La maculopatia senile è una seria patologia oculare a carattere progressivo che provoca un deficit non reversibile della funzione visiva centrale. È nota anche come degenerazione maculare senile o degenerazione maculare legata all’età (anche DMLE o AMD, dai termini inglesi Age-related macular degeneration).
La maculopatia senile è una patologia che, come si può facilmente dedurre dalla terminologia, colpisce prevalentemente le persone anziane (circa il 10% nella fascia che va dai 66 a 74 anni e il 30% nella fascia oltre i 75 anni), anche se, sfortunatamente, non mancano casi di maculopatia senile in soggetti di età meno avanzata.
La parte interessata dalla malattia è la macula, ovvero la zona centrale della retina che è preposta alla visione distinta e alla percezione dei dettagli.
Si ritiene che la maculopatia senile sia la principale causa di deficit visivo centrale a carattere irreversibile nei Paesi occidentali.
Le principali forme di maculopatia senile sono essenzialmente due:
- maculopatia senile secca (anche maculopatia senile atrofica)
- maculopatia senile essudativa (anche maculopatia senile umida o maculopatia senile neovascolare).
La maculopatia secca è quella che viene più comunemente riscontrata (90% dei casi circa ) e generalmente provoca una moderata riduzione visiva ed è dovuta a una lenta e progressiva atrofia del tessuto retinico (epitelio pigmentato e fotorecettori).
La maculopatia essudativa è meno comune (10% dei casi circa), ma è caratterizzata da maggiore gravità; è generata dalla formazione di nuovi capillari sotto e dentro la retina che hanno la tendenza a rompersi facilmente provocando la perdita di siero e di sangue con conseguenti processi di cicatrizzazione e distruzione della macula.
Maculopatia – Cause e fattori di rischio
Le cause della maculopatia senile non sono a tutt’oggi completamente note; la maggior parte degli autori però concorda sul fatto che esiste una combinazione di fattori ambientali e genetici che espone maggiormente al rischio di contrarre la malattia. Tra i fattori ambientali i più importanti sono l’età, il regime alimentare, l’esposizione prolungata alla luce solare, il fumo di sigaretta, il sesso, la razza, le patologie cardiache e l’ipertensione arteriosa.
Il principale fattore di rischio per lo sviluppo della maculopatia è il primo dell’elenco soprariportato, ovvero l’età; come si è visto, infatti, dopo i cinquant’anni di età, il rischio di contrarre la malattia aumenta in modo considerevole; anche un regime alimentare scorretto sembra aumentare le possibilità di ammalarsi, diversi studi hanno mostrato, infatti, che una dieta ricca di grassi saturi e un consumo eccessivo di bevande alcoliche sono legati a un aumento del rischio, rischio che risulta essere maggiore del normale anche nei soggetti affetti da obesità.
Altro fattore di rischio di una certa importanza sembra essere la prolungata esposizione alla luce del sole; soggetti più a rischio in questo senso sono i soggetti appartenenti ai fototipi 1 e 2.
Il fumo di sigaretta viene inserito fra i responsabili di un aumento del rischio di contrarre la maculopatia senile in quanto provoca una riduzione della quantità degli antiossidanti protettivi che sono presenti a livello oculare; non è un fattore da trascurare in quanto nei fumatori la frequenza della malattia è doppia rispetto a quella relativa ai soggetti non fumatori.
Anche il sesso sembra avere la sua importanza; nelle donne che hanno superato i 75 anni, per esempio, il rischio di contrarre la maculopatia è pressappoco doppio rispetto a quella di un maschio della stessa età.
Per quanto concerne la razza si è visto che nei caucasici il rischio di ammalarsi è maggiore rispetto a quello dei soggetti di razza nera.
Un rischio maggiore è inoltre corso da tutti coloro che soffrono di ipertensione arteriosa o di malattie cardiovascolari.
L’importanza dei fattori genetici
Meritano sicuramente un cenno anche i fattori genetici. Gli studi effettuati per poter determinare le cause che conducono all’insorgere della maculopatia senile hanno evidenziato la presenza di rischi genetici in alcuni soggetti; sebbene non tutti gli aspetti della questione siano completamente stati chiariti, è stato possibile dimostrare, senza ombra di dubbio, che in diversi gruppi familiari (il rischio di maculopatia è maggiore nei soggetti che hanno parenti prossimi colpiti dalla malattia), ma anche in alcuni singoli individui, si ha una notevole predisposizione genetica a contrarre la maculopatia senile. Si è arrivati con il tempo a identificare un certo numero di geni e di loro varianti (polimorfismi) correlati con la malattia. Tra questi ne esistono tre particolarmente importanti: ARMS2, CFH e C3; non si deve dimenticare però che esistono anche dei geni deputati alla protezione dalla patologia, questi geni protettori sono il CFB e il C2. Deve quindi essere chiaro che la presenza di geni predisponenti la maculopatia senile non significa che la malattia si svilupperà sicuramente; infatti, la predisposizione o meno all’insorgere della maculopatia dipenderà fra l’equilibrio fra le varie componenti fra loro antagoniste. Oggi esistono test non invasivi e indolori che permettono di individuare il rischio che un determinato soggetto ha di sviluppare la maculopatia senile.
Maculopatia – Sintomi
Diversamente da quanto accade in molte altre malattie, nella maculopatia senile uno dei sintomi assenti è il dolore.
Il danno alla macula ha diverse conseguenze; inizialmente si verifica un’alterata visione dei colori e una diminuita sensibilità al contrasto; in seguito si hanno riduzione dell’acuità visiva, deformazione dell’immagine (metamorfopsia) e scomparsa di una parte di questa; il sintomo più caratteristico, che si manifesta nelle fasi più avanzate, è comunque lo scotoma (area di cecità all’interno del campo visivo) centrale.
L’evoluzione della sintomatologia è molto lenta nelle forme non essudative, più rapida nelle forme essudative.

Si ritiene che la maculopatia senile sia la principale causa di deficit visivo centrale a carattere irreversibile nei Paesi occidentali.
Diagnosi
La prima diagnosi può essere fatta eseguendo l’esame del fondo oculare (noto anche come esame del fundus oculi), ma per la definizione del tipo di maculopatia e per la conseguente programmazione del tipo di trattamento da intraprendere è necessario ricorrere a esami strumentali sofisticati quali come la fluorangiografia (un esame effettuato uno strumento denominato fluoroangiografo, strumento che consente di provocare la fluorescenza di una sostanza, la fluorescina, che viene iniettata per via endovenosa e raggiunge i vasi sanguigni delle strutture dell’occhio; la fluorangiografia consente la visualizzazione di arterie, capillari e vene e permette di valutare lo stato funzionale delle loro pareti; la fluorangiografia è raccomandata soprattutto nei casi più controversi, quelli nei quali si sospetta la presenza di più patologie) e l’OCT (ovvero la tomografia a coerenza ottica, un esame semplice, affidabile, non invasivo, innocuo, rapido, altamente sensibile e riproducibile.
Una diagnosi precoce è fondamentale in questo tipo di patologia in quanto, pur non essendo disponibili cure che consentono una guarigione dalla malattia, è possibile arrestare il suo processo evolutivo.
Maculopatia senile e test di Amsler
Il test di Amsler è un facilissimo test “fai da te” che però, è bene ricordarlo, non può sostituire una visita oculistica. Per effettuarlo si usa un foglio a quadretti di 10 cm di lato con un punto di fissazione nel centro. Di fronte a un soggetto a rischio, il test si esegue facendo chiudere alternativamente gli occhi e invitando a osservare (eventualmente con l’uso di occhiali per la visione da vicino) il foglio da una distanza di circa 30 cm. Il test è positivo (cioè evidenzia un segnale d’allarme) se viene rilevata una distorsione della quadrettatura (metamorfopsia).
Maculopatia senile – Cura
La cura della maculopatia senile si basa essenzialmente sui punti elencati di seguito.
- Riduzione dei fattori di rischio (abolizione del fumo, controllo della pressione ecc.). Una dieta equilibrata (come, per esempio, la dieta italiana), riveste una certa importanza nel rallentamento del decorso della malattia che, come abbiamo visto, vede fra i fattori di rischio condizioni quali l’obesità, il consumo eccessivo di grassi saturi e di bevande alcoliche ecc.
- Impiego di sostanze antiossidanti (betacarotene, zinco, vitamina C e vitamina E in dosi significative, per esempio 1 g e 400 UI rispettivamente). Alcune ricerche hanno impiegato altri integratori (soprattutto luteina e zeaxantina).
- Uso di occhiali da sole (mai celesti) che proteggano dai raggi ultravioletti.
- Riabilitazione con speciali ausili (da effettuarsi previa consulenza con un Centro Ipovisione).
- Iniezioni intravitreali di farmaci contenenti anticorpi monoclonali che sono in grado di arrestare l’iperproduzione della proteina ritenuta responsabile della crescita dei neovasi, la cosidetta VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) inibendo in tal modo la crescita di nuovi capillari. Uno dei vantaggi di questa tipologia di farmaci (gli anti-angiogenici) è la loro selettività; riescono cioè a “riconoscere” soltanto i capillari di nuova formazione senza danneggiare quelli normali. Attualmente, i farmaci utilizzati sono Avastin (bevacizumab), Lucentis (ranibizumab) e Macugen (pegaptanib sodico). I farmaci anti-angiogenici vengono iniettati nel bulbo oculare e i loro scopi sono essenzialmente quelli di rallentare la perdita dell’acuità visiva, bloccare le perdite all’interno dell’occhio e, ovviamente, limitare la formazione di nuovi vasi sanguigni anomali al di sotto della retina. In genere il trattamento viene effettuato nel corso delle visite di controllo che il paziente effettua periodicamente fino a quando la patologia non si stabilizza. Le iniezioni intravitreali non sono scevre da rischi, seppur minimi (emorragie, infezioni e persino distacco retinico).
- La terapia fotodinamica con verteporfina (PDT-V); introdotta diversi anni fa, pur migliorando la prognosi, non ha mantenuto le promesse iniziali, anche se ha sicuramente rappresentato un notevole passo avanti nel trattamento della maculopatia senile; la PDT-V prevede l’iniezione endovenosa si una sostanza sensibile alla luce che provoca la chiusura dei vasi sanguigni di nuova formazione senza alcun deterioramento dei tessuti sani. Si tratta di una terapia che viene eseguita in ambito ospedaliero o in centri specializzati. Attualmente viene utilizzata soltanto in casi particolari.
- La fotocoagulazione con laser termico consente la fotocoagulazione dei vasi retinici anomali che sono stati individuati; il raggio laser raggiunge le zone sottoretiniche e distrugge i neovasi. Va precisato che con questo tipo di trattamento non si ha un miglioramento visivo, si interrompe soltanto la fuoriuscita di liquido dai vasi retinici anomali. In casi estremamente selezionati le membrane neovascolari possono essere rimosse chirurgicamente. Sfortunatamente, il beneficio ottenuto attraverso questa tipologia di interventi è abbastanza modesto e si è dimostrato soprattutto utile nel caso di formazioni neovascolari lontane dalla zona centrale maculare; l’intervento non è esente da rischi dal momento che si opera in un’area della retina molto vulnerabile; va infine considerato l’alto rischio di recidive.
- La traslocazione retinica (o traslocazione maculare) è un intervento interessante, ma molto complesso e non esente da rischi; viene pertanto riservato a casi selezionati. L’intervento di traslocazione retinica viene eseguito ruotando la retina all’interno dell’occhio spostando la macula in una zona di coroide sana, ovvero libera da neovasi. La tecnica consente un miglioramento della lettura da vicino in poco meno di un terzo dei casi, una stabilizzazione della situazione il 50% dei casi: nel restante 20% dei casi, sfortunatamente, non si ottengono risultati positivi.
Il paziente ideale per l’intervento di traslocazione maculare è rappresentato da un soggetto monocolo in cui i sintomi si siano manifestati da meno di sei mesi e con deficit della capacità di lettura da vicino comparso da non più di tre mesi. Come detto, l’intervento non è esente da rischi; il più temibile è il distacco retinico.
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