La trombocitemia essenziale è una patologia clonale dalle cause sconosciute che colpisce la cellula staminale emopoietica, ovvero la cellula del midollo dalla quale derivano tutte le cellule circolanti nel sangue periferico (eritrociti, leucociti e piastrine; queste ultime sono note anche come trombociti). Va riferito, a onor del vero, che alcuni autori hanno manifestato qualche dubbio sul fatto che la trombocitemia essenziale possa essere sempre definita una malattia clonale (si parla di malattia clonale quando la proliferazione cellulare origina da un unico progenitore malato); alcuni studi recenti, infatti, sembrano mostrare che non tutti i casi di trombocitemia essenziale siano clonali.
La trombocitemia essenziale (anche trombocitosi emorragica, trombocitosi essenziale, trombocitosi idiopatica o trombocitosi primitiva) è una patologia che si caratterizza per la proliferazione continua e incontrollata della serie piastrinopoietica, ovvero della linea midollare adibita alla produzione delle piastrine, con tendenza alle trombosi e alle emorragie.
La trombocitemia essenziale è considerata una patologia relativamente rara, ma la reale incidenza non è nota; varie fonti parlano di una prevalenza che va da 0,6 a 2,5 nuovi casi su 100.000 abitanti ogni anno; secondo alcuni autori non si registra una prevalenza di sesso, mentre altri parlano di un rapporto femmina-maschio di 2:1.
La malattia viene generalmente diagnosticata tra i 60 e 65 anni di età, ma può manifestarsi in qualsiasi periodo della vita; va però precisato che nei bambini la trombocitemia essenziale è un evento rarissimo, anche se possibile.
Cause
Come riportato in apertura di articolo, le cause della trombocitemia essenziale non sono attualmente conosciute. Circa la metà dei casi sono caratterizzati, al momento della diagnosi, da presenza di una mutazione a carico del gene Janus Kinase-2 (JAK-2), un gene che codifica per una proteina (cioè, detto in termini grossolani, porta le informazioni per la sintesi di una proteina) che ha un ruolo fondamentale nella proliferazione di globuli rossi, piastrine e globuli bianchi.
In un numero minore di casi (poco meno del 5%) si rileva una mutazione di un altro gene (MPL); in un 10-15% dei casi si rilevano, al momento della diagnosi, delle anomalie cromosomiche.
Segni e sintomi di trombocitemia essenziale
I sintomi e i segni che caratterizzano la trombocitemia essenziale sono sostanzialmente legati all’espansione neoplastica (tumorale) della produzione di piastrine; tale espansione porta all’alterazione della funzione piastrinica e aumenta il rischio di insorgenza di trombosi sia arteriose che venose, ma può anche provocare manifestazioni emorragiche.
In linea teorica, ogni distretto dell’apparato vascolare può essere interessato, ma le manifestazioni cliniche che più frequentemente si riscontrano sono trombosi delle vene sovra-epatiche, trombosi delle arterie e delle vene mesenteriche, trombosi della vena porta, trombosi della vena splenica, trombosi dei vasi retinici, trombosi venosa profonda, attacco ischemico transitorio, ictus cerebrale e infarto del miocardio.
Altre manifestazioni sono epistassi, emorragie del tratto gastrointestinale ed emorragia gengivale.
In circa un terzo dei casi sono presenti sintomi quali cefalea, disturbi visivi, parestesie periferiche, ronzii (sintomi vasomotori). Di non raro riscontro è l’eritromelalgia (sensazione di bruciore alle mani e ai piedi associato ad arrossamento e calore).
Soltanto in casi rari il soggetto affetto da trombocitemia essenziale avverte prurito al contatto con l’acqua (sintomo invece caratteristico di coloro che sono affetti da policitemia vera). Un quinto dei soggetti presenta alla diagnosi una splenomegalia (milza ingrossata) di grado lieve; in circa il 15-20% dei casi si registra epatomegalia (fegato ingrossato).
I sintomi e i segni sistemici (calo di peso, febbre e sudorazione notturna) sono piuttosto rari.
Diagnosi di trombocitemia essenziale
Nella gran parte dei casi la diagnosi di trombocitemia primitiva è occasionale. Il sospetto viene posto sulla base di un riscontro di un’elevata conta delle piastrine risultante da un esame emocromocitometrico (emocromo) effettuato per un controllo di routine o per altre motivazioni.
Di norma, l’esame documenta un livello di piastrine maggiore di 450.000/µl. I valori di emoglobina e leucociti sono generalmente nel range di normalità; in alcuni casi si osserva modesta leucocitosi (aumento dei leucociti oltre i livelli considerati normali).
Il sospetto prende una forma più definita in seguito a una seconda conta piastrinica che riporta ancora valori > 450.000/µl, soprattutto se si possono escludere cause di trombocitosi secondaria (patologie infiammatorie, malattie infettive sistemiche, elevato stress fisico, carenza di ferro, neoplasie ecc.
La conferma della diagnosi richiede comunque l’esecuzione di vari esami ematici (emocromo, uricemia, ferritina, acido folico, vitamina B12) e strumentali (elettrocardiogramma e visita cardiologica, ecografia addominale, radiografia toracica, biopsia osteo-midollare, aspirato midollare, screening per trombofilia, ricerca delle mutazioni genetiche tipiche della trombocitemia essenziale) allo scopo di escludere cause secondarie.
L’OMS ha definito alcuni anni fa i criteri diagnostici per la trombocitemia essenziale (tutti i criteri sottoelencati devono essere presenti):
- conta piastrinica maggiore di 450.000/µl;
- proliferazione abnorme della linea megacariocitaria alla biopsia osteo-midollare in assenza di proliferazione delle altre linee (eritroide e granulocitaria);
- assenza di criteri OMS per policitemia vera, mielofibrosi idiopatica o altre forme di patologie mieloproliferative croniche o sindromi mielodisplastiche;
- presenza della mutazione V617F del gene JAK-2 o di altre anomalie clonali o, in assenza di queste anomalie, assenza di cause di trombocitosi secondarie.

Gli esami ematici possono confermare il sospetto di trombocitemia essenziale.
Decorso e sopravvivenza
Non è semplice fare previsioni sulla prognosi della trombocitemia essenziale. In base alle conoscenze attuali si è portati a ritenere che i soggetti affetti da questa patologia possano contare su una mediana di sopravvivenza superiore ai 20 anni dalla diagnosi, mediana che quindi è, sostanzialmente, la stessa dei soggetti sani della stessa età (ricordiamo che la diagnosi di trombocitemia essenziale viene generalmente effettuata verso i 60 anni di età.
Le principali cause di decesso legate a questa malattia sono in primis le complicanze trombo-emboliche e, in secondo luogo, l’evoluzione della trombocitemia essenziale in emopatie con maggiore aggressività (mielofibrosi e leucemia acuta).
Nel corso degli ultimi anni sono stati definiti diversi criteri per identificare quei soggetti che presentano un rischio maggiore di andare incontro a complicanze di tipo vascolare o a un’eventuale evoluzione della malattia in un’emopatia di maggior severità; tali criteri sono:
- età >60 anni
- pregressa trombosi
- pregressi episodi emorragici
- conta piastrinica >1.500.000/µl
- presenza di diabete o ipertensione che necessitano di terapia farmacologica.
Terapia
Lo scopo principale della terapia è quello di prevenire le complicazioni vascolari. In tutti i soggetti affetti da trombocitemia essenziale è indicata la somministrazione di farmaci antiaggreganti (aspirina a basse dosi, 75-100 mg); fanno eccezione i soggetti con precedenti manifestazioni emorragiche o affetti da patologie gastrointestinali potenzialmente a rischio di emorragia (il tipico caso è la gastrite ulcerosa).
Uno stile di vita sano e attivo è fondamentale; i soggetti in sovrappeso dovranno adottare un regime alimentare equilibrato che consenta loro di riportare il loro peso nei limiti della normalità; va ovviamente eliminato il fumo e occorre controllare attentamente i livelli di pressione arteriosa, colesterolo LDL, HDL, trigliceridi, glicemia e acido urico.
I soggetti affetti da trombocitemia essenziale vengono distinti in due grandi categorie: soggetti ad alto rischio vascolare e soggetti a basso rischio vascolare. Le strategie terapeutiche che verranno dipendono molto dalla categoria di appartenenza.
Fra i vari farmaci utilizzati vi sono, oltre all’aspirina, l’idrossiurea, l’interferone e l’anagrelide. Attualmente sono in corso vari studi e sperimentazione per sviluppare terapie farmacologiche più efficaci in grado di agire direttamente sul bersaglio genetico.
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