La mononucleosi (più correttamente mononucleosi infettiva, con espressione popolare malattia del bacio) è una patologia virale causata dal virus di Epstein-Barr (EBV), un herpesvirus il cui nome deriva da quello dei due scienziati che lo scoprirono nel 1964, Michael A. Epstein e Yvonne Barr.
Prima di trattare la patologia in dettaglio, spieghiamo cos’è la mononucleosi. La mononucleosi infettiva è una delle infezioni virali di maggior diffusione, si stima infatti che il 90% della popolazione mondiale sia venuta a contatto con il virus in questione e sia dotata di specifici anticorpi; la maggior parte di costoro non ha accusato alcun segno di infezione; generalmente, infatti, la mononucleosi infettiva si manifesta in modo eclatante soltanto nel caso in cui colpisca persone immunocompromesse, debilitate o con un sistema immunitario ancora immaturo (come nel caso dei bambini).
La mononucleosi infettiva colpisce in particolar modo gli adolescenti e i giovani adulti mentre è più rara negli anziani. Si consulti anche l’articolo Mononucleosi nei bambini. Va anche notato che la mononucleosi in gravidanza non costituisce un particolare problema. Negli USA la mononucleosi è più comune nei bianchi che nelle popolazioni afro-americane.
Per quanto la mononucleosi infettiva sia una patologia benigna, in alcuni casi può essere associata allo sviluppo di alcune serie patologie quali linfoma di Burkitt, linfomi di Hodgkin e linfomi non-Hodgkin, carcinoma nasofaringeo indifferenziato e la sindrome di Duncan (una rara malattia genetica). Per quanto riguarda il “prima” della malattia si consulti l’articolo Mononucleosi: Incubazione.
Contagio: come si prende la mononucleosi
Il contagio della mononucleosi infettiva avviene generalmente attraverso il canale oro-faringeo (ricordiamo che, popolarmente, la mononucleosi infettiva è nota come la malattia del bacio). Il bacio è il canale di trasmissione preferenziale, poiché il virus di Epstein-Barr è veicolato dalle goccioline di saliva. Ovviamente anche tosse e starnuti sono mezzi trasmissivi, come pure la condivisione di stoviglie, giocattoli, premasticamento del cibo ecc. oppure, ma più raramente, attraverso il sangue (emotrasfusioni, interventi chirurgici ecc.). La mononucleosi è contagiosa dal momento in cui compaiono i primi sintomi, ma non lo è nella fase di incubazione.
Da quanto detto due sono quindi le modalità di contagio:
- per via diretta – Baci, colpi di tosse, starnuti ecc. Ben si comprende che la mononucleosi non è pertanto malattia stagionale, anche se, in teoria, la stagione fredda potrebbe portare a una maggiore diffusione del virus a causa di patologie respiratorie del soggetto infettato che portano a diffondere meglio il virus.
- per via indiretta – Oggetti potenzialmente infetti. Questo è la via maggiormente coinvolta nei bambini piccoli ai quali si deve insegnare a non portare a contatto con le mucose oggetti usati da altri.
La durata della contagiosità è variabile: se nella grande maggioranza dei casi il virus è eliminato in poche settimane, in alcuni soggetti resta nella saliva anche per molti mesi. L’eliminazione faringea del virus di Epstein-Barr, infatti, ha una durata notevole, addirittura fino a un anno dopo l’infezione; va inoltre tenuto in debita considerazione il fatto che, durante i periodi di riattivazione dell’agente virale, i portatori sani possono rappresentare una fonte di contagio; va da sé che, se già si è stati infettati in passato, qualsiasi contatto con una persona colpita da mononucleosi infettiva non avrà effetto alcuno.
Il soggetto è contagioso finché le IGM risultano positive, cosa che indica che il virus è ancora in circolo nell’organismo.
Una ricerca degli anticorpi nel sangue di un campione di adulti rivela spesso che, nella maggioranza dei casi, la ricerca è positiva, segno che il soggetto ha avuto in passato contatti con il virus.
Mononucleosi: sintomi e i segni
La mononucleosi infettiva è caratterizzata da ampio ventaglio di segni e sintomi.
Generalmente, l’esordio clinico della patologia è preceduto dalla cosiddetta fase prodromica, fase nella quale si registrano sintomi piuttosto generici che sono comuni a molte altre patologie; compaiono spesso, infatti, una cefalea di modesta entità, calo dell’appetito, febbricola, sudorazione più o meno intensa, dolori muscolari diffusi ecc.
Nel caso in cui il sistema immunitario non reagisca in modo adeguato, la mononucleosi si manifesta in modo più severo.
Dopo circa uno o due mesi dal contagio (nel caso di adulti; dopo due settimane nel caso di bambini) fanno generalmente la loro comparsa sintomi piuttosto aspecifici quali febbre, astenia, cefalea e sensazione di malessere generale. Le vertigini sono riportate in alcuni pazienti. Nei soggetti più giovani è solitamente la febbre il segno clinico d’esordio, anche se casi di mononucleosi senza febbre non sono rari. Alla febbre è spesso associata faringo-tonsillite di intensità variabile; comuni sono anche la difficoltà nel deglutire (disfagia) e la deglutizione dolorosa (odinofagia).
Trascorsa un’altra settimana non è infrequente (30% dei casi circa) la comparsa di piccole lesioni petecchiali nel cavo orale.
Segno clinico presente nella stragrande maggioranza dei casi è l’ingrossamento dei linfonodi; di norma sono interessati i linfonodi della zona cervicale, ma non è da escludersi una linfoadenopatia anche a livello di altri distretti.
In circa la metà dei soggetti si riscontra splenomegalia (ingrossamento della milza; per questo motivo, onde evitare una rottura della milza, sono da escludersi fino a completa guarigione gli sport di contatto) alla quale, in un certo numero di casi, può essere associata una lieve epatomegalia (fegato ingrossato); in poco meno del 10% dei soggetti si riscontra anche la presenza di ittero. In circa il 10% dei casi si rileva la presenza di un rash cutaneo (dovuto spesso ad amoxicillina, un antibiotico che viene erroneamente prescritto perché non si è diagnosticata tempestivamente la natura virale della malattia).
In rari casi (circa il 3% del totale) si riscontra un’iperemolisi (aumento patologico del processo di distruzione dei globuli rossi) associata alla presenza di immunoglobuline M anti eritrociti riscontrabile eseguendo un test di Coombs; questa particolare forma di anemia, quando presente, fa generalmente la sua comparsa tra la terza e la quarta settimana e tende a regredire spontaneamente dopo un paio di mesi. Altri sintomi e segni rilevabili in caso di mononucleosi infettiva sono l’angina tonsillare (processo infiammatorio acuto a carico delle tonsille), dolori addominali e, talvolta, diarrea.
Un numero molto piccolo di persone infette ha complicanze neurologiche. Questi includono l’infiammazione del cervello (encefalite), del rivestimento del cervello (meningite) o dei singoli nervi. Meno comunemente, può verificarsi un’infezione del midollo spinale. La maggior parte dei pazienti con complicanze neurologiche si riprende completamente.
In alcuni soggetti, la manifestazione della mononucleosi è maggiormente subdola e ciò rende più difficile diagnosticarla; in questi casi il soggetto accusa un lieve rialzo febbrile e un sensazione di malessere generale e stanchezza che può perdurare per alcuni mesi. La malattia può manifestarsi in seguito più violentemente qualora il soggetto accusi un abbassamento delle difese immunitarie.
Diagnosi di mononucleosi infettiva
Agli esami di laboratorio il quadro ematologico presenta una conta alterata dei globuli bianchi (da 10.000 a 30.000/mmc; in casi più rari si va dai 30.000 ai 50.000/mmc), linfomonocitosi (aumento di linfociti e monociti), linfomonociti atipici, lieve granulocitopenia (diminuzione dei granulociti neutrofili), lieve ipopiastrinemia (diminuzione delle piastrine). Risultano alterati anche gli indici di funzionalità epatica; si riscontrano infatti aumenti delle transaminasi, dell’LDH, della fosfatasi alcalina, della gamma-GT e della bilirubinemia. La diagnosi certa si ottiene verificando l’aumento dei globuli bianchi e la presenza di anticorpi al virus di Epstein-Barr.
Mononucleosi e monotest – Il test diagnostico più semplice per rilevare la presenza di mononucleosi infettiva è il monotest (anche mono test) cioè la ricerca di anticorpi eterofili (in grado di agglutinare i globuli rossi di pecora) che compaiono nel 95% dei casi di infezione da virus di Epstein-Barr.
Il monotest è rapido e poco costoso, ma non è però specifico al 100% (nel 25% dei casi risulta falsamente negativo e nel 10% dei casi falsamente positivo), risulta quindi opportuno ricorrere alla ricerca di anticorpi specificamente rivolti contro alcune proteine (antigeni) dell’EBV, la presenza del virus provoca infatti una risposta sierologica con comparsa di anti-early-antigens AB, di IgM anti capside virale (IgM-VCA), di IgG anti capside virale (IgG-VCA) e di antigeni nucleari del virus Epstein-Barr (EBNA). Le IgM-VCA persistono nell’organismo per un periodo limitato (generalmente dalle quattro alle otto settimane) e sono quindi un indice di un’infezione primaria piuttosto recente mentre le IgG-VCA permangono per tutta la vita e sono quindi generalmente indicative di un’infezione pregressa.
Il decorso della mononucleosi infettiva
La durata della mononucleosi infettiva è estremamente variabile; se la fase acuta ha durata comune (15 giorni circa), il completo ristabilimento dalla malattia è diverso da persona a persona, in alcuni casi occorrono molte settimane e certi soggetti devono attendere alcuni mesi prima di ristabilirsi completamente. La percentuale di decessi è inferiore all’1% dei casi ed è legata a determinate rare complicanze della malattia.
Mononucleosi: cura
La cura della mononucleosi infettiva è quella tipica delle malattie virali non gravi (il virus responsabile è il virus di Epstein-Barr), una terapia di supporto e si basa soprattutto su riposo (in particolare nelle prime due settimane), alimentazione equilibrata, buona idratazione e somministrazione di FANS o paracetamolo; quest’ultimo viene preferito all’acido acetilsalicilico (la normale aspirina) per il rischio di sindrome di Reye, una grave forma di encefalopatia acuta.
L’utilizzo dei corticosteroidi è indicato solo nei casi più complicati (ostruzione delle alte vie aeree, complicanze cardiache e/o neurologiche, anemia emolitica acuta). Talvolta, nei casi di una certa gravità, vi è il ricorso all’aciclovir (un antivirale che è il farmaco di riferimento nella cura dell’Herpes simplex genitale), ma non tutti sono concordi sull’opportunità del suo utilizzo.
Poiché l’origine è virale, gli antibiotici sono sconsigliati (anzi in pazienti sottoposti a trattamento con ampicillina possono comparire chiazze rosate in tutto il corpo), tuttavia in alcuni casi vengono prescritti per debellare infezioni batteriche secondarie (generalmente faringo-tonsillite) a cui c’è una maggiore esposizione a causa dell’indebolimento generale dell’organismo causato dalla mononucleosi infettiva. In prima battuta si ricorre solitamente ai macrolidi.
Cura della mononucleosi: naturali e alternative
Molti ritengono che l’unica terapia valida sia il riposo; tale atteggiamento è poco scientifico, visto che i sintomatici hanno proprio lo scopo di non affaticare l’organismo. Che una febbre a 39 °C non intacchi il nostro organismo è solo ottimistico: di fatto i sostenitori del natural only dimenticano che ripetuti affaticamenti del nostro corpo portano non tanto ad aumentare le difese (cosa del resto dimostrata dal fatto che i soggetti che si curano solo con il naturale non diminuiscono la frequenza di influenze e patologie simili) quanto a un progressivo indebolimento e invecchiamento.
L’uso di fitoterapici come l’echinacea (alcuni addirittura consigliano la cipolla) è altresì ottimistico, come del resto per molte malattie virali; da notare che l’echinacea è comunque sconsigliata sotto ai 12 anni di età.
Conseguenze e complicanze
Di norma, la maggior parte dei casi di mononucleosi infettiva si risolve senza particolari problemi anche se, dopo l’infezione, il virus di Epstein-Barr stabilisce un’infezione latente che permane e può riattivarsi periodicamente.
Le complicanze della malattia possono riguardare diversi apparati del nostro organismo. A livello del sistema nervoso centrale possono verificarsi casi di convulsioni, encefalite, meningite, mielite (patologia infiammatoria del midollo spinale), neuropatie, sindrome di Guillain-Barré ecc.
A livello ematologico si riscontrano granulocitopenia (anche neutropenia, diminuzione dei granulociti neutrofili), trombocitopenia (anche piastrinopenia o ipopiastrinemia, diminuzione delle piastrine circolanti). A livello polmonare possono verificarsi ostruzione delle vie aeree o infiltrati polmonari interstiziali anche se quest’ultima complicanza è più frequente nei bambini che negli adulti. A livello epatico la complicanza più grave è l’epatite fulminante, ma i casi di questo genere sono rarissimi, generalmente si riscontrano alterazioni dei test di funzionalità epatica (rialzo delle transaminasi, della gamma-GT ecc.) e, in alcuni casi, ittero.
Una delle complicanze più temibili della malattia è la rottura della milza a causa del suo ingrossamento (splenomegalia); il caso è invero raro, ma è da tenere comunque in debita considerazione perché nei casi più gravi, se non si interviene tempestivamente, può avere esito fatale (la milza è un organo fortemente vascolarizzato e la sua rottura può causare un’emorragia massiva con conseguenti shock ipovolemico e decesso).
Considerato quanto sopra esposto, negli sportivi il ritorno all’attività fisica deve quindi avvenire con una certa cautela perché in alcuni sport, soprattutto quelli in cui c’è contatto fisico, eventuali traumi addominali potrebbero causare la rottura dell’organo in questione. Altre conseguenze spiacevoli della mononucleosi infettiva sono state scoperte solo recentemente.
In alcuni soggetti (soprattutto di sesso femminile) permane un’alterazione degli equilibri endocrini che porta a uno stato di stanchezza persistente, la sindrome da stanchezza cronica, una vera e propria patologia, spesso invalidante, patologia ormai facilmente riconoscibile in centri specializzati (per esempio il soggetto presenta un’alta dolorabilità di punti ben precisi. Si devono però evitare facili allarmismi e non confondere un normale periodo di stanchezza successivo alla mononucleosi con l’instaurarsi di una nuova condizione patologica, appunto la sindrome da stanchezza cronica (CFS, Chronic Fatigue Syndrome),
Nei casi di immunosoppressione, sia essa congenita o acquisita in seguito ad altre malattie o trattamenti clinici, l’infezione del virus di Epstein-Barr può portare a gravi casi di infezioni croniche e neoplasie ai linfonodi. La ricerca medica si sta concentrando sulla possibile relazione tra tumori e altre malattie (come la sclerosi multipla o l’AIDS) e l’infezione da virus di Epstein-Barr.
Mononucleosi infettiva: un po’ di storia
Fu Pfeiffer, un medico tedesco di Wiesbaden, il primo a descrivere (1889) la mononucleosi infettiva in soggetti di giovane età; Pfeiffer definì la patologia “febbre ghiandolare”.
La malattia fu descritta in seguito da medici statunitensi, per la precisione West (1896) e Burns (1909); Burns mise in evidenza l’aumento linfomonocitico nel sangue periferico di coloro che erano stati colpiti dalla malattia. Furono Sprunt ed Evans (1920) a dare un maggior rilievo a questa circostanza definendo la patologia con la terminologia che ancora oggi la identifica, ovvero “mononucleosi infettiva”. Ulteriori passi avanti nella comprensione della patologia furono fatti da Paul e Bunnel (1932) e da Davidson (1935).
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