Con il termine obesità si definisce il diffuso aumento della quantità di adipe nell’organismo che comporta un abnorme incremento ponderale.
L’obesità è un problema sociale grave; dai dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’anno 2008 circa un miliardo e mezzo di adulti (soggetti di età superiore ai 20 anni) erano affetti da sovrappeso. Di questi, ben 500 milioni erano affetti da obesità (200 milioni di uomini e 300 milioni di donne). Ricordiamo che, in base ai criteri OMS, viene definito sovrappeso un soggetto il cui indice di massa corporea è uguale a o più grande di 25, mentre viene definito obeso il soggetto il cui indice di massa corporea è uguale a o più grande di 30. Ricordiamo anche che, sempre facendo riferimento ai criteri OMS, i valori in base ai quali si parla di soggetti sottopeso, normali, sovrappeso e obesi, sono ritenuti validi per entrambi sessi, una scelta opinabile che discutiamo nel nostro articolo La nuova tabella di magrezza e più avanti nel paragrafo L’obesità e la nuova tabella di magrezza.
Nel frattempo le cose non sono andate migliorando… Attualmente il sovrappeso riguarda un miliardo e 650mila persone.
Nel 2015 sono stati resi disponibili nuovi dati basati su osservazioni effettuate dal 2010 al 2014 e i risultati sono, ancora una volta, piuttosto allarmanti.
Secondo i ricercatori, infatti, le stime non sono affatto confortanti: la percentuale delle donne sovrappeso passerà dal 39% al 50% mentre quella delle donne affette da obesità salirà dal 10 al 15%; previsioni peggiori per quanto riguarda il sesso maschile; nel 2010 i maschi sovrappeso erano il 58%; nel 2030 saranno il 70%; gli obesi passeranno invece dal 12 al 20%.
Relativamente ai Paesi UE, quello messo peggio sarà l’Irlanda: 89% dei maschi in sovrappeso (poco meno della metà di questi risulteranno obesi); a livello femminile, il maggior numero di donne sovrappeso si registrerà in Belgio (89%), mentre il maggior numero di donne obese si registrerà in Gran Bretagna. Fra i Paesi che l’OMS vede più a rischio, insieme a Gran Bretagna e Irlanda, sono Grecia, Spagna, Austria, Repubblica Ceca e, sorprendentemente, la Svezia, un Paese che, tradizionalmente, ha una prevalenza di obesità piuttosto bassa; passerà infatti dall’attuale 14% di maschi obesi al 26%; le donne obese passeranno dal 12 al 22%.
Il sovrappeso e l’obesità erano considerati in passato problemi che affliggevano soltanto i cosiddetti Paesi ricchi; è stato osservato però, negli ultimi anni, un loro preoccupante aumento anche nei Paesi a basso e medio reddito. Si ritiene che l’eccesso ponderale sia, attualmente, il quinto dei fattori di rischio per i decessi che si verificano in tutto il mondo.
Particolarmente preoccupante è il problema dell’obesità infantile; è stato stimato che nell’anno 2010 erano circa 43 milioni i bambini di età inferiore ai 5 anni in condizione di sovrappeso. Una vera e propria epidemia il cui aspetto più grave sta nel fatto che un bambino affetto da obesità rischia fortemente di diventare un adulto obeso con tutte le conseguenze che questo comporta (aumento del rischio di contrarre patologie cardiovascolari, neoplastiche ecc.). Per approfondire si consulti il nostro specifico articolo.
E per quanto concerne gli adulti? Se ci basiamo sui dati più recenti disponibili, secondo il rapporto Osservasalute 2013, facente riferimento ai risultati dell’Indagine Multiscopo dell’Istat, si osserva che, in Italia, nel 2012, più di un terzo della popolazione adulta (35,6%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (10,4%). Come negli anni precedenti, le differenze sul territorio confermano un gap Nord-Sud in cui le Regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di soggetti obesi (Puglia 12,9% e Molise 13,5%) e in sovrappeso (Basilicata 39,9% e Campania 41,1%) rispetto a quelle settentrionali (obese: Liguria 6,9% e PA di Bolzano 7,5%; sovrappeso: Liguria 32,3% e PA di Bolzano 32,5%).
La percentuale di popolazione in sovrappeso cresce all’aumentare dell’età e, in particolare, il sovrappeso passa dal 15,8% della fascia di età 18-24 anni al 45,8% tra i 65-74 anni, mentre l’obesità dal 2,8% al 15,9% per le medesime fasce di età. Nelle età più avanzate il valore diminuisce leggermente (sovrappeso 42,5% ed obesità 13,2% negli over 75) rispetto alla fascia di età precedente. La condizione di eccesso ponderale è più diffusa tra gli uomini rispetto alle donne (sovrappeso: 44,2% vs 27,6%; obesità: 11,3% vs 9,5%).
Insomma, l’analisi dei dati forniti dalle varie organizzazioni nazionali e internazionali mette in luce una situazione che definire “devastante” non è poi così esagerato: regimi alimentari scorretti, sedentarietà, sovrappeso e obesità sono i maggiori responsabili delle patologie croniche che colpiscono la popolazione europea e sono ritenute la causa diretta o indiretta dell’86% dei decessi.
Obesità: qual è la causa?
Contrariamente alla credenza comune, in soggetti normali non sono i grassi i soli responsabili dell’obesità. In realtà la questione è molto più complessa e un’eccessiva semplificazione non ci aiuta a comprendere appieno quali sono i motivi per i quali una persona può trovarsi in una condizione di sovrappeso o, ancor peggio, di obesità. Prima di parlare di obesità appare quindi opportuno cercare di comprendere appieno quali siano i meccanismi che portano una persona a ingrassare; invitiamo pertanto a consultare con attenzione i nostri articoli di approfondimento Cos’è il grasso? e Perché si ingrassa.
Sul fatto che l’obesità sia una malattia vi sono ben poche discussioni; essa è ritenuta essere una patologia di tipo multifattoriale; nella sua insorgenza infatti giocano un notevole ruolo diversi fattori (condizioni ambientali, fattori di tipo genetico, disfunzioni ormonali ecc.). Basandosi sui fattori scatenanti possiamo definire due tipi di obesità: essenziale (ovvero non legata strettamente ad altre condizioni patologiche) e secondaria (dipendente cioè da fattori secondari quali l’assunzione di determinate sostanze farmacologiche o dalla presenza di patologie a livello metabolico, endocrino, genetico ecc.). La forma essenziale è quella che viene ritenuta la più pericolosa; essenzialmente è legata a uno scorretto stile di vita.

Purtroppo l’obesità non risparmia neppure i più piccoli. In Italia quasi il 20% dei bambini è obeso.
Obesità androide e ginoide
È possibile distinguere la patologia basandosi sull’analisi della distribuzione del tessuto adiposo; in base a tale criterio si distingue tra obesità androide e ginoide; tale distinzione fu introdotta nel 1950 da un diabetologo francese, Jean Vague; la forma androide è più frequente nei soggetti di sesso maschile, mentre quella ginoide si riscontra maggiormente nelle donne. Com’è noto, le forme corporee sono legate al rapporto fra androgeni (ormoni sessuali maschili) ed estrogeni (ormoni sessuali femminili); la diversa distribuzione del tessuto adiposo fra maschi e femmine è visibile già in condizioni fisiologiche; le differenze possono farsi particolarmente evidenti in condizioni di obesità dando vita alle due tipologie soprariportate.
La forma androide (nota anche come centrale, viscerale, tronculare o a “mela”), tipica dei maschi, è associata a una distribuzione del tessuto adiposo maggiormente concentrata nelle regioni toracica, addominale, dorsale e cerviconucale. La forma ginoide (nota anche come periferica, sottocutanea o a “pera”), tipica delle donne, è caratterizzata da una distribuzione del tessuto adiposo più concentrata nella metà inferiore dell’addome, nei glutei e nelle zone femorali.
Per la valutazione del tipo di obesità che si sta osservando si può ricorrere al rapporto WHR (Waist to Hip Ratio), ovvero il rapporto fra circonferenza presa a livello ombelicale e quella presa a livello gluteo (ovvero, più semplicemente, il rapporto vita /fianchi). Si ha obesità androide quando tale rapporto è >0,85, mentre l’obesità è ginoide quanto tale rapporto è <0,79. Più il rapporto elevato è più aumenta il rischio relativo di morte per patologia coronarica.
L’obesità e la nuova tabella di magrezza
Per definire l’obesità si è soliti utilizzare l’indice di massa corporea (IMC). I dietologi classici commettono l’errore di far partire l’obesità da un IMC uguale a 30 (il numero arrotondato alla decina è “psicologicamente” allettante). Ciò è in parte favorito dal fatto che molti riprendono acriticamente le indicazioni fornite dalla famosa tabella con la quale l’OMS, nel 1998, descrisse lo stato della popolazione rispetto all’obesità.
Non è necessario ribadire quanto siano numerose le ricerche che associano una maggiore longevità a un’alimentazione ipocalorica che assicuri un indice di massa corporea di livello inferiore a quello proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. È per questo motivo che è sembrato ragionevole proporre una nuova tabella di magrezza che tenesse conto, fra le altre cose, delle inevitabili differenze che ci sono fra uomo e donna, date le loro diverse strutture corporee sia anatomiche che fisiologiche. In base a queste considerazioni si ha:
- obesità da un IMC che supera 28 per gli uomini e 26 per le donne;
- obesità grave per un IMC che supera 40.
Nel caso di obesità “normale” è consigliabile seguire un piano dietetico che riporti l’individuo prima in condizioni di sovrappeso e poi di normalità. Non è consigliabile nessuna attività fisica nel caso di obesità normale in quanto l’esercizio fisico di un obeso non è in grado di aumentare significativamente il fabbisogno calorico giornaliero e si sovraccaricherebbe inutilmente un fisico già provato da una situazione che è corretto definire patologica. L’attività fisica diventa invece fondamentale nella condizione di sovrappeso.
Obesità grave
Nel caso della forma grave si parla spesso di obesità dietoresistente (per approfondimenti su questo punto rimandiamo al nostro specifico articolo) e non c’è altra alternativa che l’intervento chirurgico, anche se sono possibili interventi parachirurgici come il palloncino intragastrico (introdotto nello stomaco genera sazietà) o il pacemaker gastrico (inventato nel 1991, funziona come elettrostimolatore che induce sazietà, ma ha l’inconveniente che deve essere gestito a vita).
Il vero intervento chirurgico può essere di tipo restrittivo o malassorbitivo (per i casi più gravi). L’intervento restrittivo limita la capacità dello stomaco a ricevere cibo ed è indicato per coloro che comunque hanno intenzione di collaborare con il dietologo, seguendo un’opportuna dieta. Infatti i pasti sono molto limitati (a causa della diminuita capacità gastrica) e il paziente potrebbe essere indotto a mangiare di continuo alimenti ipercalorici. Fra gli interventi restrittivi sono da ricordare il bendaggio gastrico regolabile (banding, in cui la regolazione della tasca gastrica avviene attraverso un serbatoio d’acqua sottocutaneo) e la gastroplastica verticale in cui una sutura e un anello riducono il volume gastrico. Gli interventi malassorbitivi in genere sono più impegnativi perché tendono a ridurre la quantità di cibo assorbito dal tratto gastro-intestinale.
Sono da ricordare il bypass gastrico (che chiude la parte alta dello stomaco e la collega direttamente all’intestino, saltando stomaco e duodeno; a causa della mancata preparazione gastrica, alcuni cibi come zuccheri e farinacei possono provocare disturbi spiacevoli) e la diversione billo-pancreatica (si asporta la parte inferiore dello stomaco, la si unisce all’intestino, facendovi giungere la bile) che consente l’eliminazione di molte sostanze nutritive, a fronte di effetti collaterali come le abbondanti evacuazioni e la carenza di minerali e vitamine. La percentuale di successo a tre anni degli interventi va da un 40% per quelli restrittivi a un 60-70% per quelli malassorbitivi.
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