Tendinite è un termine generico con il quale si indica un processo di tipo infiammatorio a carico di uno o più tendini (robuste formazioni anatomiche di tessuto connettivo fibroso attraverso i quali i muscoli volontari sono collegati al segmento scheletrico sul quale essi prendono inserzione). Ricordiamo che nel corpo umano sono presenti ben 267 tendini. Le patologie che riguardano il tendine (tendinopatie) sono molto frequenti e, sebbene, in linea teorica, possano interessare i tendini di qualsiasi articolazione, le più colpite sono quelle di polso e mano (vedasi per esempio il dito a scatto, anche tenosinovite stenosante dei flessori delle dita), gomiti (epicondilite o gomito del tennista), spalla (tendinopatia della cuffia dei rotatori, una delle manifestazioni cliniche facenti parte della cosiddetta sindrome della cuffia dei rotatori), caviglia (tendinopatia dell’achilleo) e ginocchio (tendinite del quadricipite, tendinite del rotuleo e tendinite del popliteo). Ovviamente le manifestazioni dolorose cambiano a seconda della zona in cui si è verificata l’infiammazione.
Prima di trattare in modo dettagliato l’argomento tendinite è opportuno chiarire il significato di alcune terminologie relative alle patologie del tendine; queste ultime infatti possono essere di diversa natura (è infatti necessaria una diagnosi corretta per poter intervenire adeguatamente): si parla di peritendinite quando è interessato il peritenonio (il foglio connettivale che circonda e protegge il tendine e ne anatomicamente parte), di tenosinovite (anche sinovite tendinea o, più raramente, tenovaginite) quando l’infiammazione riguarda la guaina sinoviale che riveste il tendine e dentro la quale esso scorre, di tenoperiostite (o tendinopatia inserzionale) nel caso in cui il processo infiammatorio riguardi la giunzione fra tendine e osso, di tendinite quando si è di fronte a una patologia che interessa il tendine in toto, ma è di natura acuta e di tendinosi quando la patologia è ormai cronica; la tendinosi, infatti, è una patologia che interessa soprattutto le persone anziane e coloro che continuano a sottoporre a eccessivi sforzi tendini la cui funzionalità risulti già compromessa. Contrariamente alla credenza comune, le patologie in –osi sono più gravi di quelle in –ite (a mo’ di esempio: l’artrosi è una patologia più grave dell’artrite), perché le prime sono associate a uno stato ormai cronico e degenerato della struttura (irreversibile), mentre le seconde sono, perlomeno in teoria, reversibili.
Tendinite – Cause e fattori di rischio
Generalmente la tendinite è provocata dal cronico ripetersi di microsollecitazioni a carico del tendine; a lungo andare infatti tali sollecitazioni provocano un’alterazione a carico delle fibrille (i tendini sono costituiti da una componente cellulare differenziata che è circondata da una matrice extracellulare formata da fibrille, proteoglicani ed elastina) che vengono lesionate in modo più o meno marcato; tali lesioni vengono riparate in modo spontaneo, ma le nuove cellule che entrano in gioco formeranno un nuovo tessuto la cui resistenza sarà minore di quella del precedente; si parla in questi casi (la quasi totalità) di tendinite da sovraffaticamento; è molto difficile che un tendine possa rompersi acutamente a causa di un sovraccarico, infatti, generalmente, una tensione eccessiva su un tendine provoca più facilmente lacerazioni a carico dei muscoli oppure dei segmenti ossei a cui sono collegati; questo perché il tendine è una struttura di per sé molto resistente. La persistenza dei microtraumi invece, come abbiamo visto, finirà per indebolire lentamente la struttura tendinea rendendola più esposta a lesioni più o meno gravi.
I maggiori responsabili della tendinite sono quindi da ricercarsi in un sovraccarico funzionale (o, in termini più semplici, ripetizione esasperata e continua nel tempo di determinati gesti o movimenti); un tipico caso è quello di atleti che incrementano la frequenza e/o l’intensità delle proprie sedute di allenamento (ai runner che ci seguono consigliamo l’attenta lettura dell’articolo Regola del 10%).
In diversi casi l’insorgenza di una tendinite può essere causata, o perlomeno facilitata, dall’indossare calzature poco idonee (rimandiamo all’articolo Scegliere la scarpa da running); anche i runner che corrono su terreni molto duri o, al contrario, eccessivamente morbidi, vedono aumentare le probabilità di incorrere in una tendinite; maggiori rischi corrono anche coloro che effettuano allenamenti su terreni particolarmente sconnessi (si legga l’articolo Terreno ideale per il runner).
Sono soggetti più a rischio di tendinite anche coloro nei quali non vi è un corretto equilibrio fra la forza muscolare (eccessiva) e la resistenza dei tendini; un tipico caso è quello di chi assume steroidi anabolizzanti (in campo sportivo tali sostanze vengono soprattutto usate nel body building e negli sport di potenza come lotta, sollevamento pesi, sprint ecc. allo scopo di incrementare notevolmente la massa muscolare).
Fra i fattori di rischio di una tendinite si possono citare anche un riscaldamento troppo breve o inadeguato (si veda l’articolo Riscaldamento scientifico) prima di iniziare una seduta di allenamento oppure una ripresa delle sedute di allenamento troppo rapida dopo uno stop causato da infortunio (si veda Come riprendere dopo un infortunio).
Oltre alle cause soprariportate che, di fatto, possiamo imputare a un erroneo svolgimento di un’attività fisica, esistono anche altri motivi che possono essere alla base dell’insorgenza di una tendinite come, per esempio, la presenza di malattie quali l’artrite reumatoide, il diabete, la gotta, il lupus eritematoso sistemico, l’insufficienza renale, la sindrome di Reiter ecc.
Altri fattori che possono predisporre il soggetto a tendinite o comunque ad altri tipi di tendinopatia sono quelli di tipo congenito; fra questi possiamo citare il valgismo o il varismo delle ginocchia, la dismetria degli arti, anomalie nelle curve del rachide ecc.
Altri fattori di rischio per la tendinite sono infine l’avanzare dell’età e le variazioni ormonali.
Tendinite – Sintomi e segni
Il sintomo più caratteristico della tendinite è la dolenzia nella zona del tendine interessato dall’infiammazione; la sensazione dolorosa può aumentare, ma anche solamente comparire, quando il soggetto palpa la zona interessata oppure nel caso di movimenti che coinvolgano il tendine interessato. In molti casi la tendinite è associata a una riduzione della forza dei muscoli che sono collegati al tendine o ai tendini colpiti dal processo infiammatorio.
Chi pratica un’attività sportiva percepisce talvolta la presenza del dolore nei momenti iniziali della seduta, ma non durante il prosieguo dell’attività; una volta terminato l’allenamento il dolore può fare di nuovo la propria comparsa.
A seconda della gravità del processo infiammatorio possono essere presenti gonfiore e tumefazione più o meno marcati.
Diagnosi
La diagnosi di tendinite, oltre a un’accurata analisi clinica, si avvale generalmente dell’ausilio di esami strumentali quali l’ecografia e la risonanza magnetica; attualmente l’ecografia muscolo-tendinea è lo strumento più idoneo per la valutazione della condizione dei tendini; l’ecografia muscolo-tendinea, infatti, consente indagini piuttosto precise sui tessuti molli, sulle strutture articolari (cartilagini, menischi e membrane sinoviali) e periarticolari (tendini e legamenti); oltre che per le tendiniti è indicato nel caso di stiramenti, sospetti strappi muscolari, contusioni, cisti, borsiti, ematomi intramuscolari e sottocutanei.
Tendinite del popliteo
Il ginocchio può essere colpito da tre tipi diversi di tendinite: la tendinite del quadricipite, la tendinite del rotuleo (approfondimenti sono reperibili nel nostro articolo Il tendine rotuleo) e la tendinite del popliteo. Il popliteo è un muscolo posizionato sotto al plantare e ai gemelli, le sue funzioni principali sono quelle di flettere e ruotare all’interno la gamba; il tendine popliteo è il tendine che gestisce tale muscolo e fa parte del compartimento esterno del ginocchio (insieme al legamento collaterale laterale, al tendine bicipite femorale e alla bandelletta ileotibiale).
La tendinite del popliteo non è una patologia particolarmente frequente, è un processo infiammatorio che colpisce il tendine a livello della sua inserzione sull’epicondilo laterale del femore. La sua comparsa è favorita dalla corsa su fondi inclinati o su percorsi collinari (l’atleta “tallona” per rallentare quando si trova su un percorso in discesa e il tendine subisce sollecitazioni anomale a livello inserzionale); la presenza di piede valgo o pronato favoriscono l’insorgere di questa patologia. Il soggetto affetto da tendinite del popliteo avverte la comparsa di dolori acuti sul lato del ginocchio, sia durante l’attività fisica sia al termine della seduta allenante. La sintomatologia dolorosa può persistere anche a riposo, specialmente se, in posizione seduta, si accavallano le gambe. L’esame obiettivo permette di riscontrare il dolore locale alla pressopalpazione, dolore che si accentua quando il paziente effettua la flessione del ginocchio.
La diagnosi differenziale deve essere posta con altre svariate cause di dolore postero-esterno del ginocchio fra cui la sindrome della bandelletta ileotibiale (il cosiddetto “ginocchio del corridore”), la meniscopatia laterale, la tendinite del bicipite femorale e la sindrome canicolare dello sciatico popliteo esterno.
Il soggetto colpito da tendinite del popliteo deve osservare un periodo di stop di circa 20 giorni effettuando terapie di tipo self come la crioterapia; trascorso tale periodo, nel caso il problema persista, si può prendere in considerazione un intervento terapeutico a base di infiltrazioni con glucocorticoidi.
Alla ripresa degli allenamenti, l’atleta dovrà valutare attentamente la possibilità di modificare, nel proprio allenamento, l’impiego di fondi che possano favorire l’insorgenza della patologia in questione come, per esempio, i terreni collinari o la spiaggia (contrariamente a quanto molti credono, la corsa sulla sabbia non è un buon metodo d’allenamento).
Tendiniti – Valutazione dei problemi in base al livello di gravità
Questo paragrafo è generale, ma è stato scritto pensando soprattutto a quella che è la tendinite più comune dello sportivo: quella al tendine d’Achille (per approfondimenti rimandiamo comunque al nostro dettagliato articolo Tendinopatia dell’achilleo). Infatti, quando la tendinite colpisce altre sedi, di solito il soggetto ricorre, se non al medico, almeno al fisioterapista (a tal proposito ecco come scegliere quello giusto). È invece incredibile come per le patologie riguardanti il tendine d’Achille sia comune un atteggiamento “fai da te”, come se fosse inevitabile soffrirne e inutile intervenire, visto che “tutti quelli che corrono ne soffrono”.
Come detto nel paragrafo relativo alla diagnosi, l’esame chiave per le patologie del tendine è l’ecografia che oltre a rilevare lo stato del tendine può evidenziare anche calcificazioni. Un metodo alternativo di valutazione delle patologie tendinee utilizza il livello di gravità della patologia stessa. Occorre molta attenzione nell’usarlo perché certi tendini (come il rotuleo) possono dare sintomatologia modesta che induce a trascurare il problema con conseguente cronicizzazione della patologia.
Livello 0 – La patologia consente di correre normalmente, si manifesta al termine dell’allenamento, ma in genere scompare entro l’allenamento successivo. Terapie preferite in questa fase sono il ghiaccio (fondamentale e utilissimo), le pomate (la cui utilità è del tutto da provare e sono uno dei casi classici in cui anche la medicina tradizionale propone farmaci che non soddisfano la legge di guarigione totale), i cerotti antinfiammatori.
Livello 1 – Come il livello 0, ma è necessario l’uso di antinfiammatori sistemici (per via orale) per risolvere il problema entro l’allenamento successivo. Poiché l’impiego degli antinfiammatori non può essere prolungato all’infinito è necessario considerare il livello 1 come stato provvisorio che necessariamente evolve verso il basso (guarigione) o verso l’alto verso livelli più critici.
Livello 2 – Il problema non scompare entro l’allenamento successivo. È necessario intervenire con riposo e/o terapie fisioterapiche. Si legga l’articolo Scelta del fisioterapista per comprendere come idromassaggi, ultrasuoni, laser a infrarossi, ionoforesi ecc. spesso siano soltanto palliativi che sfruttano l’effetto tempo per arrivare alla guarigione. Con il solo riposo si va da un minimo di 7 gg. per le peritendiniti leggere (normalmente 15 gg.) fino a quattro-sei mesi per le tendiniti reversibili più gravi. È possibile utilizzare terapie più sofisticate (laser neodimio-Yag, tecarterapia, litotritore ecc.) che possono ridurre i tempi, ma di solito non fanno miracoli (una buona terapia può ridurre i tempi della metà). A livello 2 gli errori tipici da non fare sono:
- non eseguire accertamenti (ecografia)
- non rivolgersi a un ortopedico sportivo.
L’intervento di un medico, oltre a definire esattamente i contorni della patologia, in alcuni casi risolve il problema con mesoterapia, infiltrazioni o autoinfiltrazioni (sangue del paziente infiltrato nella zona malata con cellule staminali che possono accelerare il ripristino tendineo). L’uso di cortisonici deve comunque essere considerato come del tutto occasionale in quanto i danni ai tessuti da impiego ripetuto sono ormai evidenti a tutti.
Livello 3 – Il più grave che richiede l’intervento chirurgico.
Un ultimo consiglio: una volta individuato il livello, agite di conseguenza: è inutile sperare nei miracoli.
Tendinite e farmaci
Esistono molti farmaci che possono creare problemi acuti o cronici ai tendini, soprattutto se sono soggetti all’usura sportiva. Primi fra tutti i corticosteroidi (cortisone) che, se assunti in dosi significative per lungo tempo, sclerotizzano i tendini, riducendone l’elasticità. La cosa è nota, ma di solito non preoccupa più di tanto gli sportivi sia perché i corticosteroidi sono considerati doping (e quindi non dovrebbero essere assunti se non per motivi di salute) sia perché un’assunzione occasionale per una determinata patologia non presenta gravi rischi.
Purtroppo esistono molti altri farmaci che influenzano negativamente i tendini e alcuni in modo più rapido e più grave degli stessi corticosteroidi. Ne elenchiamo tre, invitando lo sportivo a leggere sempre il foglietto illustrativo dei medicinali che assume.
Statine – Da un articolo di qualche anno fa (Four cases of tendinopathy in patients on statin therapy, Chazerain et altri, Joint Bone Spine 2001; 68: 430-3) risulta evidente la possibilità di tendinopatie in soggetti trattati con statine, farmaci che riducono l’ipercolesterolemia inibendo l’HMG-CoA reduttasi, un enzima che limita la velocità di conversione di HMG-CoA (idrossi-metil-glutaril Coenzima A) ad acido mevalonico, precursore degli steroli. I tendini interessati sono stati quelli estensori delle mani, il tibiale anteriore e il tendine d’Achille. In genere dopo la sospensione del farmaco la patologia si risolse entro uno o due mesi. Anche se ovviamente il numero di casi limitato non può far concludere nulla di sicuro, è importante che chi si avvicina a una moderata attività sportiva per potenziare l’effetto dei farmaci anticolesterolo sappia che eventuali tendinopatie possono essere messe in relazione con la terapia farmacologica.
Ciproxin – Si tratta di un antibiotico (ciprofloxacina) del gruppo dei chinoloni e viene utilizzato in un gran numero di infezioni. Dal foglietto illustrativo: “In casi sporadici, in corso di terapia con fluorochinolonici si possono manifestare infiammazioni e lesioni con rottura dei tendini. Alla comparsa dei primi sintomi di tendinite, quali dolori e/o edema, interrompere il trattamento, mettersi a completo riposo e avvisare il proprio medico per l’adozione delle opportune misure terapeutiche. Fattori predisponenti alla rottura, soprattutto a carico del tendine d’Achille, sono età superiore ai 60 anni, esercizio fisico intenso, trattamento a lungo termine con corticosteroidi, fase precoce di deambulazione con pazienti a letto”.
Betaistina – Si tratta di una sostanza che ha un’azione di blocco sui recettori H3 e di parziale agonismo sugli H1 ed H2 (ad azione per alcuni versi simile all’istamina, attiva nei processi infiammatori) e viene usata come antivertigine in diversi farmaci come Vertiserc o Microser. In genere viene somministrata ad alte dosi per prevenire nuovi crisi vertiginose (per esempio 15 mg tre volte al giorno) in quanto agisce come H1-agonista, inibendo specificatamente i neuroni del nucleo vestibolare laterale. Purtroppo viene somministrata spesso a sproposito anche in casi di semplice acufene (il foglietto illustrativo specifica comunque chiaramente che in tal caso non esistono prove certe di efficacia, anzi).
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