Le onde d’urto sono alla base della litotrissia, una metodica basata appunto sull’emissione controllata di onde d’urto acustiche ad alta energia. Lo strumento utilizzata per la generazione di tali onde viene detto litotritore. Le onde d’urto emesse dal litotritore, a differenza degli ultrasuoni, non hanno andamento sinusoidale, ma sono impulsive e hanno ampiezza molto maggiore (500 bar contro 0,5).
Esistono tre tipologie di litotritori; essi si distinguono a seconda della modalità di generazione delle onde d’urto (generatori elettroidraulici, generatori piezoelettrici e generatori elettromagnetici).
Ma come funzionano esattamente le onde d’urto? Se vengono applicate a una parte del corpo, il passaggio dell’onda d’urto attraverso ai tessuti ha caratteristiche che sono funzione dei tessuti stessi e, pur non essendo ancora completamente chiare le cause, oltre all’azione meccanica, sembra produrre una rigenerazione dei vasi nella zona investita.
I meccanismi di azione sono due: quello meccanico e quello dovuto alla cavitazione, cioè la formazione di bolle di vapore all’interno di un fluido sottoposto al passaggio di onde pressorie che si susseguono ad alta velocità. Nei tessuti molli la permeabilità di membrana si modifica e aumenta lo scambio ionico intracellulare. Il meccanismo è simile a quello di una frattura quando si ha per reazione una stimolazione alla produzione di tessuti ossei per il ripristino della situazione preesistente. L’aumentata capillarizzazione locale conseguenza del trattamento con onde d’urto provoca una rimozione dei fattori infiammatori.
Da dati sperimentali i migliori risultati si ottengono nelle zone in cui si ha il passaggio da tessuti molli (tendini o muscoli) a tessuti duri (per esempio ossa).
Le onde d’urto erano già applicate negli anni ’80 del secolo scorso in nefrologia per la rottura di calcoli renali e la loro conseguente emissione spontanea. In ambito ortopedico il litotritore ebbe la sua prima applicazione nel 1991.
Onde d’urto e calcolosi delle vie urinarie
Le onde d’urto sono senza ombra di dubbio il trattamento d’elezione in caso di calcolosi delle vie urinarie. Com’è noto, i calcoli sono masse di piccole dimensioni costituite da cristalli di sali di calcio, magnesio o ammonio oppure da acido urico; la loro generazione è dovuta essenzialmente alla mancata eliminazione di sostanze minerali che, in condizioni non patologiche, avviene tramite la minzione. La formazione dei calcoli avviene nei reni, ma da qui possono spostarsi nelle vie urinarie oppure nella vescica.
Tutti i litotritori utilizzati in caso di calcolosi, al di là delle varie modalità di generazione delle onde, funzionano grazie al medesimo principio; essi producono cioè onde d’urto che poi convergono sui calcoli da frammentare. La frantumazione dei calcoli in frammenti di dimensioni ridottissime ne facilita l’espulsione tramite l’emissione di urina.
Esistono sostanzialmente due tecniche di litotrissia: litotrissia extracorporea (metodica di più comune utilizzo) e litotrissia intracorporea.
La litotrissia extracorporea è un trattamento che non richiede anestesia; l’apparecchio utilizzato, il litotritore, esterno al soggetto che si sottopone alla seduta, produce un fascio d’onde d’urto che va a colpire i calcoli frantumandoli; questi vengono individuati tramite ecografia o fluoroscopia.
La litotrissia intracorporea è da considerarsi come vero e proprio intervento chirurgico effettuato per via endoscopica; il litotritore, introdotto all’interno del paziente, produce onde d’urto che si infrangono sulla superficie dei calcoli frantumandoli. Esistono due tipologie di litotrissia intracorporea: nefrolitotrissia percutanea (l’accesso ai calcoli viene reso possibile tramite un foro praticato in sede lombare) e ureterolitotrissia (anche litotrissia ureterale endoscopica); in quest’ultimo caso l’accesso viene effettuato attraverso l’uretra. I frammenti dei calcoli generati dall’intervento di litotrissia intracorporea vengono recuperati tramite appositi cestelli o pinze.
La scelta fra litotrissia extracorporea e litotrissia intracorporea dipende da vari fattori, ovvero sede dei calcoli, loro dimensione e composizione. Quel che è certo è che la litotrissia extracorporea è una metodica decisamente meno invasiva di quella intracorporea e pertanto viene maggiormente tollerata dai pazienti. Peraltro viene effettuata in ambito ambulatoriale e, essendo relativamente dolorosa, necessita al massimo di una blanda sedazione di tipo farmacologico. Il suo limite è rappresentato dal fatto che risulta efficace su calcoli relativamente piccoli (2 cm di diametro al massimo; se il diametro supera i due 2 cm, infatti, l’efficacia risulta drasticamente ridotta), non troppo duri (inutile utilizzarla in caso di caso di calcoli di cistina e di ossalato monoidrato di calcio) e localizzati in zone facilmente accessibili.
Per quanto i danni provocati dai litotritori esterni siano decisamente limitati, non possono essere definiti totalmente trascurabili; esistono infatti controindicazioni assolute a questo tipo di intervento, ovvero presenza di aneurismi aortici o dell’arteria renale, malformazioni scheletriche, disturbi coagulativi non correggibili, gravidanza e obesità.
Chi deve sottoporsi all’intervento di litotrissia extracorporea deve prima sottoporsi a una visita medica tesa a valutare le condizioni cardiovascolari e le capacità coagulative. I soggetti che assumono farmaci antiaggreganti (per esempio l’acido acetilsalicilico e il warfarin) devono sospenderne l’assunzione secondo le indicazioni dello specialista. Di norma, allo scopo di agevolare il processo di espulsione dei frammenti dei calcoli frantumanti, il paziente viene sottoposto a terapia idropinica (trattamento consistente nella somministrazione di notevoli quantità di acque debolmente mineralizzate).
Il post-intervento è spesso gravato da episodi di ematuria e lieve dolenzia renale; questi episodi sono piuttosto comune e la loro importanza è trascurabile. Diverso è il caso di comparsa di una sintomatologia più grave (febbre e forti brividi); se ciò dovesse verificarsi è necessario contattare al più presto i medici che hanno effettuato il trattamento.
Il ricorso alla litotrissia intracorporea è invece riservato a tutti quei casi in cui non sia possibile ricorrere alla litotrissia con litotritore esterno. A differenza di quanto accade nel caso di litotrissia extracorporea, l’intervento in endoscopia richiede l’anestesia generale e conseguentemente un ricovero ospedaliero della durata di alcuni giorni. Più severe possono essere le complicanze (emorragia renale o rottura dell’uretere nel caso si esegua l’intervento di ureterolitotrissia).
Onde d’urto in ambito ortopedico
Per quanto il campo privilegiato d’azione della litotrissia sia quello della calcolosi delle vie urinarie, da diversi anni, i litotritori sono utilizzati anche in ambito ortopedico allo scopo di trattare alcune patologie muscolo-scheletriche, in particolar modo nel caso di periartrite della spalla, epicondilite (il cosiddetto gomito del tennista), epicotrocleite (gomito del golfista), pubalgia, tendinite del gran trocantere, tendinite rotulea, tendinite achillea e fascite plantare (che sia presente o no lo sperone calcaneale).
Patologie ortopediche: le onde d’urto funzionano?
Se per le applicazioni classiche (frantumazione dei calcoli) l’efficacia delle onde d’urto è indiscussa e indiscutibile, in campo ortopedico, dopo una fase di entusiasmo iniziale in cui il litotritore era praticamente consigliato per tutte le patologie ortopediche, attualmente si preferisce usarlo solo per l’azione meccanica, quindi in tutti quei casi in cui sono presenti calcificazioni.
Per l’applicazione su tessuti molli il traumatismo meccanico e il fatto che il trattamento non è indolore fanno preferire altre soluzioni.
Per ogni trattamento si applicano 1.500-2.000 colpi con una frequenza di 120-240 colpi al minuto per una durata che è quindi di dieci minuti circa. Il trattamento, come detto, può essere doloroso e può essere indicata un’analgesia locale oppure, nel caso di pseudoartrosi, anche una sedazione più generale.
Si ricorda che l’utilizzo del litotritore è controindicato in pazienti con disturbi della coagulazione, tenosinoviti infette, osteomieliti, portatori di pacemaker, polineuropatie demielinizzanti. Non devono sottoporsi a litotrissia nemmeno coloro che soffrono di crisi epilettiche.
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