La pubalgia è una mioentesite (un’infiammazione muscolo-tendinea) che interessa i punti di inserzione sull’osso pubico di diversi muscoli: adduttori, pettineo, piramidale, retti addominali, obliqui addominali e trasversi addominali. Se si generalizza il termine, intendendo come pubalgia una qualunque sindrome dolorosa interessante la regione addomino-pubo-crurale, è possibile, secondo Jarvinen, identificare ben 72 cause di pubalgia, non solo malattie tendinee, muscolari, ossee o articolari, ma anche patologie infettive, tumorali, borsiti, intrappolamenti nervosi ecc. La pubalgia, che rappresenta una delle condizioni cliniche più discusse in medicina sportiva, è stata descritta per la prima volta nel secolo scorso da Spinelli (Una nuova malattia sportiva: la pubalgia degli schermitori – Orthop Trauma App Mot. 4: 111, 1932). Risale invece al 1949, grazie a Bandini, il primo accostamento della pubalgia ai praticanti il gioco del calcio (Sindrome retto-adduttoria nei giocatori di calcio).
La pubalgia viene considerata dai vari autori una condizione non semplice da inquadrare, sia per la complessità della regione anatomica interessata sia per le frequenti sovrapposizioni, al quadro clinico, di altre condizioni patologiche. Comunque sia, alla base di tutte le teorie patogenetiche man mano proposte, vi è sempre il sovraccarico funzionale associato ai microtraumi ripetuti nel tempo (ricordiamo che con l’espressione sovraccarico funzionale si fa riferimento a una ripetizione esasperata e persistente nel tempo di alcuni gesti).
La sindrome pubalgica non interessa solo gli atleti di un certo livello, ma anche i praticanti di attività sportive a livello amatoriale.
Secondo il parere di molti autori, gli atleti maggiormente a rischio sono i calciatori, seguiti dai praticanti l’hockey, il rugby e la corsa di resistenza. Non risultano comunque esenti dal rischio anche coloro che praticano pallanuoto, pallamano, basket, corsa a ostacoli e salto in alto.
Relativamente al gioco del calcio, l’insorgere della pubalgia sembra trovare ragione nei molti gesti tecnici che lo caratterizzano (cambi repentini di direzione, contrasti, dribbling, scatti, salti ecc.); non facilitano le cose le corse su campi di calcio dal fondo sconnesso né il continuo atteggiamento iperlordotico al quale i calciatori sono costretti per esigenze legate alla loro disciplina sportiva. A chi pratica il football consigliamo la lettura del nostro articolo Pubalgia del calciatore.
Inquadramento clinico della pubalgia
Per quanto concerne l’inquadramento clinico della pubalgia, una delle classificazioni maggiormente condivise dagli autori è quella secondo la quale la pubalgia farebbe riferimento alle tre sottostanti entità anatomo-cliniche che possono presentarsi sia singolarmente sia fra loro associate:
- tendinopatia inserzionale degli adduttori
- sindrome sinfisaria
- sindrome della guaina del retto addominale.
La tendinopatia inserzionale degli adduttori della coscia (in particolar modo il muscolo adduttore lungo e il muscolo pettineo) è relativa all’azione di continui e ripetuti microtraumi a livello dell’inserzione scheletrica del bacino di muscoli adduttori. Il punto maggiormente critico di tali inserzioni muscolari è la sinfisi pubica, un’articolazione fibrocartilaginea che si trova al centro del bacino e che rappresenta, di fatto, la zona nella quale vanno a scaricarsi le forze ascendenti e discendenti dei muscoli coinvolti.
La sindrome sinfisaria (nota anche come osteo-artropatia della sinfisi pubica) è legata da ipersollecitazioni croniche dei muscoli adduttori sulla sinfisi pubica (ovvero l’articolazione fra le due ossa pubiche). Gli stiramenti continui a cui sono sottoposti i muscoli adduttori possono provocare, a lungo andare, un cedimento dell’articolazione in questione. Il risultato è un’instabilità di quest’ultima la cui conseguenza è un’alterazione dell’equilibrio del bacino. Spesso questa situazione di instabilità si viene a creare durante la cosiddetta “età dello sviluppo”, un periodo nel quale la sinfisi pubica è già di per sé stessa piuttosto debole.
La sindrome della guaina del retto addominale (nota anche come sindrome del nervo perforante del retto addominale nel calciatore) coinvolge diversi muscoli: gli addominali (retto, obliqui, trasversi), gli adduttori (brevi, lunghi e grandi adduttori) e/o altri muscoli del bacino (pettineo e piramidale). È caratterizzata da un dolore che raggiunge il suo apice nel momento in cui il calciatore sta per calciare oppure quando calcia con forza il pallone, entrambi movimenti che richiedono una notevole tensione dei muscoli dell’addome. Questa forma di pubalgia è ampiamente e dettagliatamente trattata nel nostro articolo La pubalgia del calciatore e a esso rimandiamo per tutti gli approfondimenti del caso.
Un cenno va anche alla classificazione dei quadri clinici della pubalgia proposta da Benazzo e collaboratori nel 1999; in base a questa classificazione si distinguono tre grandi gruppi clinici.
Il primo gruppo è costituito dalle tendinopatie inserzionali dei muscoli adduttori e/o dei muscoli addominali che talvolta possono essere associate a osteo-artropatia della sinfisi pubica. Le lesioni che fanno parte di questo gruppo sono, secondo il parere degli autori, quelle maggiormente riscontrabili in coloro che praticano il gioco del calcio.
Fanno parte del secondo gruppo le lesioni della parete addominale, soprattutto quelle relative al canale inguinale.
Il terzo gruppo comprende invece tutte quelle cause meno ricorrenti di pubalgia che non possono essere ricondotte direttamente a patologie che interessano la parete addominali. Sono esempi di questi quadri clinici, definiti dagli autori come pseudo-pubalgici, le sindromi da compressione nervosa a carico dei nervi ilioinguinale, femorocutaneo, femorale, perineale, genitofemorale, le lacerazioni o le distrazioni dei muscoli ileopsoas, quadrato femorale, otturatore interno, le lesioni di tipo osseo quali l’osteite pubica, le fratture da stress a carico delle ossa iliache e della testa del femore, le lesioni da stress a carico della sinfisi pubica, neoplasie, osteomieliti, osteocondriti disseccanti ecc.
C’è comunque da dire che non tutti gli autori sono concordi con le visioni cliniche sopraesposte e sono molti altri gli inquadramenti clinici che sono stati proposti nel tempo.
Fattori predisponenti
Secondo i vari autori esistono diversi fattori predisponenti l’insorgenza della pubalgia. Generalmente tali fattori vengono suddivisi in intrinseci ed estrinseci. Sono considerati fattori intrinseci le patologie che interessano l’anca oppure l’articolazione sacro-iliaca, una notevole asimmetria degli arti inferiori, l’iperlordosi, gli squilibri funzionali tra muscoli addominali (deboli) e muscoli adduttori (forti e rigidi) e una muscolatura ischio-crurale scarsamente elongabile.
Tra i fattori estrinseci vengono invece citati i terreni di gioco sconnessi o comunque inadeguati all’attività sportiva, gli allenamenti qualitativamente e/o quantitativamente scorretti e l’inadeguatezza dei materiali utilizzati per la pratica sportiva (il tipico esempio è quello dei calciatori che utilizzano tacchetti eccessivamente lunghi sui terreni secchi o tacchetti troppo corti in caso di terreni allentati).
Pubalgia e gravidanza – La pubalgia interessa spesso le donne in gravidanza. In realtà, secondo alcuni autori, parlare di pubalgia non è del tutto corretto e preferiscono definire il disturbo come diastasi della sinfisi pubica. Si tratta essenzialmente di un disturbo, a volte molto doloroso e fastidioso, che è legato alla lassità della sinfisi pubica in seguito al marcato rilascio di un ormone, la relaxina.
Pubalgia – Sintomi e segni
I principali sintomi legati alla pubalgia sono il dolore e l’impotenza funzionale; quest’ultima è ovviamente legata all’intensità del dolore.
Il dolore colpisce la zona dell’inguine per estendersi alle zone circostanti e può portare all’interruzione dell’allenamento o della competizione. Nei casi più lievi della patologia, il dolore compare solitamente al risveglio e si manifesta quando si inizia l’attività fisica; tende poi a scomparire una volta che si è effettuato il riscaldamento. Diverso il caso delle forme più gravi; in questi casi il dolore si manifesta molte volte in modo improvviso ed è tale che spesso il soggetto è costretto a interrompere lo svolgimento dell’attività; in alcuni casi la dolenzia è così intensa che persino la semplice deambulazione è difficoltosa. In questi casi il dolore è continuo e si aggrava con il movimento.
La pubalgia comunque, in molti casi, può consentire comunque la prosecuzione dell’attività; è questo l’errore più grave che si può commettere. È necessario invece un periodo di stop di 20 giorni che serve (oltre a identificare la causa del problema e predisporsi a eliminarla alla ripresa) a risolvere i casi meno gravi e a evitare il degenerare della patologia verso quadri dove si rischia di avere problemi anche a camminare. Se il problema persiste dopo il periodo di stop, l’ortopedico con l’esame obiettivo riscontra un forte dolore a livello inguinale alla pressopalpazione. Anche alcuni movimenti specifici degli adduttori provocano dolore.

Sottovalutare la pubalgia è un grave errore; se non si interviene in modo tempestivo, infatti, ci sono buone probabilità che la situazione si cronicizzi.
Diagnosi
L’esame clinico si fonda solitamente su diversi test muscolari facilmente eseguibili basati sulla contrazione e sulla distensione passiva; fra questi ricordiamo il test per il muscolo ileopsoas, il test per il muscolo retto dell’addome, i test per i muscoli adduttori, il test per i muscoli obliqui dell’addome e il test per il muscolo otturatore esterno.
Il medico deve tenere conto del fatto che altre patologie possono presentare sintomi simili a quelli della pubalgia (ernie inguinali, patologie urologiche o ginecologiche, intrappolamenti nervosi) ed eventualmente valutare la possibilità di esami non ortopedici (erniografia, test della lidocaina ecc.). La radiografia (scintigrafia, risonanza magnetica o TAC) consente di individuare eventuali lesioni a livello dell’osso pubico, mentre l’ecografia rileva problemi alle strutture miotendinee.
Pubalgia – Rimedi
Sottovalutare la pubalgia è un grave errore; se non si interviene in modo tempestivo, infatti, ci sono buone probabilità che la situazione si cronicizzi. Il riposo, che è fondamentale, avrà una durata variabile; dipende infatti dalla gravità della situazione; si può andare da qualche settimana a qualche mese. Superfluo ricordare che si dovranno evitare movimenti o gesti bruschi; è sconsigliato anche sollevare grossi pesi da terra.
In genere l’inefficacia del periodo di stop dà al medico le giuste indicazioni per comporre il cocktail di terapie di aggressione della pubalgia. Si deve precisare che la terapia conservativa è quella che dà i migliori risultati (stretching, potenziamento muscolare ecc.), anche se non è facile trovare abili terapisti della riabilitazione che sappiano indicare il programma di cinesiterapia corretto.
L’efficacia di terapie fisiche spesso consigliate quali litotrissia, laserterapia, ipertermia, crioultrasuoni, ionoforesi, mesoterapia non è scientificamente né statisticamente provata. In casi particolari e generalmente più gravi si può ricorrere all’intervento chirurgico. Anni addietro si interveniva direttamente sul tendine allo scopo di ripulirlo; attualmente invece si ricorre a interventi chirurgici mini-invasivi che sfruttano le radiofrequenze e si effettua soltanto un’incisione superficiale del tessuto interessato dal problema.
Pubalgia e corsa – Teoria e pratica
Per chi pratica la corsa, secondo la teoria, la pubalgia viene spesso provocata dal sovraccarico nei punti di inserzione degli adduttori, dovuto a:
- attività su fondo irregolare
- scarpe inadeguate
- scarso equilibrio fra la muscolatura degli arti inferiori e quella addominale (condizione possibile in chi corre)
- infortuni precedenti non ben recuperati
- incremento quantitativo (o qualitativo) troppo rapido dei carichi d’allenamento.
In pratica la nostra statistica rileva che la pubalgia è un infortunio piuttosto raro al di fuori dei seguenti casi:
- abbinamento corsa-calcio (soprattutto calcetto; incidenza: 45% dei casi di pubalgia)
- sovrappeso in relazione alla distanza abitualmente percorsa (il runner non rispetta la distanza massima consigliata dal suo rapporto peso/altezza; incidenza: 30% dei casi di pubalgia)
- allenamenti collinari frequenti con ritmi eccessivi in discesa (incidenza: 15% dei casi di pubalgia).
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