La vitiligine è una patologia cutanea dalle cause sconosciute e caratterizzata dalla comparsa di aree di depigmentazione di grandezza e forma variabili che possono essere acromiche o ipocromiche.
Si tratta di una patologia relativamente rara; si stima, infatti, che i soggetti colpiti da questo disturbo siano circa l’1% della popolazione mondiale. La fascia di età maggiormente interessata da questo problema è quella che va dai 20 ai 40 anni, ma la vitiligine può colpire anche bambini oppure persone più anziane. Tutte le etnie ed entrambi i sessi sono interessati dal problema, ma sembra esserci una prevalenza maggiore nelle persone di pelle nera (nelle quali, per ovvie ragioni, il problema è particolarmente evidente) e nelle donne.
La vitiligine non è una patologia contagiosa e non incide in alcun modo sulla speranza di vita, ma può avere pesanti ricadute a livello della sua qualità, in particolar modo se localizzata al volto.
Sono due le principali tipologie cliniche della malattia:
- vitiligine bilaterale
- vitiligine segmentale.
Una terza tipologia, la vitiligine perinevica, è una forma piuttosto rara che non è stata ancora inquadrata con precisione.
Vitiligine bilaterale e vitiligine segmentale
La vitiligine bilaterale è la tipologia più comune (circa il 90% dei casi di vitiligine); la sua denominazione è legata al fatto che le aree depigmentate sono perlopiù disposte in modo simmetrico nella zona destra e nella zona sinistra del corpo. Alcuni autori la suddividono nei tre sottotipi seguenti (non tutti però concordano con questa modalità di classificazione considerata puramente descrittiva):
- vitiligine acrofaciale (anche acrofacciale)
- vitiligine generalizzata
- vitiligine focale.
Si parla di vitiligine acrofaciale quando le aree depigmentate interessano soltanto le estremità e il volto; si parla invece di vitiligine generalizzata quando le chiazze che caratterizzano la malattia interessano più del 70% della superficie del corpo; la vitiligine è invece detta focale quando le chiazze sono poche e alquanto stabili nel corso degli anni.

Secondo le più recenti statistiche, la vitiligine colpisce dall’1 al 2% della popolazione italiana
La vitiligine segmentale (o segmentaria) costituisce circa il 10% di tutte le forme della patologia.
In questa forma della patologia le zone depigmentate interessano soltanto una metà del corpo (la destra oppure la sinistra) e la loro disposizione sembra seguire un determinato percorso.
A tutt’oggi non si è riusciti ancora a spiegare il perché di questa particolare disposizione delle chiazze e i pareri dei vari autori sono discordanti. Del resto, sono ancora numerose le questioni irrisolte relative a questa malattia.
In pochi soggetti, vengono osservate sia la forma bilaterale che quella segmentale; si parla in questi casi di vitiligine mista.
Vitiligine perinevica
La vitiligine perinevica è, come accennato in precedenza, una forma di vitiligine non ancora perfettamente inquadrata.
In questa forma della patologia le chiazze dipartono in modo centrifugo da un neo e vanno a formare un alone di colore chiarissimo attorno al neo stesso. I nei interessati da questo fenomeno vengono detti nevi di Sutton (si parla anche di halo nevus), dal nome del dermatologo statunitense Richard Brightburn Sutton che per primo (1916) li descrisse definendo tale condizione come leucoderma congenito acquisito.
È abbastanza frequente riscontrare alcuni nevi di Sutton in caso di vitiligine bilaterale; in alcuni casi i nei scompaiono e la chiazza precedentemente formatasi attorno a esso può ricolorarsi.
Cause
Come detto nella parte iniziale dell’articolo, le cause della malattia non sono note; tuttavia esistono diverse ipotesi sull’origine di questo disturbo. Le più accreditate sono l’ipotesi neurogena, l’ipotesi autoimmune e l’ipotesi autocitotossica.
Secondo l’ipotesi neurogena, il disturbo sarebbe dovuto al fatto che le terminazioni nervose secernerebbero sostanze dannose per i melanociti (le cellule deputate alla melanogenesi, il processo biochimico che porta alla formazione della melanina).
L’ipotesi autoimmune è invece basata sul fatto che, frequentemente, la vitiligine è associata a patologie autoimmuni. Nel siero di soggetti affetti dalla patologia in questione si riscontrano frequentemente vari autoanticorpi (anticorpi anti melanina, anticorpi anti microsoma, anticorpi anti tireoglobulina, anticorpi anti tireoperossidasi ecc.) nonché alterazioni linfocitarie.
In base all’ipotesi autocitotossica invece, il problema deriverebbe dall’autodistruzione dei melanociti causata da un difetto di un meccanismo protettivo naturale.
Segni e sintomi
Fatta ovviamente eccezione per la depigmentazione che può essere più o meno accentuata (le chiazze possono essere acromiche oppure ipocromiche), l’unico sintomo degno di nota che alcuni soggetti affetti da vitiligine riferiscono è il prurito.
Diagnosi e trattamento
Contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, la diagnosi non è sempre immediata; esistono infatti diverse patologie cutanee che possono essere causa della comparsa zone depigmentate (piebaldismo, leucodermi secondari, pitiriasi alba, pitiriasi versicolor, ipomelanosi guttata idiopatica ecc.).
In linea generale, la diagnosi viene effettuata sulla base della raccolta di dati anamnestici, esame obiettivo e test di laboratorio; in alcuni casi il medico può richiedere l’effettuazione di una biopsia.
Fra i vari esami del sangue che generalmente vengono richiesti, oltre all’emocromo, vi sono glicemia, emoglobina glicosilata, omocisteinemia, anticorpi anti DNA nativo, anticorpi anti ANA, anticorpi anti ENA, anticorpi anti tireoglobulina, anticorpi anti tireoperossidasi, anticorpi anti mucosa gastrica, anticorpi anti muscolo liscio, esami tiroidei, IgE totali, paratormone e calcemia.
Per quanto concerne il trattamento, attualmente non esiste una cura definitiva per la vitiligine; sono però disponibili diverse opzioni che possono dare risultati variabili e soggettivi.
Attualmente la terapia maggiormente utilizzata è la fototerapia con l’utilizzo di raggi ultravioletti di tipo B (UVB); gli UVB agiscono sia stimolando i melanociti sia ridurre la risposta immunitaria locale. Dal momento che la terapia non è immune da effetti collaterali, nel corso degli anni sono stati messi a punto macchinari in grado di agire soltanto a livello delle zone interessate dalla depigmentazione.
Un altro tipo di trattamento, da molti considerato ormai datato, è il cosiddetto metodo PUVA (psoraleni e raggi UVA); si tratta sostanzialmente di una terapia che viene utilizzata in quei casi in cui le zone di depigmentazione sono particolarmente estese. Di fatto si interviene con una terapia combinata di sostanze fotosensibilizzanti (gli psoraleni) da assumere oralmente e raggi ultravioletti di tipo A.
La terapia PUVA non è esente da pesanti effetti collaterali, quelli più importanti sono ustioni e problemi di stomaco causati dall’assunzione degli psoraleni.
Altre terapie in uso sono quella con cortisonici, cui si ricorre solo se la malattia è in fase iniziale e le chiazze limitate, e quella chirurgica, peraltro utilizzata solo nel caso in cui la patologia non risponda alle altre cure disponibili.
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