Il linfoma di Burkitt è una forma di linfoma piuttosto aggressiva che rientra nella categoria dei cosiddetti linfomi non-Hodgkin; è una neoplasia di derivazione B-linfocitaria (origina cioè dai linfociti B, un tipo di globuli bianchi che hanno un ruolo primario nell’immunità umorale dell’immunità acquisita); il linfoma di Burkitt è la forma di tumore umano a più rapido accrescimento.
Si distinguono una forma endemica, legata al virus Epstein-Barr (EBV), presente nell’Africa equatoriale, e una sporadica che si osserva nelle Americhe e nel continente europeo e che non è legata all’EBV. Colpisce soprattutto soggetti in età pediatrica.
Il linfoma di Burkitt insorge frequentemente in soggetti affetti da HIV/AIDS e può essere una patologia indicativa di AIDS.
Nel nostro Paese ogni anno circa 12.000 persone sono colpite dal linfoma di Burkitt e i dati più recenti mostrano che la sua incidenza sta progressivamente aumentando.
Cause e fattori di rischio
La forma endemica del linfoma di Burkitt è, come detto, strettamente legata al virus di Epstein-Barr, agente causale della mononucleosi infettiva; è stato infatti accertato che la gran parte (95% circa) dei linfomi di Burkitt riscontrati nell’Africa equatoriale porta il genoma dell’Epstein-Barr Virus, mentre, negli altri continenti esso è presente soltanto nel 20% dei casi.
Non è attualmente noto se il virus ha un ruolo causale nell’insorgenza della malattia o debba essere considerato soltanto un fattore predisponente; è noto comunque che esiste un rischio maggiore di contrarre la malattia nel caso di immunodeficienza sia congenita (come nel caso, per esempio, di sindrome di Wiskott-Aldrich) che acquisita (AIDS, trapianto d’organo, trapianto di midollo osseo nei soggetti affetti da leucemia ecc.).
Fra i probabili fattori di rischio vengono inseriti anche l’esposizione a radiazioni ionizzanti, pesticidi, erbicidi e solventi organici.

La forma endemica del linfoma di Burkitt è, come detto, strettamente legata al virus di Epstein-Barr, agente causale della mononucleosi infettiva; è stato infatti accertato che la gran parte (95% circa) dei linfomi di Burkitt riscontrati nell’Africa equatoriale porta il genoma dell’Epstein-Barr Virus, mentre, negli altri continenti esso è presente soltanto nel 20% dei casi.
Linfoma di Burkitt – Sintomi
I segni e i sintomi del linfoma di Burkitt sono numerosi e di vario tipo. La variante africana della malattia (la forma endemica) tende a insorgere nell’osso mandibolare e nell’addome; la forma sporadica insorge frequentemente a livello addominale (70-75% dei casi circa) con dolore o distensione dell’addome; altri sintomi possibili sono:
- alterazioni della diuresi
- nausea
- vomito
- sanguinamento intestinale
- sudorazione abbondante
- sensazione di malessere generale
- apatia
- mal di gola.
È abbastanza frequente il coinvolgimento di pancreas e reni; meno frequente, ma possibile, quello di fegato e milza. Il coinvolgimento ovarico è abbastanza comune.
Altri sintomi e segni spesso presenti sono il versamento pleurico e l’ascite.
Linfoma di Burkitt – Diagnosi
La diagnosi del linfoma di Burkitt si basa essenzialmente su anamnesi, esame obiettivo e biopsia di un linfonodo oppure di un campione di tessuto prelevato da una sede in cui si sospetta la presenza della malattia. In rari casi, la diagnosi si avvale anche della laparoscopia che, a seconda delle circostanze, può essere usata anche per il trattamento.

In Italia ogni anno circa 12.000 persone sono colpite dal linfoma di Burkitt e i dati più recenti mostrano che la sua incidenza sta progressivamente aumentando. La prognosi di questa forma di cancro può essere considerata buona; un 75% circa dei soggetti colpiti va incontro, infatti, a guarigione completa.
Terapia
Il linfoma di Burkitt, come accennato in apertura di articolo, è una forma tumorale piuttosto aggressiva e la crescita della massa tumorale è piuttosto rapida; è quindi fondamentale iniziare la terapia il più velocemente possibile.
I percorsi terapeutici possono variare a seconda dell’età del paziente.
I bambini vengono trattati sia con radioterapia che con chemioterapia.
I soggetti in età pediatrica colpiti dalla forma endemica del linfoma di Burkitt vengono solitamente trattati con ciclofosfamide (per via orale o per via endovenosa) e altri farmaci chemioterapici.
Nel caso in cui il tumore interessi la mandibola o le zone oculari di norma si ricorre alla radioterapia.
I bambini colpiti dalla forma sporadica vengono sottoposti a brevi cicli di chemioterapia ad alto dosaggio.
Nel caso di soggetti in cui vi sia interessamento cranico e del midollo spinale, si ricorre spesso alla radioterapia e alla somministrazione intracranica di metotrexato.
Gli adulti colpiti da linfoma di Burkitt sporadico vengono sottoposti a un trattamento combinato di radio- e chemioterapia.
Se il soggetto colpito è affetto da AIDS, i dosaggi dei farmaci chemioterapici sono ridotti in quanto il sistema immunitario del soggetto è già compromesso. Va precisato che questi soggetti rispondono meno bene di altri alle terapie.
Più recentemente sono state introdotte terapie diverse: trapianto di midollo o di cellule staminali e utilizzo di anticorpi monoclonali.
Linfoma di Burkitt – Guarigione
La prognosi del linfoma di Burkitt è generalmente piuttosto buona, i dati più recenti mostrano infatti che un 75% circa dei soggetti colpiti va incontro a guarigione completa; questa forma di tumore, infatti, in generale, risponde fortunatamente molto bene ai trattamenti poli-chemioterapici associati ai farmaci monoclonali.
* Linfoma è un termine alquanto generico con il quale si indica un gruppo estremamente eterogeneo di neoplasie che originano dai linfociti, cellule che svolgono un ruolo essenziale nella risposta immunitaria dell’organismo; sono di fatto cellule programmate per innescare reazioni di tipo immunitario nei confronti di quegli antigeni che vengono riconosciuti come estranei. Si distinguono in tre popolazioni linfocitarie: linfociti T, B e linfociti Natural Killer (NK).
Il linfoma di Burkitt deve la sua denominazione al patologo e chirurgo nordirlandese Denis Parsons Burkitt, il primo che intorno alla metà del XX secolo ne descrisse la sintomatologia.