Il tumore al collo dell’utero è una delle forme di cancro più diffuse fra le persone di sesso femminile; può essere di tipo benigno (polipo cervicale o polipo del collo dell’utero) oppure maligno; in quest’ultimo caso si parla anche di cancro della cervice o carcinoma cervicale. Comunemente, comunque, con l’espressione “tumore al collo dell’utero” si fa riferimento alla neoplasia maligna ed è questo tipo di tumore che tratteremo nel resto dell’articolo.
Si tratta di una neoplasia che si sviluppa nell’estremità inferiore dell’utero, detta appunto collo o cervice. Nella stragrande maggioranza dei casi (circa l’85%), il tumore al collo dell’utero origina dall’epitelio spinocellulare (si parla appunto di carcinoma spinocellulare); negli altri casi, circa il 15%, origina dall’epitelio colonnare di tipo ghiandolare (si parla allora di adenocarcinoma della cervice).
Il tumore al collo dell’utero è, come detto, una forma tumorale piuttosto diffusa; nel nostro Paese, secondo i dati più recenti disponibili, ogni anno si registrano quasi 4.000 nuovi casi di tumori alla cervice uterina. La fascia di età che risulta maggiormente interessata dal problema è quella che va dai 55 ai 65 anni; possono però ammalarsi anche donne molto più giovani.
Pre-cancerosi cervicali: cosa sono
Il tumore al collo dell’utero non si sviluppa dal normale tessuto cervicale, ma da zone di tessuto denominate “pre-cancerosi cervicali”; si tratta di alterazioni a carattere benigno e di tipo superficiale del tessuto che riveste la cervice e che si differenziano dal tessuto normale.
Un certo numero (circa il 15% del totale) di pre-cancerosi cervicali, quelle più gravi, si trasformano in tumore in un arco di tempo che va dai 10 ai 15 anni circa. Generalmente, queste alterazioni tissutali non provocano dolore di alcun tipo e, in linea generale, sono asintomatiche. Esse possono essere individuate tramite l’esecuzione di una colposcopia o di un Pap test.
Le pre-cancerosi cervicali vengono identificate con terminologie diverse, per esempio SIL (Squamous Intraepithelial Lesion, lesione squamosa intraepiteliale) oppure CIN (Cervical Intraepithelial Neoplasia, neoplasia cervicale intraepiteliale); con “squamosa” si fa riferimento alle cellule piatte situate sulla superficie del collo dell’utero; con “intraepiteliale” si indica il fatto che le cellule alterate sono presenti soltanto nello strato superficiale. Le modificazioni relative alle cellule superficiali vengono distinte in SIL di basso grado (anche LGSIL) e SIL di alto grado (HGSIL);
Le SIL di basso grado vengono anche denominate displasia lieve oppure CIN 1, mentre le SIL di alto grado vengono anche dette displasia moderata o grave oppure CIN 2 o CIN 3 oppure carcinoma in situ.
Sia le SIL a basso grado che quelle ad alto grado (che sono di maggiore severità) sono alterazioni benigne, interessano solamente la superficie cervicale e possono andare incontro a regressione. Nella maggior parte dei casi, le cellule alterate non subiscono trasformazioni in senso maligno, ma le probabilità che si sviluppi un tumore dell’utero non sono nulle.
Tumore al collo dell’utero – Fattori di rischio
L’infezione da Papilloma Virus Umano (HPV) è il fattore di rischio principale per lo sviluppo del tumore al collo dell’utero. Le vie di trasmissione del virus sono essenzialmente due: i rapporti sessuali o il contatto intimo tra pelle e pelle; il numero di contagiati è elevatissimo; si stima infatti che l’80% delle donne attive sessualmente abbiano contratto, nel corso della loro vita, il virus in questione; in conseguenza di ciò anche molti uomini sono portatori del virus.
Le infezioni da Papilloma Virus Umano sono più frequenti nelle donne che iniziano ad avere precoci rapporti sessuali e in quelle che hanno più partner oppure partner sessualmente promiscui. È necessario ribadire, ancora una volta, che la stragrande maggioranza di infezioni da HPV si risolve senza alcuno strascico; sono davvero poche le infezioni persistenti; queste però possono dare origine a una lesione pre-cancerosa.
Altri fattori di rischio per lo sviluppo del tumore al collo dell’utero sono:
- le malattie veneree (infezioni da Chlamidya trachomatis, Herpes simplex virus di tipo 2 ecc.)
- tabagismo attivo (oltre 15 sigarette al giorno) o passivo
- utilizzo a lungo termine di contraccettivi orali
- sistema immunitario indebolito (per cause iatrogene o in seguito a HIV)
- essere figlia di una donna che in gravidanza abbia assunto DES (dietilstilbestrolo; una molecola di sintesi ad azione estrogeno-simile)
- essere multipara (aver avuto una gravidanza multipla o aver partorito più volte).
La prevenzione del tumore al collo dell’utero passa, in primis, attraverso la vaccinazione per il Papilloma Virus Umano e l’eliminazione, quando possibile, dei fattori di rischio (per esempio un’accurta igiene intima e l’abolizione del vizio del fumo).
Tumore al collo dell’utero – Sintomi e segni
Come già accennato, in genere le lesioni pre-cancerose sono asintomatiche e vengono alla luce soltanto in seguito ai test di screening (Pap test, HPV DNA test ecc.).
Nel caso che, invece, il tumore sia insorto, il segno che si riscontra con più frequenza è il sanguinamento anomalo che può verificarsi dopo un rapporto sessuale, dopo una lavanda vaginale o una visita ginecologica oppure nel periodo che intercorre fra un flusso mestruale e il successivo oppure in menopausa. Un altro segno di tumore al collo dell’utero può essere rappresentato da perdite vaginali anomale.
Fra i vari sintomi del tumore al collo dell’utero vanno segnalati
- dolore pelvico
- dolore lombare
- dispareunia (dolore in seguito a rapporti sessuali)
- sangue nelle urine
- edema degli arti inferiori.
In presenza di uno o più di questi sintomi e segni è decisamente opportuno richiedere una visita al proprio ginecologo.
Diagnosi
Un tumore del collo dell’utero può essere diagnosticato nel corso di una visita ginecologica con l’aiuto di vari test, quelli di screening (Pap test e HPV DNA test) nonché la colposcopia e, a seconda delle dimensioni della neoplasia, l’esame bioptico.
Nel caso di tumori di dimensioni minime (di norma asintomatici), i test di screening consentono l’identificazione delle alterazioni cellulari; in seguito sarà necessario effettuare la colposcopia con biopsia (in determinate circostanze, affinché si possa confermare il sospetto diagnostico, dovrà essere effettuata un’escissione dell’anomalia colposcopica.
Nel caso di tumori di dimensioni macroscopiche (in genere sintomatici, vedi paragrafo precedente) la visita effettuata dal ginecologo può già mettere in evidenza la presenza della neoplasia, sia all’ispezione che alla palpazione. Nel corso della visita si può effettuare il prelievo bioptico, sempre indispensabile per confermare la diagnosi.

Fra i vari sintomi del tumore al collo dell’utero si ricordano in particolar modo: dolore pelvico, dolore lombare, dispareunia (dolore in seguito a rapporti sessuali), sangue nelle urine ed edema degli arti inferiori.
Biopsia positiva: stadiazione del tumore
Nel caso in cui la biopsia risulti positiva per tumore al collo dell’utero, è necessario determinarne la stadiazione; la stadiazione del tumore è fondamentale per la scelta della terapia più adatta; attraverso essa, infatti, è possibile evidenziare se il tumore ha iniziato a invadere i tessuti circostanti, se ha originato metastasi e dove.
I tumori al collo dell’utero hanno la tendenza a diffondersi nelle zone vicine, quelle pelviche, nei linfonodi e nei polmoni, ma, seppure con minore frequenza, può esserci anche il coinvolgimento delle ossa e del fegato. Fra i vari esami che possono essere richiesti per evidenziare l’estensione del tumore vi sono la radiografia del torace, la TAC, la risonanza magnetica nucleare e la PET.
La stadiazione del tumore all’utero prevede 4 stadi:
- stadio I: l’invasione tumorale è limitata; la neoplasia ha invaso la cervice al di sotto dello strato cellulare superiore; le cellule neoplastiche sono presenti soltanto nel collo dell’utero;
- stadio II: il tumore si è esteso anche alla parte superiore della vagina; la neoplasia può estendersi al di là della cervice nel primo tratto dei parametri, i tessuto fibro-adiposi che uniscono l’utero alla parete ossea della pelvi.
- stadio III: il tumore può aver coinvolto maggiormente la vagina e l’intero tratto dei parametri; può risultare coinvolto anche l’uretere con conseguente compromissione della funzione renale;
- stadio IV: il tumore è particolarmente esteso e vengono coinvolti anche la vescica e il retto; il tumore può anche essersi diffuso a organi distanti.
Il tumore del collo dell’utero è definito carcinoma microinvasivo quando le cellule maligne che hanno infiltrato gli strati superficiali della cervice determinano un’invasione inferiore ai 3 mm; se tale invasione è superiore si parla di carcinoma macroinvasivo.
Tumore al collo dell’utero – Cura
La cura del tumore al collo dell’utero prevede l’utilizzo separato o associato di chirurgia, chemioterapia e radioterapia.
A seconda delle circostanze può essere privilegiato un certo tipo di cura oppure si può fare ricorso all’associazione di diversi tipi di trattamento (per esempio, radioterapia e chemioterapia).
L’approccio chirurgico è finalizzato alla rimozione del tessuto neoplastico dalla cervice; se la neoplasia è localizzata soltanto sulla superficie cervicale, il chirurgo provvederà a eliminare la lesione neoplastica nello stesso modo in cui vengono rimosse le lesioni pre-cancerose. Se il tumore ha invaso gli strati cervicali più profondi, ma non si è esteso ad altre zone, il chirurgo può rimuovere la massa tumorale senza effettuare l’asportazione di utero e ovaie. In altri casi invece può essere necessario effettuare un intervento di isterectomia totale o subtotale; l’intervento di isterectomia totale prevede la rimozione di tutto l’utero e della cervice (in alcuni casi vengono rimosse anche le ovaie e le tube di Falloppio), mentre in caso di isterectomia subtotale si procede con la sola rimozione dell’utero conservando la cervice.
A seconda della stadiazione tumorale può essere opportuna la rimozione dei linfonodi della pelvi e/o di quelli lomboaortici al fine di verificare un eventuale coinvolgimento tumorale.
Una valida alternativa alla chirurgia tradizionale, ma non ancora particolarmente diffusa, è la chirurgia robotica, un tipo di chirurgia innovativa che unisce i vantaggi della cosiddetta chirurgia “a cielo aperto” a quella mini-invasiva convenzionale. I vantaggi principali della chirurgia robotica sono la riduzione del dolore post-intervento, una minore perdita ematica nel corso dell’intervento, riduzione dei tempi di ospedalizzazione, riduzione dei rischi di infezione post-operatoria, tempi di guarigione e convalescenza più rapidi e cicatrici chirurgiche ridotte.
La chemioterapia viene generalmente utilizzata in combinazione con il trattamento radioterapico. Nei casi in cui il tumore si sia diffuso ad altri organi, la chemioterapia può essere utilizzata da sola; il trattamento chemioterapico per il tumore al collo dell’utero viene generalmente somministrato per via endovenosa. Questo tipo di terapia non è esente da effetti collaterali; fra i più frequenti vi sono l’abbassamento delle difese immunitarie (con conseguenti maggiori rischi di infezioni), perdita di capelli, perdita dell’appetito, nausea, vomito, diarrea ecc.
La radioterapia va a integrare la chirurgia e la chemioterapia; essenzialmente si distinguono due tipologie di intervento radioterapico: radioterapia a fasci esterni e brachiterapia; la prima utilizza delle radiazioni ionizzanti per irradiare le zone interessate dal tumore; in molti casi il trattamento prevede un ciclo di 5 giorni alla settimana per un periodo complessivo che va dalle 4 alle 6 settimane.
La brachiterapia va a integrare la radioterapia a fasci esterni; viene anche utilizzata per completare il trattamento post-operatorio. Di norma viene effettuata trascorse 2 o tre settimane dal termine del ciclo di terapia a fasci esterni. In alcune parti del mondo la brachiterapia viene considerata come trattamento unico e standard per i tumori del collo dell’utero allo stadio I.
Il follow-up
Tre quarti delle recidive tumorali si verificano entro i due anni dal termine del trattamento. È quindi opportuno che in questo periodo le visite di controllo vengano effettuate con maggiore frequenza; solitamente si consiglia di effettuare una visita ginecologica ogni 3 o 4 mesi; è inoltre indicata l’esecuzione di vari test diagnostici (Pap test, CEA, CA 125 e SCC). A partire dal terzo anno dal trattamento, l’intervallo delle visite può essere allungato (una visita ogni sei mesi); è indicata l’esecuzione annuale di una radiografia toracica e di una TAC addomino-pelvica nel caso di tumori a stadi avanzati.
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