La spondilite anchilosante è una patologia reumatica infiammatoria cronica e autoimmune le cui cause sono tuttora sconosciute.
La spondilite anchilosante rientra nel gruppo delle cosiddette spondiloartriti sieronegative, gruppo che comprende altre gravi patologie quali l’artrite psoriasica, l’entesoartrite enteropatica, l’entesoartrite reattiva, la sindrome SAPHO e le entesoartriti indifferenziate. Tra le spondiloartriti, la spondilite anchilosante è la patologia che viene riscontrata con più frequenza ed è quella il cui decorso è caratterizzato da maggiore severità.
La spondilite anchilosante colpisce in particolar modo il rachide e le articolazioni sacroiliache, ma il suo coinvolgimento può estendersi anche alle articolazioni periferiche; dopo l’artrite reumatoide è la patologia reumatica più comune.
La patologia colpisce più frequentemente i soggetti di sesso maschile (l’incidenza è di circa 3 volte più elevata); solitamente fa il suo esordio nel periodo di vita compreso tra i venti e i quaranta anni di età.
Il fatto che questa patologia sia molto più frequente in soggetti che hanno un parente di primo grado che ne è stato colpito (la frequenza è mediamente 15 volte superiore) e quello che nella stragrande maggioranza dei portatori di spondilite anchilosante venga riscontrata la presenza dell’antigene HLA B27 (90% dei casi) suggeriscono una predisposizione di tipo genetico, anche se alcuni autori ritengono che vi siano dei fattori di tipo ambientale il cui ruolo è determinante per l’esordio della malattia. È comunque doveroso chiarire che l’antigene HLA B27 viene riscontrato anche in soggetti che non sviluppano la malattia. I soggetti affetti da spondilite anchilosante che non presentano l’antigene HLA B27 sviluppano solitamente forme della patologia meno aggressive.
Nota – La spondilite anchilosante è detta anche morbo di Bechterew, pelvispondilite anchilopoietica o spondiloartrite anchilosante).
Spondilite anchilosante – Sintomi e segni
La spondilite anchilosante esordisce frequentemente con il mal di schiena (lombalgia); solitamente il dolore si manifesta durante il riposo notturno (con conseguenti disturbi del sonno) e tende a migliorare con il movimento, in particolar modo quando la spondilite anchilosante si trova nelle sue fasi d’inizio. Nei primi tempi, l’andamento del dolore è ciclico, ma in seguito la frequenza è sempre maggiore fino a diventare continua.
Il soggetto portatore di spondilite avverte la lombalgia come una sorta di fasciatura dolente di intensità variabile e la cui localizzazione non è particolarmente agevole; difficilmente la dolenzia che viene avvertita è di tipo acuto. Solitamente il dolore si irradia a livello della natica e comunque interessa una vasta zona del bacino; in altri casi può addirittura arrivare fino al ginocchio (si parla in questi casi di sciatica mozza).
La sintomatologia della spondilite anchilosante non interessa solo lo scheletro, ma può colpire anche altri organi o apparati; tra le manifestazioni non articolari, ancorché non tutte particolarmente frequenti, si ricordano l’uveite, la fibrosi apicale polmonare, l’insufficienza aortica, angina pectoris, pericardite, prostatite, nefropatia, amiloidosi renali e lesioni ileo-coliche.
Tra i sintomi sistemici della spondilite anchilosante si ricordano la febbricola, l’astenia, diminuzione del senso di fame e calo ponderale.
Tra le complicanze della spondilite anchilosante vi sono l’osteoporosi e le fratture a essa secondarie, coxite, sublussazione atlo-epistrofea, spondilodiscite, sindrome della cauda equina ecc.
A lungo termine, il processo infiammatorio a carico della colonna vertebrale può essere causa della completa fusione della colonna stessa (la cosiddetta colonna a canna di bambù, un quadro radiografico tipico della spondilite anchilosante).
Nei casi in cui la patologia interessi le strutture costo-vertebrali e quelle costo-sternali, è possibile il verificarsi di una diminuzione della normale espansibilità toracica, condizione che porta spesso a dispnea e a una ridotta adattabilità respiratoria agli sforzi che vengono compiuti. Una spondilite anchilosante non trattata è quasi sempre causa di disabilità.
Diagnosi
Nelle fasi iniziali la diagnosi di spondilite anchilosante non è particolarmente agevole; ciò dipende dal fatto che la sintomatologia è alquanto aspecifica e per di più la sua ricorrenza è di tipo ciclico. Sono questi i motivi per i quali, molto spesso, la diagnosi di spondilite anchilosante è spesso tardiva.
Non è invece difficoltosa una diagnosi di tale patologia quando essa è ormai in fase avanzata; il dolore piuttosto caratteristico, la tipicità della postura, la presenza dell’antigene HLA B27 e l’alterazione dei parametri di laboratorio di VES e proteina C reattiva, uniti ad altri parametri, rendono la diagnosi abbastanza semplice. Sfortunatamente, quando la patologia è conclamata, i danni subiti dalle strutture anatomiche non sono più reversibili e anche la disabilità conseguente non è totalmente recuperabile. Sarebbe quindi di fondamentale importanza diagnosticare la malattia il più precocemente possibile allo scopo di evitare il più possibile le pesanti conseguenze e complicanze.
La precocità della diagnosi non può venire dagli esami radiografici (determinate alterazioni infatti sono rilevabili soltanto dopo alcuni anni dall’esordio della malattia), comunque necessari quando si tratta di porre la certezza diagnostica, mentre la risonanza magnetica può consentire una diagnosi precoce.
Il problema fondamentale è, nelle fasi iniziali, intuire la presenza della malattia, considerando che la sintomatologia non aiuta particolarmente.
Spondilite anchilosante – Cure
La cura della spondilite anchilosante si basa sulla corretta e costante esecuzione di esercizi di tipo fisico e sull’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei (i cosiddetti FANS); relativamente agli esercizi di tipo fisico sono fondamentali la quotidianità e la costanza.
Le molecole più utilizzate in questo tipo di patologia sono l’indometacina, l’ibuprofene, il ketoprofene, il diclofenac, il celecoxib ecc. Il dosaggio di tali molecole deve essere studiato in moda garantire il miglior rapporto fra benefici ed effetti collaterali.
L’utilizzo di corticosteroidi e di DMARDs (Disease-Modifying Antirheumatic Drugs), farmaci utilizzati anche nel trattamento dell’artrite reumatoide, è riservato ai casi più severi.
Di recente introduzione nella terapia della spondilite anchilosante sono alcune molecole ottenute grazie a tecniche di biotecnologia genetica, in particolare l’infliximab, l’etanercept e l’adalimumab. Tutte queste molecole hanno mostrato una certa efficacia nei casi di spondilite anchilosante particolarmente aggressiva.
Come tutti i farmaci, anche quelli sopracitati, non sono scevri da effetti collaterali (infezioni a livello delle mucose dei tratti respiratorio e urinario, infezioni della cute, rash, tachicardia ecc.). Sono inoltre molecole particolarmente costose e il loro impiego trova giustificazione soltanto in casi particolarmente severi e resistenti ad altre tipologie di cura. L’impiego di tali farmaci deve essere evitato nei soggetti affetti da linfoma, da coloro sono stati precedentemente colpiti da patologie neoplastiche e dai soggetti affetti da scompenso cardiaco.
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