Il morbo di Osgood-Schlatter (malattia di Osgood-Schlatter, sindrome di Osgood-Schlatter)*, altresì noto come osteocondrosi dell’apofisi tibiale anteriore è una patologia infiammatorio-degenerativa a carico della tuberosità tibiale. È una delle varie forme di osteocondrosi.
Il morbo di Osgood-Schlatter interessa sia femmine che maschi, ma in questi ultimi la frequenza della patologia è tre volte superiore. Nei soggetti di sesso maschile la patologia si manifesta generalmente nel periodo compreso tra gli 11 e i 15 anni di età, mentre nelle femmine in quello compreso fra gli 8 e i 13 anni; ciò è dovuto al fatto che nei soggetti di sesso femminile il processo di ossificazione dell’apofisi tibiale inizia più precocemente.
Nel 25-30% dei casi circa, la malattia di Osgood-Schlatter colpisce bilateralmente.
Cause del morbo di Osgood-Schlatter
Di solito, i soggetti colpiti dal morbo di Osgood-Schlatter sono bambini che praticano sport in modo attivo; la condizione viene riscontrata in particolar modo in quelli che usano largamente il muscolo quadricipite (come accade, per esempio, nell’atletica leggera, nel basket, nel calcio, nella danza, nel pattinaggio ecc.); la patologia è dovuta infatti alla ripetuta azione traumatica causata dalla trazione del tendine rotuleo sulla sua inserzione a livello dell’apofisi tibiale nella fase di contrazione del muscolo estensore della gamba (vale a dire il quadricipite); il morbo di Osgood-Schlatter ricorre spesso, per esempio, nei soggetti maschi di giovane età, soprattutto se di alta statura, che praticano la danza classica; questo a motivo della forza esplosiva richiesta per eseguire i salti; anche i plié (i movimenti che prevedono il piegamento di uno o di entrambi i ginocchi) possono, a lungo andare, creare problematiche a livello dell’apofisi tibiale.
Il problema si verifica essenzialmente a causa delle microfratture cartilaginee (con conseguente infiammazione) legate alle ripetute estensioni del ginocchio che vengono effettuate nel corso dell’attività fisica; l’infiammazione che si verifica è causa di dolore e tumefazione, in particolar modo nel periodo post-attività. Una volta che l’apofisi tibiale è completamente ossificata, l’inserzione del tendine rotuleo non avviene più su una struttura cartilaginea, di per sé piuttosto delicata, ma su una zona ossea e, di conseguenza, il dolore viene a cessare.
Segni e sintomi del morbo di Osgood-Schlatter
La sintomatologia del morbo di Osgood-Schlatter è caratterizzata, come già si è accennato nel paragrafo precedente, dal dolore, generalmente localizzato a livello del terzo inferiore del tendine; talvolta però si riscontra un’irradiazione verso la rotula o la tibia; l’intensità del dolore è maggiore al termine dei movimenti di flessione o di estensione del ginocchio; in alcuni casi è possibile riscontrare la formazione di una tumefazione locale.
Una complicanza abbastanza frequente della sindrome di Osgood-Schlatter è la formazione di una salienza ossea che in genere è abbastanza piccola e non procura dolore a meno che non sia sottoposta a una discreta pressione diretta; in alcuni casi è possibile la formazione di calcificazioni intra-tendinee che potrebbero essere, in età adulta, causa di processi infiammatori più o meno fastidiosi.
Un’altra complicanza, che invero si verifica molto raramente, è il distacco della tuberosità tibiale.
Diagnosi
La diagnosi della malattia di Osgood-Schlatter non pone particolari problemi e lo specialista potrebbe effettuarla basandosi soltanto sulla presenza di dolore e tumefazione a livello dell’apofisi tibiale. Spesso, comunque, il medico prescrive una radiografia.
L’esame radiografico, generalmente, viene effettuato anche sull’arto controlaterale per permettere una migliore valutazione delle condizioni della tuberosità della tibia; il reperto radiografico mostra spesso una tuberosità tibiale dall’aspetto irregolare e in qualche caso frammentato.
L’indagine radiografica, oltre a precisare lo stadio di evoluzione della malattia, consente di verificare la presenza o no di altre forme di osteocondrosi a carico del ginocchio.
Cura del morbo di Osgood-Schlatter
L’approccio terapeutico al morbo di Osgood-Schlatter è abbastanza semplice e si avvale in prima istanza della sospensione dell’attività sportiva traumatica che, a seconda del grado di gravità della malattia, potrebbe durare diverse settimane o addirittura alcuni mesi. In questo senso, il morbo di Osgood-Schlatter ha un peso abbastanza rilevante nella vita dei ragazzi.
Nella fase acuta è possibile ricorrere alla crioterapia e a farmaci di tipo analgesico sia locali che sistemici. Il ricorso ai FANS (spesso viene consigliato l’ibuprofene) deve comunque essere effettuato con una certa cautela in quanto si tratta di farmaci con effetti collaterali di non poco conto.
Alcuni autori propongono anche l’immobilizzazione del ginocchio tramite una ginocchiera gessata (Ehrenborg, il primo autore a sostenere l’utilità dell’immobilizzazione, aveva osservato una riduzione dei tempi necessari alla guarigione pari a circa il 50%), ma tale pratica non trova tutti concordi; altri consigliano sedute di ultrasuoni o magnetoterapia.
Il ricorso alla chirurgia è da considerarsi un’evenienza molto rara, se non addirittura rarissima, da riservarsi a casi particolarmente gravi.
Superata la fase acuta, quando il quadro clinico lo permette, è possibile iniziare la fase rieducativa, primo step di una lenta, ma graduale ripresa dell’attività sportiva; il programma rieducativo avrà lo scopo di rinforzare la muscolatura, in particolar modo il quadricipite e i muscoli ischio-crurali. Alcuni autori consigliano l’effettuazione di esercizi di stretching del muscolo quadricipite allo scopo di diminuire la trazione che il tendine rotuleo esercita sull’apofisi tibiale.
In questa fase di ripresa è possibile praticare sport atraumatici come il nuoto, eccezion fatta per lo stile a rana, e il ciclismo, ovviamente su percorsi facili e pianeggianti.
Il decorso della malattia di Osgood-Schlatter è generalmente benigno e ha una durata media di circa due anni.
* La denominazione della patologia deriva dal fatto che essa fu descritta per la prima volta nel 1903 a opera di un ortopedico statunitense, Robert Bayley Osgood, e di un chirurgo elvetico, Carl Schlatter.
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