ma in certi casi esse vengono affrontate, seppure in modo poco convinto e con grande sofferenza interna, profonda ansia e disperata ricerca di una figura protettiva.
Appare ovvio come tutti questi comportamenti finiscano, alla lunga, per compromettere il funzionamento sociale e lavorativo del soggetto.
Ai fini di una corretta diagnosi, è importante che lo specialista possa con sicurezza escludere che la sintomatologia esposta non sia riconducibile ad altri disturbi (fobia sociale, una forma grave di ansia sociale, o altre fobie specifiche) e valuti anche l’eventuale presenza di quei disturbi che sono spesso associati all’agorafobia (disturbi d’ansia, depressione, abuso di alcol o sostanze stupefacenti ecc.).
Esistono alcuni test psicologici (per esempio il Panic and Agoraphobia Scale) per analizzare se esistano le condizioni favorevoli l’instaurarsi dell’agorafobia o per misurarne il grado di gravità.
Cura dell’agorafobia
Generalmente chi soffre di disturbi da agorafobia tende a evitare, oltre alle situazioni potenzialmente pericolose, anche di parlare dei propri problemi, avvertendo questo suo disagio interno come qualcosa di umiliante e imbarazzante nei confronti della società.
Questo non permette né di comprendere la reale portata del disturbo né una facile guarigione, poiché queste persone preferiscono rivolgersi alla farmacologia, con uso (e spesso abuso) di farmaci ad azione ansiolitica (come l’alprazolam o il bromazepam, per esempio). Quest’ultimi, tuttavia, non aiutano a curare la malattia, ma anzi entrano a far parte della disfunzione agorafobica del paziente, che vede nei farmaci una possibile via di fuga, diventando nei casi più gravi una vera e propria dipendenza, una sorta di ancora di salvataggio, priva però di una concreta soluzione.
Per curare in modo efficace l’agorafobia è necessario sottoporsi a un trattamento psicologico, che miri a riorganizzare gli stati psicofisici della persona, con lo scopo di eliminare i fattori problematici e mantenere quelli positivi, cercando di trasmettere una maggiore convinzione e fiducia in sé stessi.
Non si valutano tanto le cause che possano aver scatenato in passato il disturbo, ma si cerca di lavorare sugli aspetti futuri, prevedendo una ventina di sedute dilazionate nel tempo, volte al miglioramento graduale del paziente.
Per i casi meno gravi di agorafobia può essere sufficiente anche una riorganizzazione della propria personalità.
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