La pericardite è un processo di natura infiammatoria o infettiva che coinvolge il pericardio e in cui, frequentemente, si verifica la formazione di un essudato che si riversa nella cavità pericardica.
La struttura interessata dalla patologia è il pericardio, una sottile membrana di tipo fibroso che circonda il cuore e che svolge varie funzioni; fra le più importanti vi sono quella di mantenere il cuore in sede e quella di proteggerlo dagli attacchi esterni. Il pericardio è costituito da due strati, uno esterno, detto pericardio fibroso e uno interno detto pericardio sieroso; quest’ultimo è a sua volta costituito da due foglietti, il foglietto parietale e il foglietto viscerale; tra questi due foglietti è normalmente presente una quantità di liquido (liquor pericardico) che varia dai 20 ai 50 ml circa e che serve a impedire che i due foglietti sfreghino fra loro permettendo così al cuore di muoversi liberamente mentre batte.
Frequentemente, il liquor pericardico tende ad aumentare di quantità; se l’aumento è particolarmente consistente c’è il pericolo di una limitazione della funzionalità cardiaca; viene cioè a verificarsi quell’evento noto come tamponamento cardiaco. Fortunatamente, questa evenienza è abbastanza rara e, nella maggior parte dei casi, la patologia ha decorso benigno.
Forme di pericardite
La pericardite è una malattia per la quale sono state proposte diverse classificazioni. Vediamo le principali.
Dal punto delle cause scatenanti si distinguono queste forme:
- idiopatica
- infettiva
- non infettiva
- da patologie autoimmuni
- traumatica.
La forma idiopatica si ha quando non si è in grado di distinguere né i meccanismi né l’agente causale della patologia in questione.
Quella infettiva può avere varie cause quali virus (coxsachievirus A e B, adenovirus, virus HIV, virus Epstein-Barr, paramyxovirus ecc.), batteri (legionella, neisseria, pneumococco, stafilococco, streptococco ecc.), funghi (candida, istoplasma ecc.), parassiti (Entamoeba histolitica, Echinococco, Toxoplasma) e altri agenti patogeni come, per esempio, il Mycobacterium tubercolosis.
Rientrano nei casi di pericardite non infettiva quella associata a infarto miocardico acuto, quella associata a insufficienza renale cronica, le pericarditi neoplastiche (che possono essere causate da neoplasie primitive del pericardio oppure da metastasi di neoplasie interessanti altre strutture), quella indotta da radioterapia e quella iatrogena.
Si parla di pericardite da patologie autoimmuni quando il problema è scatenato da quest’ultimo tipo di malattie; quelle coinvolte più frequentemente sono l’artrite reumatoide, il LES e la sclerodermia.
Infine, in determinate situazioni, la malattia può essere originata da eventi traumatici.
Dal punto di vista isto-patogenetico si distinguono le sottostanti tipologie:
- sierosa
- fibrinosa e siero-fibrinosa
- emorragica
- purulenta
- caseosa.
Si possono avere pericarditi sierose quando il processo è scatenato da patologie virali o sistemiche; quelle fibrinose e siero-fibrinose sono generalmente relative a problematiche post-chirurgiche oppure legate a patologie quali l’infarto miocardico acuto o le collagenopatie.
Quelle emorragiche sono generalmente legate a processi tubercolari o neoplastici; quelle purulente vedono invece coinvolti solitamente agenti batterici o micotici, mentre le pericarditi caseose sono generalmente relative processi di tipo tubercolare.
Dal punto di vista clinico la pericardite viene distinta in:
- acuta
- subacuta
- cronica.
La forma acuta si ha quando il suo decorso risulta inferiore alle sei settimane. Spesso si tratta di pericarditi fibrinose (o siero-fibrinose), essudative o purulente.
La forma subacuta si ha quando il suo decorso ha una durata compresa tra le sei settimane e i sei mesi; si tratta spesso di pericarditi di tipo essudativo-costrittivo (associate a tamponamento cardiaco) oppure solo costrittivo.
Quando il decorso della malattia oltrepassa i sei mesi di tempo si parla di pericardite cronica; questa può essere costrittiva, essudativa o adesiva non costrittiva.
Sintomi della pericardite
I sintomi sono molto vari; fra quelli principali vi sono i seguenti:
- dolore toracico (che può essere legato al processo infiammatorio in atto che può coinvolgere non solo i foglietti pericardici, ma anche la pleura oppure all’eventuale distensione del sacco pericardico che può verificarsi se il versamento pericardico è abbondante)
- tachicardia (battito cardiaco accelerato)
- febbre o febbricola
- tosse
- dispnea (ovvero difficoltà a respirare normalmente; questo problema è legato soprattutto al fatto che il soggetto tende a respirare molto superficialmente allo scopo di limitare il dolore)
- sfregamento pericardico e calo di peso (quando la malattia è legata a sottostanti patologie sistemiche).
Diagnosi
La diagnosi di pericardite si avvale dell’esame obiettivo, di esami di laboratorio e di indagini strumentali.
All’esame obiettivo il reperto più caratteristico è lo sfregamento pericardico, locuzione con la quale ci si riferisce a un rumore superficiale e piuttosto stridente; la sua assenza però non è condizione sufficiente a escludere la diagnosi; in caso di versamento pericardico, per esempio, lo sfregamento non è udibile. È possibile inoltre osservare tachicardia sinusale, febbre e altri segni legati alla presenza di patologie infiammatorie, infettive oppure sistemiche.
In caso di sospetta pericardite gli esami di laboratorio generalmente richiesti sono emocromo, CPK, VES, PCR, azotemia e prove di coagulazione. L’emocromo mostra spesso la presenza di leucocitosi, mentre CPK, VES e PCR sono generalmente elevati. Altri esami di laboratorio che potrebbero essere richiesti in seguito sono la ricerca di ANA e del fattore reumatoide nonché tutti quegli accertamenti utili a rivelare la presenza di una patologia a carattere infettivo che potrebbe rappresentare l’evento scatenante la pericardite.
Gli esami strumentali generalmente utilizzati sono elettrocardiogramma, radiografia toracica, ecocardiogramma, TAC e risonanza magnetica.
Terapia
La terapia delle forme acute inizia generalmente con la somministrazione di FANS associati a farmaci gastroprotettori. Se sull’utilizzo dei FANS i vari autori sono unanimemente d’accordo, sulla scelta del farmaco non vi è uniformità di vedute. Le divergenze di opinione vedono contrapposte la scuola americana e quella europea; la seconda per esempio non condivide i suggerimenti dei testi statunitensi sull’utilizzo di alti dosaggi di acido acetilsalicilico (Aspirina). Generalmente i farmaci utilizzati in Europa sono l’indometacina, l’ibuprofene e il diclofenac. Va ricordato che la gran parte dei casi di pericardite è di lieve entità e il soggetto guarisce con il riposo e con una terapia farmacologica non molto complessa.
L’utilizzo di corticosteroidi viene riservato a casi ben selezionati (solitamente quelli che non rispondono a terapie prolungate con FANS in dosaggi adeguati).
Se lo specialista lo ritiene opportuno, in caso di abbondante versamento pericardico è possibile il ricorso alla pericardiocentesi, un intervento che ha lo scopo di svuotare la cavità pericardica del liquido in eccesso.
L’utilizzo di colchicina viene spesso programmato sia all’inizio della terapia sia in caso di eventuali recidive (eventualità sfortunatamente non remota).
In caso di pericardite cronica si può prendere in considerazione il ricorso alla pericardiectomia, un intervento atto a ristabilire la contrazione cardiaca.
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