Fra le varie cause di dolore alla spalla, una abbastanza comune è la tendinite calcifica, una condizione patologica che si caratterizza per l’accumulo di depositi di calcio a livello dei tendini della cuffia dei rotatori (quello più frequentemente coinvolto è il sovraspinoso, seguono in ordine il sottospinoso, il piccolo rotondo e il sottoscapolare, coinvolgendo talvolta il capo lungo del bicipite; in alcuni casi anche la borsa sottoacromiale può essere coinvolte, generalmente nella fase di riassorbimento); va precisato che le calcificazioni tendinee sono un fenomeno molto comune, ma non sempre sono sintomatiche.
Di norma il problema è monolaterale (generalmente è il lato dominante a essere coinvolto), ma non mancano in letteratura casi di tendinite calcifica bilaterale. La possibilità che in soggetto affetto da tendinite calcifica monolaterale
I soggetti maggiormente interessati da questo tipo di disturbo sono gli over 30 (la fascia maggiormente colpita risulta essere quella che va dai 30 ai 40 anni), in particolar modo le donne di razza bianca (una categoria di lavoratrici particolarmente colpita è quella delle casalinghe).
Alcune persone sembrano essere maggiormente predisposte di altre all’insorgenza di tendinite calcifica; si tratta di soggetti affetti da patologie endocrine e/o dismetaboliche (malattie tiroidee, disordini ormonali, diabete mellito ecc.).
In circa un quinto dei casi, la malattia si manifesta in coloro che hanno lesioni alla cuffia dei rotatori e in particolare quei soggetti affetti da frozen shoulder (“spalla congelata”) e coloro che hanno un profilo dell’osso acromiale curvo oppure a uncino.
La tendinite calcifica è una patologia piuttosto insidiosa; si presenta solitamente con un dolore particolarmente intenso (al punto da diventare quasi invalidante) senza che vi siano giustificazioni apparenti per la sua insorgenza.
Per quanto la patologia possa risultare compromettente anche per le più banali attività quotidiane, non la si può definire in sé una patologia grave e, in molti casi, arriva a risolversi spontaneamente.

Nell’80% dei casi la tendinite calcifica della spalla interessa il tendine del sovraspinato con una localizzazione intratendinea
Tendinite calcifica – Cause
A oggi le cause della tendinite calcifica sono ignote; vi sono diverse teorie, ma nessuna di esse ha un sostegno scientifico del tutto inequivocabile. Secondo alcuni autori il problema potrebbe essere legato all’assetto ormonale, dal momento che la patologia colpisce in modo decisamente più frequente le donne.
Un’altra teoria, condivisa da molti autori, chiama in causa la riduzione di ossigeno alla cuffia dei rotatori come conseguenza del processo di invecchiamento.
Le fasi della malattia
Si possono sostanzialmente distinguere due fasi di malattia: una fase formativa e una fase di riassorbimento.
Nel corso della fase formativa, le cellule tendinee si modificano per un processo detto di “metaplasia” trasformandosi in cellule produttrici di calcio; nel corso della fase di riassorbimento (quella più dolorosa) il deposito di calcio assume una consistenza che possiamo paragonare a quella di un dentifricio. Il fatto che la fase di riassorbimento sia quella generalmente più dolorosa è probabilmente legata al fatto che i depositi di calcio esercitano una certa pressione internamente al tendine.
Sintomatologia e diagnosi
Il sintomo principale della tendinite calcifica è sicuramente il dolore alla spalla, solitamente localizzato nella regione anteriore e/o in quella laterale. Il dolore può diventare particolarmente intenso quando il soggetto eleva il braccio; può essere più o meno continuo e costante ed esacerbarsi improvvisamente. Il dolore può manifestarsi anche nelle ore notturne, a prescindere che il braccio venga mosso o no.
Per la diagnosi è necessaria una radiografia; dal momento che la proiezione antero-posteriore semplice può non bastare, di norma viene richiesta la proiezione con il braccio in intrarotazione ed extrarotazione.
L’esecuzione di un’ecografia può facilitare il medico nella precisa localizzazione del problema.
La risonanza magnetica non è necessaria per la diagnosi, ma può risultare utile nell’evidenziazione di eventuali lesioni di cuffia associate.
Tendinite calcifica – Rimedi
In molti casi è possibile trattare il paziente affetto da tendinopatia calcifica in modo conservativo (ovvero non chirurgico); questa scelta trova giustificazione nel fatto che in molti casi, come già accennato, la patologia si risolve in modo spontaneo.
Il trattamento conservativo può essere effettuato ricorrendo a farmaci antinfiammatori per via orale (per ridurre il dolore) e fisioterapia (per migliorare un’eventuale rigidità o comunque la quasi sempre presente limitazione funzionale).
A seconda dei casi, lo specialista potrebbe anche prescrivere le infiltrazioni di cortisone.
I tempi di risoluzione non sono facilmente definibili; alcune persone guariscono nel giro di poche settimane, ad altre occorrono diversi mesi.
Un’altra possibilità terapeutica è rappresentata dalle onde d’urto (litotrissia), una metodica il campo privilegiato è quello della calcolosi delle vie urinarie, ma che da diversi anni, viene impiegata anche in ambito ortopedico allo scopo di trattare alcune patologie muscolo-scheletriche. Sull’opportunità di ricorrere a questa tecnica, non tutti gli autori sono concordi.
Fra i rimedi possibili va senz’altro citata la litoclasia di spalla (o, più tecnicamente litoclasia percutanea ecoguidata di spalla o ablazione percutanea ecoguidata delle calcificazioni di spalla) è una procedura relativamente recente che consente che consente di sciogliere le calcificazioni dell’articolazione della spalla; si tratta di una procedura che ha dimostrato una buona efficacia nelle calcificazioni formatesi da poco, singole, ma di grandi dimensioni.
Più raro il ricorso agli ultrasuoni. Secondo alcuni autori può essere d’aiuto il cortisone associato a ionoforesi. Il ricorso alla chirurgia è sicuramente l’extrema ratio; al trattamento chirurgico è necessario arrivare quando si sono esaurite tutte le possibilità di trattamento conservativo (10% dei casi circa). Di norma, per la rimozione dei depositi di calcio, si ricorre alla chirurgia artroscopica, tecnica affidabile con un’ottima percentuale di riuscita. La chirurgia dovrà essere seguita da sedute di fisioterapia e riabilitazione.
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