Tutti conoscono l’effetto placebo per cui una sostanza assolutamente inerte viene recepita dal malato come un farmaco in grado di guarirlo e ciò ingenera una situazione psicologicamente favorevole al miglioramento del paziente. In termini più prosaici, se il malato crede che l’acqua fresca sia un medicinale potentissimo, l’acqua fresca qualcosa farà. Questo almeno in tutte le patologie che non hanno un andamento acutissimo e molto grave. Se la sostanza non è biologicamente attiva si parla di effetto placebo puro, se lo è, ma non per la patologia per la quale viene prescritta, si parla di effetto placebo impuro. Il termine placebo deriva dal futuro del verbo latino placere, letteralmente “io piacerò” e indica appunto un’aspettativa fondata solo sulla speranza. Già il greco Galeno (II sec. d.C.) aveva compreso che la guarigione è favorita dal fatto che il paziente abbia più fiducia nella cura proposta. Contrario all’effetto placebo è l’effetto nocebo: un atto terapeutico che provoca un effetto negativo su di un sintomo o una malattia indipendentemente dalla sua specifica efficacia; in genere si tratta di un rapporto scorretto fra medico e paziente dove il medico ha un atteggiamento ansiogeno nei confronti del paziente.
Come funziona
Secondo alcuni autori, l’effetto si baserebbe sull’illusione della certezza perché vincerebbe la paura della malattia con la certezza che il farmaco farà qualcosa, che funzionerà. Secondo alcuni (Humphrey) la certezza mobiliterebbe risorse del sistema immunitario non ancora reclutate (produzione di endorfine, ormoni, mediatori, capaci di modificare la sua percezione del dolore, i suoi equilibri ormonali, la sua risposta cardiovascolare e la sua reazione immunitaria).
Quello su cui i ricercatori non concordano è la percentuale, l’intensità e la durata dell’effetto per una data patologia. Praticamente ha senso considerare l’effetto placebo per patologie con componente psicosomatica (come l’insonnia o la cefalea) dove si sono riscontrati successi che vanno dal 30 all’80% dei casi. Ovviamente l’effetto placebo non cura la causa della malattia e tende a far diventare il malato un malato cronico, cosa che dal punto di vista etico non è positiva.
L’effetto placebo non si basa solo sulla somministrazione del farmaco, ma anche:
- sull’autorevolezza del medico (il “professore” è preferito al neolaureato)
- sul passaparola (un medico consigliato da un amico o una pubblicità rilevante)
- sulla quantità del farmaco somministrato (non solo la dose, ma anche la frequenza)
- sulla modalità di somministrazione (un farmaco iniettabile sarebbe più efficace di uno assunto oralmente)
- sullo spirito critico (non necessariamente legato alla cultura o alla scolarizzazione) del soggetto
L’effetto placebo nella ricerca
Se si considera poi che tale effetto viene usato anche in patologie non psicosomatiche per gonfiare i risultati della ricerca (con miglioramenti per esempio temporanei); per questo motivo le ricerche serie utilizzano sperimentazione in doppio cieco. Si veda l’uso scorretto dell’effetto placebo nella ricerca nell’articolo sul trucco del placebo.
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