Il plantare non è il bersaglio di questo articolo che si limita a stigmatizzare l’uso indiscriminato che se ne fa per risolvere ottimisticamente molte patologie. Di fronte a una patologia sportiva che fa sospettare come causa un appoggio scorretto, un buon terapeuta dovrebbe prima guarire la patologia (ricondurre lo sportivo a un sedentario normale) e poi indagare l’uso del plantare come soluzione definitiva. Se si eccettuano gli infortuni dovuti a un trauma acuto, gli infortuni non acuti sono sostanzialmente di tre tipi: 1) Non anatomici, dovuti a errori nell’allenamento; 2) Dovuti alla distanza critica; 3) Strutturali. I primi sono i più comuni (circa il 60%) e comprendono anche i casi in cui l’infortunio è dovuto al cambio della scarpa, a un brusco incremento quantitativo del chilometraggio, a troppe gare ecc. Ovviamente in questi casi il plantare non serve, ma si deve capire cosa si è sbagliato. Tipico è anche il caso del principiante che non vuole usare gradualità e s’infortuna perché il suo corpo non si è ancora adattato alla corsa. I secondi (circa un 35% dei casi) sono dovuti semplicemente al fatto che il soggetto non vuole arrendersi a una certa distanza critica (per esempio ha una distanza critica di 25 km, ma vuole correre la maratona). In questi casi il plantare può essere usato, ma i risultati sono molto modesti. Sicuramente più interessante l’uso di solette antishock. I terzi (10%) sono tipici di soggetti all’inizio della loro vita sportiva (primo anno) che lamentano patologie riconducibili a chiari difetti anatomici oppure di soggetti che hanno degenerato una struttura fondamentale per la corsa (problemi legati a lunga vita atletica, operazioni ecc.). In questi casi il plantare può essere usato.
Un po’ di buon senso
Ognuno di noi è fatto in modo diverso con lunghezze degli arti, muscolatura, articolazioni, elasticità dei tendini diverse. È abbastanza assurdo pensare di proporre per tutti un unico modo di gestire il proprio appoggio. Infatti il peso durante la corsa con il plantare viene semplicemente ridistribuito. Magari preservo il tendine d’Achille, ma vado a caricare maggiormente il ginocchio. Se sono già diversi anni che corro, il tendine guarirà, ma il ginocchio, non abituato al nuovo carico, farà crac. Semplice…
Le considerazioni sopraesposte spiegano la sostanziale differenza che andiamo ad analizzare.
Nel caso di atleti giovani (come età sportiva!), il plantare è sicuramente indicato quando lo specialista rileva che un infortunio è strettamente correlato a un’anomalia anatomica (e non per esempio a esagerazioni iniziali del principiante); ci si potrebbe chiedere che differenza c’è fra un atleta che inizia e un atleta che corre da anni se entrambi presentano lo stesso problema (piede cavo, piede piatto, eccessiva pronazione ecc.). La risposta è semplice: il podista che corre da 3-10 anni con un problema anatomico (o presunto tale) ha sicuramente dei meccanismi d’equilibrio che lo hanno preservato dagli infortuni; se incorre in una fascite non avrebbe molto senso attribuirla alle sue anomalie anatomiche e cercare di risolverla con un plantare, in quanto le cause sicuramente sarebbero altre: tolte quelle, ritornerebbe a correre senza problemi. Solo nel caso corresse da molti anni si potrebbe pensare a un infortunio strutturale dovuto a una degenerazione di una parte coinvolta nel movimento.
Quello che sfugge ai più è che il nostro corpo ha comunque un carico allenante massimo, per cui è importante conoscere la nostra distanza critica.
È assurdo che un maratoneta in sovrappeso atletico (per esempio 72 kg per 175 cm) pensi a un plantare piuttosto che a dimagrire per esempio di 5-6 kg. Se vuole mantenere quel peso è più logico che si dedichi a distanze più brevi.
In altri termini, se non si segue un criterio di gradualità e non si sta sotto il livello quantitativo e qualitativo che il proprio corpo sopporta, plantari o non plantari, si avranno sempre dei problemi.
La teoria dell’allenamento non serve solo a far ottenere la miglior prestazione, ma anche a far durare a lungo l’atleta. In modo ancora più chiaro, se 10-15 anni fa si pensava che gli infortuni fossero in gran parte dovuti a malformazioni anatomiche dell’atleta, oggi è ormai chiaro che gli infortuni sono, nel 99% dei casi, errori di sovraccarico quantitativo o qualitativo.
In genere conviene guarire perfettamente da un infortunio “difficile” (anche con un lungo periodo di stop) e affrontare la ripresa con uno spirito più orientato a durare a lungo che alla singola prestazione: aumentare le proprie capacità di recupero, base organica molto forte (fare qualità solo con una quantità alle spalle sufficiente), potenziamento e tecnica di corsa ecc.
L’altro caso in cui il plantare è certamente giustificato è nella fase di riabilitazione dopo un infortunio traumatico o un intervento chirurgico. Infatti il plantare consente di moderare il carico, consentendo un recupero graduale.
Il plantare non si deve usare:
- per cercare di curare patologie sportive; il plantare previene, ma non cura. Prima si guarisce, poi si prende in considerazione l’idea del plantare.
- Per cercare di prevenire patologie sportive in atleti che comunque da tempo non hanno problemi. Non si fa altro che alterare equilibri ormai consolidati.
- Per cercare di “convivere” con patologie sportive. Si dilaziona solo il problema…

La realizzazione di un plantare dovrebbe essere un’opera di alta ingegneria biomeccanica, mentre spesso non è che la veloce preparazione di un supporto da infilare nelle scarpe sperando che faccia il miracolo
Il plantare funziona?
Abbiamo visto che teoricamente in un 40% dei casi di infortunio non acuto il plantare potrebbe essere usato. In realtà funziona solo in un 10% dei casi di infortunio non acuto (o, se volete, nel 25% dei casi -il 40% del totale- in cui la soluzione plantare si potrebbe ragionevolmente tentare). Analizziamo i motivi dell’insuccesso.
Plantari per tutti – Abbiamo visto che in un 60% dei casi il plantare non serve. L’uso del plantare è stato consigliato a quasi tutti i runner che calcano le strade da anni. Da una statistica che ho effettuato, su un gruppo di trenta atleti, ventisei hanno ricevuto l’indicazione di portare un plantare. Molti hanno seguito questo consiglio, salvo poi buttare il plantare poche settimane dopo averlo usato.
La morale che ne ho tratto è che il plantare è spesso consigliato in tutte le patologie delle quali non si viene a capo con le terapie più blande, una sorta di panacea che tutto dovrebbe curare.
Perché il plantare è così di moda? Perché fa parte di quell’insieme di tentativi che si fanno per curare patologie croniche o acute di cui non si conosce la causa. Chi non riesce a venire a capo di un infortunio entra in quella spirale che io definisco “magica”: plantare, chiropratico, osteopata, agopuntura, medicine alternative, pranoterapeuta, santone. Ognuno di questi tentativi è giustificato (persino il santone se la patologia è psicosomatica da paura dell’avversario che in quel periodo è in gran forma…), ma solo con cognizione di causa. Se non si conosce (o si fa finta di non conoscere, come chi tenta di tutto per evitare un intervento chirurgico) la causa, rivolgersi al terapeuta sbagliato non può che aggravare la situazione, facendo perdere tempo e soldi.
Il problema di fondo è valutare la serietà professionale degli appartenenti al circolo magico. Come si fa? Se una persona sana va da un podologo che vende plantari o da un chiropratico, lamentando sintomi di una particolare patologia, quanti richiedono esami per valutare la gravità e quanti invece partono subito in quarta dicendo che è necessario un plantare o è necessaria una manipolazione? Un professionista è veramente tale quando ammette i limiti della proprio campo d’azione; purtroppo ci sono specialisti che pretendono di curare ogni patologia con la loro disciplina.
Se parlate con gli addetti ai lavori vi diranno che i loro clienti sono soddisfattissimi. Penso che questo delirio di onnipotenza derivi dal fatto che il terapeuta non considera l’effetto fuga: una persona si fa fare un plantare per correggere la patologia, lo porta per un po’, poi o la patologia non si risolve o, se si risolve, scopre che, anche senza plantare, non ha più problemi (e quindi probabilmente la patologia non è dovuta a cause anatomiche, ma a un carico eccessivo) e non lo usa più. Anche per i sedentari (magari in sovrappeso) vale l’effetto fuga; molti sperano che il plantare risolva il mal di schiena o dia sollievo alle gambe, ma, passata l’euforia iniziale (effetto placebo), ecco che si ritorna come prima e il plantare non si usa più.
C’è persino chi spinge l’uso del plantare per migliorare le prestazioni. Dal punto di vista sportivo, “un miglioramento della performance del passo con minore dispendio bio-meccanico” è molto accattivante. Purtroppo con atleti amatori ben allenati o professionisti è difficile barare.
Se ci fosse veramente un miglioramento, un plantare farebbe volare chiunque e i record fioccherebbero. Purtroppo in atleti già ottimizzati ciò non accade. Quindi è difficile parlare di miglioramento della performance del passo.
La qualità spesso è un optional – La realizzazione di un plantare dovrebbe essere un’opera di alta ingegneria biomeccanica, mentre spesso non è che la veloce preparazione di un supporto da infilare nelle scarpe sperando che faccia il miracolo. Se provate a farvi fare due plantari per lo stesso problema, scoprirete che sono simili, ma non uguali, che molti vengono realizzati senza tener conto delle scarpe in cui devono essere inseriti e che altri vengono addirittura realizzati con materiali non idonei alle patologie. Occorre rimarcare che molto spesso un cattivo plantare non fa altro che procurare nuovi problemi.
Come deve essere – Spesso i plantari vengono usati anche da atleti professionisti (in verità in percentuale non eclatante); alcuni lo usano a scopo scaramantico, altri lo usano perché il plantare è stato realizzato sulla loro biomeccanica. Se si analizzano le caratteristiche di questi plantari si scopre perché molti plantari non funzionano. Un plantare dovrebbe:
- essere realizzato dopo una prova statica e una prova dinamica.
- Essere realizzato con tecnologia computerizzata.
- Essere rivisto periodicamente.
- Essere realizzato in materiale idoneo (durevole, lavabile, igienico ecc.), in particolare un singolo plantare non dovrebbe pesare più di 45 g (misura 9 USA).
Il primo punto è chiaro: una semplice prova statica non è interessante per uno sportivo. Il secondo punto riguarda chi fa plantari con metodiche molto vecchie, come per esempio con un calco in gesso. L’interpretazione dell’appoggio non può essere ricondotta a una seppur buona, ma approssimata esperienza umana. Del resto il giudizio sui plantari sportivi è nettamente cambiato solo dopo l’avvento del computer.
Il terzo punto fa parte del concetto di personalizzazione.
L’ultimo punto è forse il più importante e, direi, decisivo: se il plantare non è del tutto assimilabile a una normale soletta di una scarpa da running non è utilizzabile a fini sportivi.
I rischi
In presenza di un terapeuta serio (che lo propone solo nel 40% dei casi), il plantare può non funzionare. I motivi sono sostanzialmente due:
- la patologia è comunque ormai irreversibile;
- nascono altri problemi.
Come spiegato nell’articolo sull’appoggio, è molto comune che l’uso di un plantare comunque buono possa far nascere problemi in altri distretti e ciò dovrebbe suggerire al runner di non usarlo. Il problema è particolarmente frequente negli infortuni associati alla distanza critica.
Plantari: un rischio da… correre?
27/02
Visita dott. XXX specialista in medicina dello sport…
Metatarsalgia sx (piede cavo con retropiede valgo) si consiglia valutazione podobarometrica per adozione plantare eventualmente radiografie, mi dice di lasciare perdere la corsa e di spostare gli attacchi del pedale indietro (così si evita di scaricare la pedalata nel punto già dolente, corrispondente al miglior punto per tutti i ciclisti, articolazione tra metatarso e alluce).
Prendo appuntamento dai tecnici che mi ha indicato, mi fissano l’esame dopo un mese, intanto continuo a pedalare con le tacchette dei pedali in posizione arretrata e tutto sembra funzionare veramente bene. 80 euro.
27/03
Esame dei piedi in fase statica e dinamica presso la YYY.
Conferma di quanto rilevato dal medico, proprio storti questi piedi, il sx più del dx… Mettono delle solette nelle scarpe, fanno camminare e il computer elabora i dati… e sì il piede non scarica come deve eccesso di questo… (però le mie scarpe sono consumate perfettamente, mah).
Lasciano trapelare che il plantare usato sempre risolve tutti i problemi (corsa compresa). 75 euro.
Metà aprile
Finalmente arrivano questi oggetti magici: “li metta e vedrà sparire ogni problema!”. 150 euro. Comunque tra due mesi ci chiami che rifacciamo l’esame, controlliamo, se non dovessero andare bene li rifacciamo (ovviamente senza sovrapprezzo).
Allora se è perfetto potrò forse riprendere a correre mi domando, se è perfetto riporto le tacchette dei pedali nella posizione “aurea”. Dopo una settimana-10 gg. di pedalate con i plantari e le tacchette nella posizione consigliata da tutti i manuali di ciclismo avverto di nuovo dolore (in effetti senza plantare era quasi svanito).
03/05
In seguito a questo mancato “miracolo” telefono al medico che mi ha visitato in febbraio, l’esame podobarometrico va bene, i plantari vanno bene, se dopo un mese dovesse fare ancora male la colpa è della bici, fare esame computerizzato sulla bicicletta per postura; fare anche le radiografie e spostare di nuovo le tacchette degli attacchi pedale indietro. Secondo me ha sparato un bel po’ di cavolate. 50 euro. Comunque con un poco di pazienza e pedalando con gli attacchi arretrati le cose sembrano piano piano andare veramente per il verso giusto.
18/06
A seguito di escursionismo abbastanza intenso, con scarponi da 165 euro e plantari da 150 euro comincia a saltar fuori di nuovo un dolore per niente simpatico che diventerà sempre più presente.
07/07
Male all’esterno dell’avampiede sx, faccio le lastre al piede e alla caviglia. 53 euro.
08/07
Sotto consiglio del medico della mutua riesco a fissare un appuntamento da un ortopedico chirurgo “bravo”, prendo la palla al balzo perché arriva da ZZZ solo una volta al mese. Dott. KKK. Dopo la visita scrive piede cavo valgo bilaterale, ma aggiunge alluce rigido iniziale con IF bassa. Poi, con mio immenso stupore chiama il tecnico responsabile dei miei plantari (quello della YYY) che era presente in uno studio adiacente a quello della dottoressa e mi fa consegnare le ortesi; sempre con la mia presenza la dottoressa impartisce alcune modifiche da apportare alle solette. Riparto con le mie Asics senza più alcuna soletta all’interno in attesa dei nuovi plantari che mi giungeranno la settimana seguente. 120 euro.
09/07
Rinuncio ad una lunga escursione in montagna, ma faccio un bel giro in bici, 3.30 h
10/07
Cammino con i miei sandali e mi sembra di rinascere, quel dolorino è quasi assente, va mooolto meglio. Mi sto chiedendo ma ne varrà la pena? Anche ammesso che il difetto sia molto accentuato, dipendere da una soletta che forse sistema una cosa ma ne complica un’altra (anche se sembrano tutti convinti che prevengano eventuali problemi futuri) è un rischio che conviene affrontare?
In genere purtroppo in questi casi occorre una forte personalità e una certa esperienza: “dottore, so per certo che il 90% di chi ha messo i plantari non ha risolto proprio nulla. Lei mi garantisce che con questa soluzione risolverò i miei problemi? Non ne nasceranno degli altri? Sa, in fisica è noto: se ho una forza (peso) che distribuisco sul piede e con il plantare la ridistribuisco in un altro modo, scarico un punto, ma ne carico un altro” ecc. Spesso, il vero problema dell’amatore è che non se la sente di risolvere il problema con un intervento chirurgico, né il medico si sente di proporlo (come invece farebbe con un campione).
Il plantare può essere utile, ma in un numero esiguo di casi. La mia statistica (2000-2017) dà questi dati:
oltre 1.200 runner infortunati cui è stato consigliato il plantare.
A) circa un 15% non ha risolto il problema e ha smesso di correre (a mio avviso sbagliando, perché si possono trovare altre soluzioni).
B) un altro 50% ha buttato il plantare entro sei mesi, ha risolto l’infortunio ed è tornato a correre, correggendo le cause che avevano portato al problema.
C) circa un 20% lo ha portato “per scaramanzia” per più di un anno, ma dopo due anni lo ha abbandonato.
D) un 15% circa lo porta ancora dopo tre anni.
A questi ultimi ho chiesto di fare una controprova (controprova fatta dal gruppo C), correndo cioè senza plantare, ma mi hanno risposto che non se la sentono di rischiare…
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