Con l’espressione Long Covid si indicano gli effetti a medio-lungo termine dell’infezione da SARS-CoV-2. Per capire la reale consistenza del fenomeno, partiamo dai dati degli ultimi sei mesi di pandemia.
- La variante Omicron è più contagiosa, ma praticamente inoffensiva per chi è sano e ha un buon stile di vita.
- I decessi sono mal contati, visto che vi si includono come morti da Covid anche persone con salute molto compromessa a cui il Covid ha dato il colpo di grazia. Infatti, si dovrebbe parlare di sindemia e non di pandemia.
- Le terapie intensive ormai continuano a svuotarsi (nell’aprile 2022 i pazienti ricoverati sono il 10% rispetto ai punti di picco della variante Delta del Covid).
Prendiamo ora in esame la ricerca pubblicata su The Journal of infections diseases. Ci dice che in Europa lo 0,44% di chi ha fatto il Covid presenta sintomi di Long Covid. Cioè una persona su 250 ex ammalati di Covid.
Poi ovviamente sul Long Covid (come a suo tempo sull’AIDS) si sono buttati i virologi per mantenere popolarità e visibilità: a dicembre 2021 è nato il progetto CCM dell’Iss, finanziato dal ministero della Salute, per monitorare il Long Covid; addirittura alcuni sostenitori del progetto, contro ogni evidenza, sostengono che “oltre la metà di chi ha preso il SarsCov2 soffre di Long Covid”.
Come capire se questi dati siano preoccupanti o no? Innanzitutto, è importante capire la differenza fra sintomi e segni. Un segno è un parametro clinico oggettivo (per esempio, la febbre); un sintomo è un dato clinico riferito dal paziente e quindi soggettivo.
Ormai esistono molte “patologie” che si basano su sintomi, per esempio la sindrome da stanchezza cronica o la fibromialgia; patologie che i medici più responsabili non si affrettano a etichettare come “potrebbe colpire tutti”, ma, indagando la storia clinica del paziente, arrivano a concludere che si tratta di patologie a sfondo psicosomatico (e infatti gli antidepressivi sono la cura per eccellenza della fibromialgia).
Per il Long Covid è la stessa cosa. Le evidenze cliniche riguardano pazienti ospedalizzati, soprattutto in terapia intensiva e nella prima fase quando la variante Delta colpiva i polmoni, lasciando segni evidenti (per esempio cicatrici visibili con una radiografia). Chi butta dati a caso (25%, 50% ecc. contro un misero 0,44%) si riferisce a vaghi sintomi senza specificare i tipi, la gravità, la persistenza ecc.

Il Long Covid esiste? Per dare una risposta seria e scientifica occorre limitare i reali casi a chi evidenzia chiari segni clinici (radiografia polmonare, analisi del sangue e delle urine).
Oggi il Long Covid è soprattutto nella testa delle persone: “ho fatto il Covid, non tornerò più come prima” (affermazione di una persona in perfetta salute). Si tratta di un grave errore razionale, l’errore di partigianeria, lo stesso che fa credere ai miracoli: fra le possibili cause di un evento si sceglie come unica spiegazione quella più affascinante. Prima del Covid le multinazionali del farmaco facevano affari d’oro con inutili prodotti sulla stanchezza fisica e mentale (la colpa allora era della primavera); ora li accresceranno con il Long Covid: “una volta avevo meno episodi di mal di testa”, “qualche anno fa non ero così stanco”, “ho perso la partita a tennis perché dal Covid, dopo mezz’ora, le gambe mi cedono”, “non riesco più a concentrarmi e non passo più un esame” ecc.
Come ha messo in guardia una pubblicazione su The Lancet (Long Covid and self-management, gennaio 2022) non si può escludere che la maggior parte di chi lamenta sintomi da Long Covid sia entrato in una spirale di cure arbitrarie dove gli effetti collaterali sono stati ben peggiori dell’effetto del virus.
In questa altra pubblicazione su Pubmed (The contested meaning of “long COVID” – Patients, doctors, and the politics of subjective evidence) si spiega come la locuzione Long Covid sia servita a medici e politici per prolungare le restrizioni contro la pandemia, quindi più che una reale sindrome un’utile fake news.
Quindi il Long Covid non esiste? Per dare una risposta seria e scientifica occorre
limitare i reali casi a chi evidenzia chiari segni clinici (radiografia polmonare, analisi del sangue e delle urine).
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