Retinite pigmentosa (RP) è una terminologia con la quale ci si riferisce a un gruppo di patologie ereditarie diverse fra loro che sono accomunate da un processo degenerativo evolutivo che determina una diminuzione dell’efficienza dei recettori retinici, i coni e i bastoncelli (cellule nervose fotosensibili che hanno il compito di trasformare le sensazioni di colore, le forme e l’intensità della luce in impulsi nervosi).
Retinite è un termine utilizzato impropriamente dal momento che le patologie in questione non sono malattie di tipo infiammatorio, ma di tipo degenerativo; sarebbe pertanto più corretto parlare di retinopatia pigmentosa, ma l’uso improprio di questa terminologia è ormai universalmente accettato e utilizzato comunemente anche dagli addetti ai lavori.
La retinite pigmentosa è, insieme al glaucoma, una delle cause più comuni di peggioramento della visione e nella stragrande maggioranza dei casi, in particolar modo nei soggetti più anziani, porta alla perdita completa della vista.
Retinite pigmentosa – Sintomi
Sono tre i principali sintomi che caratterizzano la retinite pigmentosa:
- cecità crepuscolare e notturna
- restringimento del campo visivo
- aumento della sensibilità all’abbagliamento.
Cecità crepuscolare e notturna – I soggetti affetti da retinite pigmentosa si trovano in difficoltà quando vi sono condizioni in cui l’illuminazione è scarsa (per esempio nelle ore serali o in quelle notturne) e anche quando devono passare da zone illuminate a zone più buie. Questi problemi sono provocati dalla degenerazione dei bastoncelli.
Restringimento del campo visivo – Chi soffre di retinite pigmentosa ha difficoltà a individuare oggetti posti lateralmente; può avere inoltre problemi nel notare ostacoli posti in basso. Il restringimento del campo visivo ha andamento progressivo e può arrivare a coinvolgere la parte centrale dell’occhio con conseguente perdita della visione.
Aumento della sensibilità all’abbagliamento – La retinite pigmentosa, come del resto tutte le degenerazioni che interessano la retina, è caratterizzata da una spiccata fotofobia (sensibilità alla luce), si ha la perdita dei contrasti ed è difficile percepire con chiarezza l’ambiente circostante.
Come si fa la diagnosi
Quando i sintomi tipici della retinite pigmentosa sono tutti presenti, la diagnosi è generalmente molto semplice. Essa si avvale di diverse tecniche diagnostiche: esame del visus, esame del fondo oculare, esame del campo visivo, fluoroangiografia, elettroretinogramma.
L’esame del visus è un esame oculistico grazie al quale è possibile valutare l’acutezza visiva della retina; a tale scopo si utilizza una particolare tabella denominata ottotipo. Con i decimi si indicano il numero di righe dell’ottotipo che si è in grado di leggere. Convenzionalmente, la visione di un occhio normale è fissata in dieci decimi anche se alcuni soggetti sono in grado di arrivare a leggere oltre.
L’esame del fondo oculare (noto anche come esame del fundus oculi) è un esame diagnostico che viene effettuato tramite oftalmoscopia. L’esame del fondo oculare permette una valutazione della retina relativamente alla sua colorazione generale, alla sua vascolarizzazione, alla struttura delle sue fibre nervose ecc. In un occhio sano la colorazione del fondo oculare è rosso brillante. Nella stragrande maggioranza delle retiniti si ha la presenza di particolari macchie pigmentose sulla superficie della retina, ma esistono alcune tipologie di retinite che, pur in presenza della stessa sintomatologia, non presentano macchie sul fondo oculare.

La retinite pigmentosa compisce in media una persona ogni 4.000 individui.
L’esame del campo visivo (il campo visivo è la porzione di spazio che viene percepita di fronte a sé da un occhio immobile; un campo visivo normale ha un’estensione superiore ai 90 gradi temporalmente, di 60 gradi nasalmente e superiormente e di circa 70 gradi inferiormente) consente la valutazione della sensibilità della retina a uno stimolo di tipo luminoso. Questo esame è importante per l’oggettivazione delle difficoltà che il soggetto percepisce.
La fluorangiografia è un esame effettuato con l’ausilio di uno strumento denominato fluoroangiografo, strumento che permette di provocare la fluorescenza di una sostanza, la fluorescina, che viene iniettata per via endovenosa e raggiunge i vasi sanguigni delle strutture dell’occhio; la fluorangiografia consente la visualizzazione di arterie, capillari e vene e permette di valutare lo stato funzionale delle loro pareti. Esiste un colorante, il verde indocianina, che consente un’analisi molto accurata delle strutture più profonde.
L’elettroretinogramma è una tecnica diagnostica con la quale è possibile misurare l’attività retinica dopo che questa è stata stimolata con dei flash luminosi. L’esame dura circa 40 minuti e deve essere eseguito previa dilatazione delle pupille (midriasi, ottenuta tramite appositi colliri). Nella diagnosi di retinite pigmentosa, l’elettroretinogramma riveste un’importanza fondamentale perché, anche quando la patologia è ai suoi esordi, il tracciato è generalmente estinto e appiattito.
Retinite pigmentosa – Decorso e cure
Il decorso della retinite pigmentosa, pur potendo essere anche molto lungo, è caratterizzato, sfortunatamente, da un’inesorabile progressività. Nella stragrande maggioranza dei casi la sintomatologia si aggrava e l’esito finale è purtroppo una cecità di tipo assoluto.
Le cure proposte per trattare la retinite pigmentosa sono molteplici, sia di tipo farmacologico (assunzione di vitamina A palmitato, antocianosidi, vasodilatatori, estratti di placenta, vitamine, gangliosidi, nucleosidi ecc.) che di tipo fisico (ossigenoterapia iperbarica, filtri, privazione della luce), ma, attualmente, non esiste una cura risolutiva che consenta la guarigione o perlomeno una sensibile riduzione della progressione di tale patologia.
Al momento attuale i filoni più promettenti nella ricerca di una cura per la retinite pigmentosa sono la genetica, i trapianti di tessuto retinico e l’immunologia.
Una speranza – Un’equipe guidata dallo svizzero Botond Roska (Istituto Friedrich Miescher) è riuscita a riattivare i fotorecettori di topi affetti da retinite pigmentosa, utilizzando un gene di una proteina (alorodopsina) capace di reagire alla luce, dando una speranza alle persone che hanno perso la vista a causa di questa malattia (2010).
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