Otosclerosi (anche otospongiosi) è un termine con il quale si definisce un quadro patologico a carico dell’orecchio caratterizzato da un’osteodistrofia della capsula labirintica che provoca un deficit uditivo (ipoacusia) di tipo progressivo. Non è sicuramente una patologia da sottovalutare in quanto, se non trattata, può addirittura degenerare in sordità totale.
Il deficit uditivo è dovuto al fatto che la staffa non trasmette più in modo corretto i segnali sonori alla coclea a causa della crescita di una massa ossea intorno ad essa che ne blocca i movimenti.
L’otosclerosi è una patologia relativamente rara, colpisce infatti circa l’1% della popolazione generale.
Per quanto la malattia possa interessare entrambi i sessi, i soggetti di sesso femminile ne risultano maggiormente interessati; sembra tra l’altro che la gravidanza, l’allattamento e l’assunzione della pillola anticoncezionale possano peggiorare il quadro.
Nella stragrande maggioranza dei casi (circa il 90%) l’otosclerosi interessa entrambe le orecchie (interessamento bilaterale).
L’otosclerosi può essere distinta in base alla localizzazione del focolaio otosclerotico (otosclerosi fenestrale e otosclerosi cocleare), di norma quest’ultimo è localizzato nella regione della finestra ovale (una membrana simile al timpano), meno frequentemente a livello della finestra rotonda e raramente a livello della coclea.
Si parla di otosclerosi mista quando l’interessamento è sia fenestrale che cocleare.
Cause di otosclerosi
Sulle cause dell’otosclerosi non vi sono certezze assolute, non sono infatti note le cause che portano al processo distrofico che origina la lesione otosclerotica. Nel corso degli anni sono state fatte diverse ipotesi per cercare di spiegare le cause della malattia, ma nessuna si è dimostrata totalmente convincente; studi recenti inducono però a pensare che l’otosclerosi sia una patologia a carattere ereditario di tipo recessivo multifattoriale. Si è osservato, infatti, che la malattia tende a presentarsi, seppur non in modo regolare, in diversi membri dello stesso gruppo familiare (2 malati su 3 hanno un familiare affetto dal disturbo). Non è però detto che i figli di genitori affetti da otosclerosi saranno interessati a loro volta da tale processo morboso.
Fra i fattori ambientali su cui si è concentrata la ricerca merita una menzione il virus del morbillo. Le neoformazioni ossee che bloccano la staffa, infatti, contengono del materiale genetico tipico di tale virus; peraltro si è constatato che, da quando esiste la possibilità di vaccinarsi contro il morbillo, i casi di otosclerosi hanno registrato una certa riduzione. Va però precisato che in alcuni soggetti non vi è stato alcun riscontro di RNA virale nelle neoformazioni ossee.
Altri fattori ambientali chiamanti in causa sono il livello di estrogeni e il contenuto di fluoro che nell’acqua assunta giornalmente, ma su questi punti sono necessarie ulteriori indagini.
Otosclerosi – Sintomi e segni
L’otosclerosi colpisce generalmente i soggetti di età compresa tra i 10 e i 20 anni, anche se le manifestazioni cliniche si hanno di solito tra i 20 e i 30 anni.
Il decorso della malattia è progressivo e particolarmente lento, con qualche eccezione relativa a forme giovanili che hanno la tendenza a peggiorare molto velocemente.
Il sintomo principale dell’otosclerosi è l’ipoacusia.
La malattia, di norma, ha un esordio monolaterale, ma in seguito, nella maggior parte dei casi, si ha un successivo interessamento di entrambi i lati.
L’ipoacusia evolve in modo lento, nell’arco di lunghi periodi; peraltro si hanno spesso periodi di stabilizzazione. Inizialmente l’ipoacusia è solamente trasmissiva (il danno è cioè relativo alle parti dell’orecchio che sono deputate alla trasmissione meccanica delle onde sonore) e l’entità della perdita uditiva non oltrepassa mai la soglia dei 60 dB; in seguito si registra anche un’ipoacusia di tipo neurosensoriale (il danno è cioè a carico o delle cellule uditive o delle fibre del nervo acustico).
In alcuni soggetti colpiti da otosclerosi si manifesta un fenomeno denominato paracusia di Willis, tale fenomeno è caratterizzato dal fatto che l’intelligibilità è relativamente migliore (grossolanamente: si comprendono meglio le parole) quando il soggetto si trova in un ambiente rumoroso piuttosto che in uno silenzioso.
Altro sintomo riferito da una buona parte (70% circa) dei soggetti affetti da otosclerosi è la manifestazione di acufeni (rumori di diversa natura quali fischi, ronzii, crepiti, pulsazioni o fruscii, percepiti in modo persistente o intermittente da uno o da entrambi gli orecchi) la cui importanza tende a crescere man mano che aumenta la gravità della malattia.
Meno frequenti (10-25% dei casi circa) sono i sintomi vestibolari ovvero attacchi di vertigini che si presentano in modo ricorrente oppure fugaci sensazioni vertiginose o senso di instabilità.
Rare le manifestazioni di nistagmo (movimento regolare, oscillatorio e non volontario dei globi oculari).

Nella stragrande maggioranza dei casi (circa il 90%) l’otosclerosi interessa entrambe le orecchie (interessamento bilaterale).
Diagnosi
Per la diagnosi di otosclerosi si hanno a disposizione diverse metodiche. L’esame obiettivo non evidenzia generalmente anormalità a livello delle membrane timpaniche, anche se, in alcuni casi, queste possono apparire leggermente più sottili e trasparenti. Anche la loro mobilità rientra nella norma. Quando la patologia si trova nella sua fase evolutiva, in alcuni casi è visibile una macchia rosea dai contorni sfumati che viene denominata macchia (o segno) di Schwartze; il segno di Schwartze è provocato dallo stato congestizio del focolaio otosclerotico.
Gli esami strumentali ai quali si ricorre per la diagnosi di otosclerosi sono l’esame audiometrico tonale, l’audiometria vocale, l’esame timpanometrico e la misura del riflesso stapediale.
L’esame audiometrico tonale consente di valutare sia la trasmissione sonora per via aerea (da 250 a 8.000 Hz) che per via ossea (da 250 a 4.000 Hz).
Attraverso la valutazione della prima si avrà un’idea dell’entità della perdita uditiva e se tale perdita è abbastanza grave da giustificare un intervento di tipo chirurgico.
Attraverso la seconda è possibile valutare la funzione neurosensoriale e avere indicazioni sul grado di miglioramento uditivo che può essere ottenuto tramite l’intervento chirurgico.
Più l’apparato neurosensoriale risulta coinvolto, minori sono le possibilità di ottenere un buon recupero uditivo attraverso la chirurgia.
L’audiometria tonale riveste una notevole importanza anche nel monitorare l’evoluzione della patologia che, come detto precedentemente, ha generalmente carattere progressivo.
L’audiometria vocale consente una valutazione della capacità di comprensione delle parole e risulta particolarmente utile per la programmazione della strategia terapeutica.
L’esame timpanometrico riveste un’importanza decisamente inferiore rispetto a quella delle due metodiche strumentali citate poc’anzi; di norma, infatti, il picco del timpanogramma risulta normale.
Più importante è invece la misura del riflesso stapediale che è di notevole aiuto nella diagnosi differenziale.
Nell’otosclerosi conclamata il riflesso stapediale risulta assente, mentre nelle fasi iniziali è presente, ma il tracciato è decisamente particolare e caratteristico.
Otosclerosi – Intervento e altre terapie
Una volta diagnosticata l’otosclerosi è possibile valutare la scelta di alcune opzioni terapeutiche. In alcuni casi si può decidere di intervenire in alcun modo scegliendo di monitorare nel tempo il processo evolutivo della patologia riservandosi di intervenire qualora la situazione peggiorasse in modo drastico.
Fin quando l’ipoacusia è monolaterale e la perdita che si registra è attorno ai 40 dB, la strategia del non intervento è generalmente l’opzione più consigliabile, dal momento che una perdita di tale entità non è tale da condizionare pesantemente la qualità di vita del soggetto.
Altra opzione terapeutica è la cosiddetta protesizzazione; questo tipo di intervento è generalmente consigliato in quei casi in cui la perdita uditiva sia medio-moderata e vi siano nel contempo controindicazioni all’intervento chirurgico.
La terapia medica dell’otosclerosi consiste nella somministrazione di fluoruro di sodio associato a vitamina D e calcio. Tale terapia, è bene precisarlo, non è in grado di ripristinare la funzione uditiva dei soggetti colpiti da otosclerosi, ma, in un certo numero di casi, si è dimostrata in grado di stabilizzare la malattia o, perlomeno, di rallentarne la progressione.
La terapia con fluoruro di sodio non è esente da effetti collaterali ed è quindi necessario che venga effettuata sotto stretto controllo medico.
Altra opzione è la chirurgia. Gli interventi chirurgici per l’otosclerosi sono essenzialmente di due tipi: stapedectomia (asportazione totale della staffa compresa la platina) e stapedotomia (asportazione totale della staffa, ma non della platina).
I risultati ottenibili con la chirurgia sono generalmente buoni, ma gli interventi comportano una certa quota di rischio. Non si può escludere con certezza, infatti, di arrecare danni irreversibili alla funzione cocleare. Esistono, conseguentemente, criteri molto precisi ai quali è opportuno attenersi per porre l’indicazione all’intervento chirurgico.
Nella maggior parte dei casi (98% circa), tramite la chirurgia si riesce a ottenere un buon recupero della funzione uditiva; è corretto però ricordare che non in tutti i casi tale recupero è evidente alla prima verifica; per avere risposte più attendibili sull’esito dell’intervento, infatti, è necessario che trascorrano almeno tre-quattro mesi.
In rari casi si possono avere peggioramenti uditivi (rarissimamente l’esito può consistere addirittura in sordità totale), mentre in altre circostanze, sempre piuttosto rare, non si registrano né miglioramenti né peggioramenti a livello di funzionalità uditiva.
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