La sindrome da stanchezza cronica (più raramente sindrome da fatica cronica) è una malattia le cui cause non sono ancora note. Tale patologia, nota anche con l’acronimo CFS (Chronic Fatigue Syndrome), colpisce generalmente i sistemi endocrino, immunitario e neurologico. Può colpire tutti i gruppi di età (anche i bambini, ma i casi di malattia in soggetti sotto i 12 anni sono veramente molto rari) ed entrambi i sessi (in particolar modo però quello femminile; il rapporto infatti è 4:1).
La patologia è diffusa in tutto il mondo; tutte le fasce di reddito sono interessate dal problema, ma vi sono varie ricerche che mostrano che si registra una maggiore diffusione nelle fasce a basso reddito.
Secondo alcune stime nel nostro Paese sarebbero circa 300.000 i soggetti colpiti dalla sindrome da stanchezza cronica, sono perlopiù giovani adulti di età compresa fra i 18 e i 45 anni.
Sindrome da stanchezza cronica: attenzione alle definizioni
Si deve fare attenzione a non confondere la sindrome da stanchezza cronica con la stanchezza cronica; quest’ultima è infatti un sintomo ricorrente in molte altre patologie ed è solo uno dei tanti criteri che soddisfano la diagnosi di CFS. È molto probabile che molti presunti casi di sindrome da stanchezza cronica siano in realtà casi di semplice stanchezza cronica.
La sindrome da stanchezza cronica presenta vari gradi di gravità e, nei casi più seri, può seriamente compromettere la qualità della vita di un soggetto.
Una precisazione doverosa: la definizione “sindrome da stanchezza cronica” non raccoglie la totale condivisione della comunità scientifica; nel 2011, infatti, un gruppo di medici e ricercatori ha raccomandato di non utilizzare tale definizione, bensì quella di encefalomielite mialgica, una patologia contemplata da tempo anche nelle classificazioni dell’OMS (codice ICD G93.3).
Sindrome da stanchezza cronica: le cause
Come accennato all’inizio, a tutt’oggi non si è ancora riusciti a stabilire quali siano le cause della sindrome da stanchezza cronica. Negli anni ci si è concentrati su eventuali problemi del sistema immunitario dal momento che vi è una serie di agenti infettivi che sembrano essere coinvolti nel quadro clinico di una stragrande maggioranza di persone colpite dalla sindrome da stanchezza cronica, ma non è chiaro se tali agenti infettivi (fra quelli presi in considerazione si ricordano il virus di Epstein-Barr, l’herpesvirus umano 6 e il virus della leucemia del topo) siano il risultato delle disfunzioni immunitarie piuttosto che la causa.
La ricerca indaga anche in campo neurologico, ma, anche in questo caso, non si è certi se le varie problematiche neurologiche riscontrate siano le cause della patologia oppure semplici conseguenze della patologia stessa.
Si è anche notato che molti soggetti affetti da sindrome da stanchezza cronica presentano anomalie nei valori di ormoni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Anche in questo caso è necessario stabilire se le due condizioni sia una conseguenza dell’altra.
Alcune ricerche mostrano che coloro che sono in sovrappeso e non fanno attività fisica presentano un rischio maggiore di ammalarsi.
Fra i fattori di rischio viene inserito anche lo stress.
Definizione clinica della sindrome da stanchezza cronica
Per poter parlare di sindrome da stanchezza cronica devono essere soddisfatti diversi criteri che riassumiamo brevemente.
Primo criterio: spossatezza – Il soggetto avverte un senso di spossatezza sia fisica che mentale non spiegabile, persistente o comunque ricorrente, che causa una sostanziale riduzione del livello di attività del soggetto stesso.
Secondo criterio: malessere e/o spossatezza post-sforzo – Il soggetto presenta un’eccessiva perdita di resistenza sia fisica che mentale; è affaticato sia muscolarmente che intellettivamente, avverte malessere, fatica e dolore (tali segni possono essere contemporanei o meno) dopo aver eseguito una determinata attività; è presente inoltre un peggioramento di tutti gli altri sintomi. È riscontrabile inoltre una patologica lentezza nei tempi di recupero per il quale occorrono almeno 24 ore.
Terzo criterio: disfunzione del sonno* – La qualità del sonno è pessima. Il sonno non riesce a ristorare il soggetto che ha problemi di quantità e/o di ritmo del sonno.
Quarto criterio: dolore* – Il livello del dolore avvertito dal soggetto è significativo. La dolenzia può essere presente a livello muscolare e/o articolare; spesso è diffusa e migrante. Il paziente inoltre soffre spesso di forti cefalee.
Quinto criterio: manifestazioni neurologico-cognitive – Il soggetto presenta due o più delle seguenti manifestazioni di tipo neurologico-cognitivo: stato confusionale, riduzione del livello di concentrazione, riduzione della memoria a breve termine, disorientamento, difficoltà nell’elaborazione delle informazioni, difficoltà nel recuperare e catalogare i termini, problemi di tipo percettivo e sensoriale. Sono molto comuni atassia, stanchezza muscolare e fascicolazioni. Possono verificarsi inoltre problemi quali fotofobia, ipersensibilità al rumore e sovraccarico emotivo.

La sindrome da stanchezza cronica colpirebbe in Italia circa 200-300.000 persone. Circa la metà dei pazienti non ne accusa più i sintomi 5 anni dopo il primo episodio.
Sesto criterio: presenza di almeno un sintomo di almeno due delle categorie di manifestazioni autonomiche, neuroendocrine e immunitarie – Il soggetto deve presentare almeno un sintomo di almeno due delle seguenti categorie:
- manifestazioni autonomiche: intolleranza ortostatica, capogiro pre-sincope; pallore estremo; nausea, sindrome dell’intestino irritabile; disfunzioni nella frequenza urinaria e disfunzioni della vescica; palpitazioni con o senza presenza di aritmia cardiaca; dispnea da sforzo.
- Manifestazioni neuroendocrine: perdita della stabilità termica, marcate modificazioni del peso dovute a anoressia o a eccessivo appetito, problemi di adattabilità e peggioramento della sintomatologia in condizioni di stress.
- Manifestazioni immunitarie: laringite, faringite, sintomatologia simil-influenzale, sensazione di malessere generale, nuove sensibilità ad agenti chimici, alimenti o farmaci, linfoadenopatia.
Settimo criterio: la patologia persiste da almeno sei mesi e generalmente ha un’insorgenza certa** nonostante possa essere graduale – Il limite dei sei mesi è ridotto a tre se il soggetto in questione è un bambino. L’inclusione dei sintomi prevede che essi debbano essere iniziati o comunque abbiano presentato significative alterazioni dopo l’insorgenza della patologia. È poco probabile che un soggetto presenti contemporaneamente tutta la sintomatologia indicata nel quinto e nel sesto criterio.
* Un numero limitato di pazienti non è colpito da nessun tipo di dolore o da problemi relativi alla qualità del sonno, ma non è possibile soddisfare altri tipi di diagnosi se non quella di sindorme da stanchezza cronica.
** Certi soggetti hanno avuto problemi di salute prima dell’insorgenza dalla sindrome da stanchezza cronica e non vi è quindi la presenza di un fattore scatenante che possa definirsi scatenante e presentano un’insorgenza più graduale o subdola.
Sindrome da stanchezza cronica: diagnosi differenziale
Secondo una posizione classica, prima di poter parlare con certezza di sindrome da stanchezza cronica è fondamentale escludere la presenza di patologie la cui sintomatologia sia per gran parte sovrapponibile a quella della CFS come, per esempio, morbo di Addison, morbo di Cushing, ipertiroidismo, ipotiroidismo, forme anemiche, emocromatosi, diabete mellito, apnea ostruttiva, apnea centrale del sonno, artrite reumatoide, LES, sclerosi multipla, morbo di Parkinson, miastenia grave, malattia di Lyme ecc.
Nel caso in cui il paziente presenti una stanchezza cronica che si prolunga da almeno sei mesi, ma non vengano soddisfatti criteri sufficienti a porre la diagnosi di sindrome da stanchezza cronica e siano state escluse altre patologie si parla di stanchezza cronica idiopatica.
Come vedremo nel paragrafo Scienza e non chiacchiere, tale approccio presenta molti inconvenienti e dovrebbe essere sostituito da una valutazione scientificamente più corretta che viene descritta più avanti.
Cura della sindrome da stanchezza cronica
Non esiste una cura in grado di guarire definitivamente la sindrome da stanchezza cronica; come succede per altre patologie croniche, gli interventi di tipo farmacologico mirano soprattutto ad alleviare la pesantezza della sintomatologia. I farmaci più usati sono quindi corticosteroidi (generalmente usati a bassi dosaggi per alcuni mesi), immunomodulatori, immunoglobuline, antinfiammatori, antivirali, anticonvulsivanti, antidepressivi e integratori.
Sindrome da stanchezza cronica: una malattia da business
Cosa significa il titolo di questo paragrafo?
La sindrome da stanchezza cronica è una delle varie patologie (un’altra classica malattia da business è la fibromialgia) che possono ingenerare un vortice di false informazioni perché attorno a essa ruota un business legato non solo alle cure, ma anche alla ricerca. Tipicamente, con una malattia da business ognuno propone una cura, ognuno propone un filone di ricerca, ognuno propone una causa: tutti pensano di essere i depositari delle verità assolute.
Virus? – Secondo una ricerca pubblicata su Science (ottobre 2009), una delle cause determinanti la sindrome da stanchezza cronica potrebbe essere un retrovirus (un virus che si replica in modo inverso) che normalmente attacca i topi, lo xenotropic murine leukemia virus-related virus (XMRV). Nello studio (condotto da ricercatori del Whittemore Peterson Institute che si trova presso l’Università del Nevada, del National Cancer Institute che fa parte del National Institutes of Health e della Cleveland Clinic) 68 pazienti su 101 ammalati sono risultati positivi, contro gli 8 del gruppo di controllo. Si è anche verificato anche che il 95% (contro il 3-7% della popolazione normale) dei soggetti malati ha sviluppato gli anticorpi al retrovirus che può restare silente nel Dna senza provocare infezione. Non si può certo escludere di trovarsi di fronte a una situazione simile a quella del virus dell’AIDS dove non esistono ancora certezze sul fatto che il virus sia la causa primaria della malattia, bensì una causa secondaria che scatenerebbe una serie di eventi a cascata in individui già predisposti geneticamente oppure per altri motivi.
Personalità? – Una ricerca comparsa sul Journal of Psychotherapy and Psychosomatics ha coinvolto 500 persone: 113 erano affetti da sindrome da fatica cronica, 264 avevano un malessere che però non “combaciava” con la diagnosi della sindrome, 124 erano persone del tutto sane. I risultati della ricerca non lasciano dubbi: il 29 per cento dei pazienti con sindrome da stanchezza cronica ha almeno un disturbo della personalità contro il 7 per cento dei controlli sani. I pazienti sono risultati più propensi ai pensieri negativi e meno estroversi; nel complesso, con tendenza all’isolamento e ai disturbi dell’umore.
La nostra posizione – Non occorre essere premi Nobel della medicina per capire che le malattie da business hanno moltissimi falsi positivi. Nei casi più eclatanti probabilmente possono esistere più cause (compromissione del sistema immunitario, attacchi virali ecc.), ma in genere si parte da una condizione del soggetto non ottimale. Chi prima di manifestare i sintomi soddisfaceva tutte e dieci le caratteristiche di un buon stile di vita? Il prossimo paragrafo illustrerà che anche nel caso della sindrome da stanchezza cronica si potrebbero facilmente diagnosticare i veri malati separandoli da quelli “immaginari”.
In Italia molte diagnosi di sindrome da stanchezza cronica sono solo il risultato del solito delirio di onnipotenza di medici, convenzionali e no: non so fare una diagnosi e procedo per esclusione (lo stesso processo che porta a dire: non conosco la causa di un fenomeno, è un miracolo!).
Abbiamo ricevuto una sintesi dell’attuale situazione sulla sindrome da stanchezza cronica da una paziente che ha fotografato magistralmente il fatto che la discussa metodologia diagnostica a esclusione Fukuda della sindrome da stanchezza cronica porta ineluttabilmente a tutte le considerazioni fatte nel paragrafo precedente.
La patologia viene chiamata ME/CFS come compromesso, la ME (encefalomielite mialgica) esiste ed è classificata dal 1959 dall’OMS come neurologica con codice ICD 10 G93.3; la CFS invece no.
Alcuni medici dicono che la CFS e la ME sono la stessa patologia, altri no.
La sindrome da stanchezza cronica viene diagnosticata per esclusione, escludendo cioè altre patologie con sintomi simili, il CDC pur ammettendo l’esistenza della ME, nelle linee guida della diagnosi ad esclusione non ne richiede l’esclusione. Perché, visto che i sintomi sono tanto simili da indurre molti medici a considerarle come la stessa patologia?
Oggi le associazioni di malati e i medici internazionali hanno concordato di usare l’insieme dei due nomi per evitare che i malati con diagnosi di sindrome da stanchezza cronica che hanno ottenuto rimborsi per esami, cure e assistenza perdano i diritti acquisiti dopo tortuose e lunghe pratiche legali laddove esiste una assistenza medica esclusivamente privata; per quanto riguarda le ricerche mediche si deve sempre tenere in considerazione l’alta possibilità di errore diagnostico insito nella diagnosi CFS ad esclusione, a oggi le ricerche mediche più affidabili vengono considerate quelle fatte su pazienti con diagnosi di ME o di ME/CFS con linee guida canadesi.
Un nome nuovo (CFS) dato a una patologia vecchia (ME), inventato per favorire le assicurazioni mediche private, facendo loro risparmiare molti soldi sia per gli esami (per la ME sono richiesti SPECT ed esami specifici), sia per l’assistenza.
Sarebbe pertanto corretto, nei confronti dei malati, dare il giusto nome alla patologia, che è ME ovvero myalgic encephalomyelitis (encefalomielite mialgica). Il nome CFS ha danneggiato molto i malati e per diversi motivi:
1) Le ricerche mediche vengono danneggiate dalle diagnosi di CFS fatte ad esclusione, l’alta possibilità di errore diagnostico ne falsa i risultati.
2) Il nome della patologia porta coloro che non conoscono la sintomatologia a pensare che si tratti di una malattia che dà come unico sintomo un po’ di stanchezza, quando invece porta con sé tutta una serie di disturbi altamente invalidanti.
3) Nei criteri diagnostici Fukuda della sindrome da stanchezza cronica viene richiesto come essenziale per la diagnosi un periodo di sintomatologia di almeno sei mesi –periodo favorevole per indagini- periodo che determinerà il decorso (riposo e integratori mirati possono modificare notevolmente l’evolversi della patologia tanto che si è verificato che le migliori opportunità di remissione o di guarigione avvengono proprio nel primo periodo di malattia).
Un commento ai paragrafi del vostro articolo.
DEFINIZIONE CLINICA – Il criterio della persistenza della patologia di almeno sei mesi è un altro punto dolente, ogni malattia ha un prognosi migliore se curata tempestivamente e il periodo di insorgenza risulta prezioso per le indagini delle cause, per la prognosi e per una maggiore speranza di regressione, ignorare questo periodo come una opportunità è a tutti gli effetti un grave danno per i malati.
Altra cosa azzardata è dire che in Italia esistano centri specializzati: esistono strutture dove viene diagnosticata la sindrome da stanchezza cronica per esclusione, dove però i malati non vengono né seguiti né monitorati in modo soddisfacente anche perché non essendo la patologia riconosciuta da SSN non vengono forniti adeguati finanziamenti e i malati di fatto sono abbandonati a sé stessi.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE – È fondamentale escludere la presenza di patologie con segni e sintomi simili, ma sarebbe molto meglio per i malati avere una maggiore certezza della diagnosi, questo sarebbe possibile se venissero adottate le linee guida canadesi di diagnosi della ME/CFS. Molte delle patologie indicate non vengono in realtà escluse per la diagnosi di sindrome da stanchezza cronica.
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