Questo articolo vuole mettervi in guardia dall’effetto nocebo che attualmente sta condizionando la vita non solo degli ipocondriaci, ma di moltissime persone. “Effetto nocebo” indica le reazioni negative o indesiderate che un soggetto manifesta a seguito della somministrazione di un falso farmaco del tutto inerte, ma da egli percepito come nocivo. Il termine fu coniato nel 1961 da W. Kennedy in contrapposizione all’effetto placebo. A titolo di curiosità, in Italia il marchio è registrato presso il Ministero dello Sviluppo economico a nome del dott. S. Peci nell’ambito delle attività scientifiche e legali per tutelarne la divulgazione nel modo idoneo e non speculativo. In questo articolo vogliamo sottolineare che l’effetto nocebo può anche riguardare non solo i farmaci, ma anche i comportamenti dei medici, cioè un terapista disorientante. Con “disorientante” non s’intende un medico che sbaglia la diagnosi, ma un terapista la cui personalità sposta, senza sensato motivo, l’attenzione del paziente alla parte negativa della sua situazione. L’effetto nocebo del terapeuta da cosa dipende? Esaminiamo le cause più comuni, tralasciando quella “dolosa” in cui il medico esagera la condizione del paziente per “farsi il cliente”.
Ignoranza
In genere riguarda personale non ancora qualificato che “sale di ruolo” e pensa di acquisire importanza pontificando su situazioni che conosce appena. La mia esperienza personale mi ha fatto scontrare diverse volte con tale situazione: chi legge le analisi e, vedendo un valore elevatissimo di CPK, consiglia “un’immediata visita cardiologica” (la CPK si alza in caso di infarto, ma anche per un semplice duro allenamento la sera prima); il medico che scopre un’ipertrofia cardiaca e “automaticamente” la associa a una condizione patologica senza sapere che esiste anche quella “da sport”; il medico che scopre un soffio al cuore e, non sapendo che può essere una condizione normalissima in atleti (vedasi Cuore d’atleta), consiglia di non fare sport. Ovvio che in questi casi l’effetto nocebo diventa “automatico”: se il ricevente il messaggio non ha una buona coscienza medica, si vede spacciato e pensa seriamente a fare testamento.
Delirio di onnipotenza
In genere il delirio di onnipotenza riguarda tutti quei casi in cui l’effetto nocebo scatta perché il terapeuta pensa di essere in grado di curare (o, peggio, guarire) ogni malattia. Ecco allora che affibbia una cura anche per condizioni che sarebbero comunque borderline o che sarebbero curate con un normale buon stile di vita. Esempi classici sono la pastiglia per il colesterolo o quella per l’ipertensione in tutti quei casi in cui molti medici non prescriverebbero farmaci. Altro caso classico è quello dell’oncologo che, sfidando le conoscenze attuali della medicina, s’incaponisce nella cura di un tumore incurabile, facendo credere al paziente che ci siano possibilità di guarigione (a onor del vero, tale comportamento è comunque molto più comune fra i medici alternativi che spesso si buttano nell’ottimistica cura di malattie come tumori, Parkinson ecc. con la “certezza” della guarigione). Vedasi comunque l’articolo sul delirio di onnipotenza per i dettagli.
Pessimismo personale
Il terapeuta fa scattare l’effetto nocebo per la sua valutazione pessimistica di una situazione che valutata con buon senso è del tutto normale. Un esempio classico è quello del chirurgo che esagera comunque la complessità di un’operazione, da un lato per pararsi da possibili complicanze e dall’altro perché, pessimista per natura, vede sempre il bicchiere mezzo vuoto. È’ ovvio che qualunque intervento possa avere complicanze, ma il serio professionista sa che esistono interventi “banali” (dove cioè la probabilità di complicanze è molto bassa) e altri molto più complessi. Giudicare “potenzialmente complesso” un intervento “banale” serve solo a spaventare il paziente.
Eccesso di prevenzione
Se vogliamo, è una forma di delirio di onnipotenza. Anziché dare farmaci che curano, il terapeuta vuole prevenire una patologia. Per esempio, un otorino che visita un soggetto con un acufene, intrepreta la cosa come un potenziale iniziale sindrome di Menière e, senza ulteriori esami, prescrive un farmaco “da prendersi per tutta la vita per evitare che la situazione peggiori”, farmaco che comunque sarebbe ben lontano dal guarire la patologia! Premesso che la prevenzione è spesso impossibile (ancora oggi molti si stupiscono che giocatori professionisti muoiano per problemi cardiaci in giovane età) e che, più che la prevenzione, è la coscienza medica del singolo a salvare vite (cioè la tempestività con cui il soggetto evidenzia un sintomo grave e si rivolge al medico), occorre dire che l’eccesso di prevenzione è andato aumentando con il crescere della tecnologia. Casi classici sono l’uso di esami poco specifici), cioè con molti falsi positivi come la mammografia per le donne sotto ai 50 anni o il campo visivo per la diagnosi del glaucoma. Prima di pronunciarsi, i medici più seri ricorrono sempre a un insieme di esami e alla loro esperienza personale, altri invece partono in quarta con la cura! L’effetto nocebo è assicurato: sia o no malato, il soggetto avvertirà una penalizzante condizione di invalidità.
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